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di Luca Mikolajczak

 

Un gradino, un altro. Un altro ancora. Il mio passo è spedito come al solito, ma un improvviso senso di vertigine mi travolge. Non è l’altezza -senz’altro più che ragguardevole, con i suoi 46 metri stagliati verso il cielo- ma la consapevolezza della storia che si fa sentire allo scorrere di ogni pietra, unita al sapore di umidità, come di incenso, che mi inebria e quasi mi ubriaca.

Mi sto accingendo a salire uno dei baluardi del periodo aureo della “città che sovrasta, che è di confine”, la mia Perugia che ha già nell’etimo il prestigio della posizione, cosa non da poco.

La Torre si innalza nella centralissima Via dei Priori, che interseca ortogonalmente lo struscio già etrusco, poi diventato Corso Vannucci, sin dalla fine del IX secolo a.C., nei pressi della Porta Trasimena, che conduce all’omonimo lago.

Fortunata per la sua illustre posizione, la Torre nasce alla fine del ‘200, l’anno non ci è pervenuto, come per ogni signora che si rispetti. Ma questa età velata è più che sufficiente per rievocare fasti gloriosi, entusiasmi corali in cui si costruivano arroccamenti, ma soprattutto le menti.

Perché l’arrivo nel 1278 dell’acqua in città è una festa popolare quotidiana, l’occasione per farsi un regalo prestigioso, una Fontana, talmente bella (Buoninsegna e i fratelli Pisano la sapevano lunga in fatto di stile) che non verrà mai usata per attingere l’acqua, sarebbe uno spreco, come insegnano le nonne con il salotto buono.

Il tempo è favorevole per il mercato del mattone, ma anche del cuore, nascono le case e nascono i figli per abitarle.

Una volta assicurato il pane, giunge il momento di nutrire l’intelletto e così l’8 settembre 1308 viene istituito a San Francesco al Prato lo Studium Generale. Fatta l’università, bisogna fare gli studenti: ecco allora le taverne, progenitrici dei pub, dove brindare, allora come oggi, agli esami passati, oppure dimenticare una bocciatura ovviamente immeritata. L’unica differenza è che talvolta i bagordi erano interrotti non solo da qualche lamentela da parte degli abitanti del borgo, infastiditi dai troppi schiamazzi, ma anche da qualche, non troppo rara in verità, esecuzione capitale, lì nel sagrato circostante. In fondo, come abbiamo dimostrato anche in tempi più recenti, il macabro non ci è mai dispiaciuto.

Questo cursus storico così ameno è destinato poi a terminare, e il gaudente comune sarà piegato prima dalla peste nera, poi dalle truppe pontificie.

La Torre, forse perché costruita con la sua funzione originaria, quella difensiva, è l’unica superstite delle circa quaranta torri citate nelle fonti catastali, addirittura centocinquanta secondo altre fonti, tante comunque da affibbiare a Perugia l’epiteto “turrita”. Testimone solitaria di un’epoca fondamentale della città, nel senso che si ponevano le sue fondamenta, materiali e culturali.

Acquistata a metà ‘400 dagli Sciri, (che esibivano uno stemma che solo pochi si possono permettere: la zampa di un gallo), la Torre passa il secolo successivo agli Oddi, che probabilmente grazie alla loro rivalità con i Baglioni -capi della rivolta nella Guerra del sale- la risparmiano alle ire del papa.

Nel 1680 Caterina della Penna, vedova Oddi, regala la Torre a una sorella che ne fa un convento, rimasto attivo fino al 2011. Oggi la Torre, ormai non più giovanissima, concede che le si faccia visita, purché a orari stabiliti, e con il dovuto garbo…

Assorto nel rievocare la storia attraverso piccole storie, mi accorgo di esser rimasto fermo sullo stesso gradino per non so quanto tempo.

Alcuni compagni di ventura si fermano, fieri della posizione conquistata.

Io però sono convinto che fermarsi significa accontentarsi e accontentarsi significa vivere nel rimpianto di un tramonto che nessuna parola sarà in grado di dipingerti.

Mi rimetto in marcia.

Non c’è il tramonto, perché sono le 18 di una sera d’inverno ed è già buio.

Ma, varcato il duecentosessantesimo gradino, capisco cosa intendeva Aldo Capitini quando diceva che “Perugia sta senza l’incombere di null’altro che del cielo”.

 

La Torre degli Sciri è uno dei più significativi simboli architettonici di un’epoca tormentata quanto gloriosa. Il panorama che si gode dalla cima ripaga appieno la fatica della salita.

Si ringrazia per la visita Caterina Martino e gli altri appassionati che lavorano per far conoscere la propria città.

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