di Matteo Minelli
Un forzato avanza docile verso la morte.
Ha una corda intorno al collo, un uomo lo trascina senza fatica verso la scossa mortale, altri boia lo seguono da dietro, dovrà accontentarsi di questo corteo funebre perché non avrà altre esequie dopo il trapasso. I passi del condannato sono dignitosi, potenti, senza rabbia e senza timore. Sa bene cosa l’attende ma non sembra spaventata. Forse non vuol far vedere ai suoi carcerieri che ha paura, oppure semplicemente sente che la fine dell’agonia è giunta e se ne rallegra. Per quelli come lei i preti non hanno ancora aperto le porte del paradiso ma sa lo stesso di aver un posto speciale in questo mondo e nell’altro. E la morte, al contrario di quello che pensa la folle che assiste al macabro spettacolo, finirà solo per restituirglielo.
Arriva con questi pensieri al suo patibolo, una sedia elettrica speciale. Realizzata su misura per lei affinché possa portare a termine il lavoro che il veleno e la corda non riuscivano a compiere. Dicono di avergli risparmiato l’impiccagione, su richiesta delle associazioni che difendono i suoi diritti, ma lei sa che semplicemente il suo grosso corpo non era adatto a finire a penzoloni e che la sua morte per elettrocuzione farà tanto rumore da rendere ancora più famoso l’uomo che ha voluto ucciderla in questo modo.
Non gli leggono la sentenza che la condanna a morte, non può chiedere la grazia e non ha diritto all’ultimo desiderio. Lei deve morire e basta. Così la piazzano sulla lastra che la friggerà viva, gli attaccano gli elettrodi alle caviglie e la legano stretta con le corde.
Prova a muoversi, non per fuggire ma perché le catene gli sono sempre andate strette, purtroppo riesce solo a calpestare la placca su cui poggiano le sue gambe. Si guarda intorno e vede la cinepresa. È abituata alle luci della ribalta, anche se gli fanno schifo. Il lavoro a cui l’hanno costretta è stato anche questo oltre alle botte, le frustate e i ferri. È stato il pubblico che morbosamente la guardava mentre veniva costretta a fare quegli stupidi giochini. Sono state le risate, gli schiamazzi, i boati, gli scherni, le angherie. La violenza di occhi privi di cuore sul suo corpo. Ma questa volta pensa che sia troppo; essere filmato così nei suoi ultimi attimi di vita lo considera un atto illegittimo, privo del minimo pudore, del più elementare senso di solidarietà. Pensa all’indecenza della cinepresa e non sa nemmeno che l’episodio della sua morte verrà raccontato in un documentario che servirà a combattere l’ennesima battaglia nella “guerra delle correnti”.
Un’ultima occhiata tra la folla, e finalmente lo scorge. Thomas Alva Edison. Edison il grande inventore, Edison il padre dell’elettricità, Edison lo scienziato del futuro. Edison il ladro di idee, Edison il creatore della sedia elettrica, Edison il boia. Il condannato non sa se proprio lui darà il via al meccanismo che spegnerà la sua vita, certo che è il mandante di questo fine vita anticipato.
Ora basta, non saranno questi i suoi ultimi pensieri. Si raccoglie in un ricordo di quella vita passata di cui non ha quasi più memoria, mentre la scossa arriva rapida. Lei sussulta. Tutto dura pochi attimi. Il fumo bianco che l’avvolge, l’alta tensione che attraversa il suo corpo, il fuoco che divampa dentro scacciando la vita. La perdita di conoscenza, l’ultimo sospiro, la rovinosa caduta a terra. Il boato di un corpo ormai senza energie.
Così trapassa Topsi, elefantessa colpevole di aver spezzato troppe volte le sue catene.
Topsy era nata libera in India molti anni prima della sua morte. E non si era mai rassegnata al destino infausto che l’aveva vista catturata, venduta e portata negli Stati Uniti dov’era diventata, suo malgrado, una delle attrazioni principali del circo Forepaugh. L’avevano fatta esibire un po’ ovunque e alla fine dei suoi ventotto anni di carriera era finita nel Luna Park di Cony Island, dove i suoi compiti erano diventati portare in groppa le persone e muovere i materiali da costruzione. Topsy però non ci stava a fare questa vita infame e così come ogni prigioniero piegato nel corpo ma non nello spirito continuava a ribellarsi ai suoi carcerieri. E lo faceva apertamente senza paura delle conseguenze che avrebbe pagato. Così uccise tre dei suoi guardiani, l’ultimo le aveva spento una sigaretta in bocca.
Le autorità, desiderose di mantenere anche nei Luna Park l’ordine costituito decisero che l’elefantessa andava soppressa. Ci provarono con il veleno, e meditarono di impiccarla. Quando erano sul punto di provarci giunse in loro soccorso Thomas Edison, che propose di ucciderla mediante elettrocuzione. Non era la prima volta che lo scienziato uccideva animali in questo modo, e già da tempo era entrata in funzione la sua ultima invenzione: la sedia elettrica. Tuttavia la morte di Topsy rappresentava per lui un’occasione unica per infliggere al rivale George Westinghouse un duro colpo. Si combatteva, infatti, in quegli anni la cosiddetta “guerra delle correnti”. Da una parte Edison, inventore della corrente continua, dall’altra appunto Westinghouse e Tesla sostenitori di quella alternata. In ballo non c’era soltanto il primato scientifico ma soprattutto il controllo delle infrastrutture elettriche americane, con tutto ciò che ne conseguiva dal punto di vista economico. In questa guerra senza esclusione di colpi Edison era desideroso di dimostrare la pericolosità della corrente alternata e così proprio per screditare i suoi rivali la utilizzò per l’assassinio di Topsy.
L’esecuzione, immortalata in un macabro filmato dal titolo Electrocuting an Elephant, fu portata a termine il 4 gennaio 1903 al Luna Park di Cony Island di fronte a circa 1500 persone. Ci vollero pochi secondi perché la folgorazione spezzasse la vita dell’elefantessa. Edison fece circolare il filmato in tutti gli Stati Uniti ma perse lo stesso la sua battaglia contro Westinghouse.
Dopo Topsy fu la volta di Big Mary, impiccata il 13 settembre 1916 a Erwin, in Tennessee. Anche lei era colpevole di insubordinazione, anche lei aveva ucciso uno dei suoi carcerieri dopo anni di sevizie. Topsy e Mary le assassine, Topsy e Mary le sanguinarie, così i giornali dell’epoca descrivevano due elefantesse che non volevano arrendersi alla prigionia e alla schiavitù.
Sarebbe bello dire che questi vergognosi eventi sono confinati in un lontano passato. Invece il presente è più triste che mai. Ma non dobbiamo disperare, ci saranno sempre tante Topsy e tante Mary pronte a spezzare le proprie catene, pronte a lottare per la propria libertà, pronte ad insegnarci cosa significa vivere.
Per questo Topsy e Mary Vivono.
Il macabro video dell’esecuzione di Topsy.
https://www.youtube.com/watch?v=m6oiYD827KI
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Altro bell’articolo.
Anelito alla libertà.
La libertà, un diritto.
Credo che nessun animale dovrebbe mai essere imprigionato e schiavizzato.
Questa è un’altra ragione per cui noi dovremmo tornare ad essere cacciatori-raccoglitori, come eravamo stati per due milioni di anni, fino a poco tempo fa.
L’animale dovrebbe essere lasciato libero di essere sè stesso nella Natura, ed ucciso solo al momento del bisogno, per saziare la nostra fame.
Esistono ancora alcune rare tribù umane di cacciatori-raccoglitori.
Questo mostro che è la civiltà, schiaccia la libertà degli animali e dei cacciatori-raccoglitori.
Grazie come sempre Gianni per letture e commenti. Un abbraccio.
Altro bell’articolo.
Non dovrebbero esserci animali prigionieri o schiavizzati.
Dovrebbero essere liberi nella Natura.
Un’altra ragione per tornare ad essere cacciatori-raccoglitori, come eravamo stati per due milioni di anni, fino a poco tempo fa.
Dovremmo ucciderli solo per placare la nostra fame o per difenderci nel raro caso che ci aggredissero.