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Quanto segue
prende spunto dalla presentazione del libro
Gli ultrauomini 
a cura di ,
avvenuta presso Paradiso 518
lo scorso 18 aprile.

***

Greta, non innamorarti mai
delle cose troppo vere.”

 

Non dovrei essere qui, penso mentre mi mordo le dita. Il pavimento in legno scuro, le pareti bianche e spoglie. Una gamba accavallata sull’altra e il piede che trema. Mi trema sempre il piede quando sono agitato. Mi trema sempre il piede.

Nelle ultime ore ho attraversato l’Europa a bordo di autobus, traghetti e treni notturni, da solo. Un’esperienza oscena, a ripensarci. Che cosa idiota imitare l’idea che abbiamo di noi stessi. Ora dovrò votare a sinistra, comprarmi le Birkenstock e suonare De Gregori.

Sento ancora addosso la stanchezza, sento addosso la solitudine: è come essere cresciuti indossando una maglietta che ora è difficile sfilare.

Ho preso un aereo last minute per tornare. Ho paura di volare e, in tutta sincerità, mi sembra assurdo non averne. Vedo sotto le mie scarpe, oltre sottili lastre di honeycomb, i chilometri di cielo vuoto. Vedo le nuvole invadere l’intero spazio del finestrino, che diventa bianco come queste mura bianche.

Ora, pare che io sia qui: vedo i listelli scuri – vedo il falegname che li ripulisce, è uno dei piallatori nel quadro di Caillebotte; vedo Parigi e mi sento solo e impotente –, vedo le pareti ancora immacolate su cui si espande senza ostacolo la luce – vedo Hemingway, il bagliore del lampione che filtra tra le foglie e luccica sulla macchina del caffè, un posto pulito, illuminato bene, il mio angolo per leggere -, e vedo la gente intorno a me, seduta sugli sgabelli di plastica.

Sul fondo della stanza, quattro persone parlano a turno.

Questo posto si chiama Paradiso. Paradiso 518.” – vedo Kurt Vonnegut, i suoi baffi bianchi, le bombe su Dresda, il Mattatoio n. 5, così va la vita –  “È un nuovo spazio di lavoro che oggi inauguriamo.” racconta Antonio, l’unico dei quattro che conosco. C’entro anch’io, quando dice inauguriamo, anche se oggi non dovrei essere qui. “È pensato per serate come quella di oggi: presentazioni, incontri con autori…”.

Guardo gli altri tre, non li ho mai visti prima. Uno di loro tiene in mano un libro verde: “Oggi vi parliamo di Ultrauomini.” dice.

Ultra: 

prima parte di un lemma composto da due elementi, 

con il significato di “oltre”, “al di là”, “più che”. 

Ultramoderno, ultraterreno, ultrasensibile.

Gli Ultrauomini sono uomini, innanzitutto. Ma gli Ultrauomini sono uomini che hanno qualcosa di diverso dagli altri uomini.

In questo libro” dice “abbiamo raccolto undici, anzi dodici storie di uomini e donne che si spingono oltre la naturale idea di vita umana. Il mezzo con cui raccontiamo queste storie è quello del reportage narrativo: abbiamo vissuto a stretto contatto con le storie che raccontiamo, anche in un’epoca in cui puoi fare reportage restando comodamente seduto a casa tua.” Non dice davvero così.

Reportage narrativo: 

genere letterario che consiste nel racconto e nell'analisi di un fatto

 filtrato dalla visione e dalla vicenda personale di chi lo vive e racconta.

Mentre ascolto, vedo l’idea che ho di me stesso quando scriverò quello che ora sto scrivendo. Le mie riflessioni sterili sullo stile e sul significato delle parole.

Il ragazzo che parla si chiama Nicola Feninno, gli altri due Alessandro Monaci e Luca Pakarov. Fanno parte della redazione di CTRL, un collettivo di Bergamo. Stampano una rivista, da nove anni ormai, e quello che stanno presentando qui è il loro secondo libro. Il libro è piccolo e verde, di ottima fattura editoriale, almeno così dice Antonio che se ne intende. In copertina c’è la foto di un minotauro. Ha delle belle scarpe e una felpa con la zip. Vedo i sedici anni, le pozzanghere fuori dalla discoteca, le mani in tasca.

“Chi sono, quindi, questi Ultrauomini?”

Nicola Feninno cerca di addentrarsi nella questione, inizia a parlare dei pezzi che compongono la pubblicazione.

Sono tutte storie vere.” dice. Ci tiene a ribadirlo più volte: sono tutte storie vere.

  • L’uomo eterno, di Valerio Millefoglie: parla di gente che congela i corpi dei morti, sperando un giorno di riportarli in vita
  • Una wrestler in comune, di Maura Chiulli, parla di una donna di Sellia Marina (Catanzaro) che a quarant’anni diventa campionessa italiana di wrestling
  • L’alieno della porta accanto, di Donato Novellini, parla di Roberto, per tutti Bert, che vende oroscopi e non ha mai lavorato in vita sua
  • Il cyborg della bassa modenese, di Martino Pinna, parla di un transumanista di ventidue anni che si è fatto impiantare un chip sottopelle per non morire mai
  • Un viaggio fantastico, di Paolo Zardi, parla di un trapianto di rene e di un finto dottore
  • Tre giorni nel sottosuolo, di Alessandro Monaci, parla di gente che abita sotto i nostri piedi
  • Diciannove sorelle tra le mura, parla di chi ha scelto di passare la vita in un monastero di clausura…

Vedo il tempo che mi passa alle spalle, la luce del giorno che va altrove, viaggiando lungo la crosta terrestre. Vedo il freddo dell’Europa del Nord.

I più sensibili tra i sensibili, di Luca Pakarov”, dice Luca Pakarov, “parla di Persone Altamente Sensibili, in gergo HSP; gente che sente ogni input emotivo in modo amplificato. Gli Altamente Sensibili sono tutti e nessuno.” dice, mentre sorseggia un Campari.

Vedo il Campari. Vedo me stesso, qualche anno fa. Sono seduto su un divano rosso e sto guardando la tv. Alla tv passano i provini di un talent show. C’è un muratore di quarant’anni, parla male l’italiano. È partito dal suo paese ed è salito su questo palco e tutto il resto, per far danzare le bolle di sapone. È la sua passione, dice: far danzare le bolle di sapone. Vedo i riflettori dello studio televisivo ridursi a cerchietti di luce sulla superficie evanescente delle bolle. Vedo le labbra del muratore quarantenne stringersi e arricciarsi e soffiare dentro ai cerchi con l’acqua e il sapone, che si gonfiano in nuovi mondi di cui lui è unico artefice.
Mi scopro a piangere a dirotto; singhiozzo.

Perché piangi?” mi chiede.
Perché sento tutto, sento sempre tutto.” rispondo.

Vedo me stesso dare risposte incomprensibili. Mi odio perché non posso essere capito, mi odio perché mi nascondo sempre in questa grotta buia e ridicola: non potete capirmi, lasciatemi in pace. Mi trema il piede. Vedo la grotta buia, poi sbatto le palpebre.

La grotta buia diventa di nuovo il Paradiso, bianco e pulito, le voci di loro che parlano.

“Ci sono altre domande?”
Alzo la mano, anche se non lo faccio mai; ma io non sono qui, io sono altrove, qui c’è soltanto la mia idea di me stesso che prende provvedimenti, che inizia a fare le cose che prima non faceva.
“Sì…” mi guardano.
Avete tenuto a ripetere più volte che le storie che raccontate nel libro sono tutte vere, come se fosse un di più. Io credo che in questo momento ci sia una sorta di ricerca morbosa di tutto ciò che è vero, anche a scapito di ciò che è importante. Per questo vi chiedo, di cos’è che abbiamo più bisogno, secondo voi, di storie vere o di storie possibili?

Gli Ultrauomini sono uomini veri, perché li abbiamo conosciuti, perché siamo stati con loro, ci abbiamo parlato, li abbiamo visti e li abbiamo toccati, dicono, ma non è vero. Non che sia falso – sono davvero stati con loro, si sono davvero sporcati le mani, hanno davvero fatto indagini sul campo – ma il fatto che questi uomini esistano perché sono reali, come sono reali i colori o l’assenza totale di essi, a questo non riesco a credere.

Mi chiedo cos’è la vita: sono le cose che le immaginiamo addosso.

Il reportage narrativo”, aggiunge Alessandro Monaci, “ci permette di allargare l’orizzonte, ci permette di andare oltre la narrativa pura, che costruisce spesso dei grandi castelli per dirci una sola cosa ben precisa. Per esempio, Foster Wallace…”

Vedo David Foster Wallace: si toglie la bandana prima di andare a letto. È l’11 settembre del 2008 e lui lascia le ciabatte sul tappetino, manda giù in sorso di Coca sgasata, poggia la lattina sul comodino e si infila sotto la coperta; il suo cane viene a leccargli la faccia e lui lascia lì la saliva densa per tutta la notte.

Una sola cosa precisa, penso.

Vedo le bolle di sapone, vedo le mani callose del muratore quarantenne, sono le stesse dei piallatori di Caillebot, vedo l’orologio del Musée d’Orsay che batte l’ora di andar via, Hemigway che si sbottona la camicia, seduto al bancone di Polidor.

Vedo – “Perché piangi?” – i suoi occhi verdi che mi chiedono di restare. E io che con i piedi a cavallo dell’uscio giuro, giuro che resterò. Il piede fuori appartiene alla storia vera, il piede dentro appartiene all’Ultrauomo.

Non dovrei essere qui. Sono qui perché a volte le storie vere prendono il sopravvento. Vedo il mio piede che trema, mentre loro rispondono ancora alla mia domanda. Purtroppo – davvero – purtroppo, non mi interessa. Purtroppo non mi è mai interessato di essere qui o altrove, non sono mai stato davvero in alcun posto. Sto sempre andando alla casa di mio padre, come dice Novalis. Vedo Novalis che affronta l’abisso. È così sicuro dei sentimenti che li può toccare, li può mangiare, masticare come il pane di segale.

Gli Ultrauomini non sono realiNon sono mica gli Ultrauomoni, gli Ultrauomini; gli Ultrauomini sono le storie sugli Ultrauomini. Per questo è importante scriverne, e immaginare bene le cose da inventare, da far esistere per sempre.

Vivono tra noi, forse siamo noi,” dice Pakarov “gli Ultrauomini.”

Uomini che sono più che uomini. Ma dov’è che sono, se non sulle pagine di questo libro? Se non nelle menti di chi l’ha scritto? Se non nei sogni sbiaditi di chi poi l’è diventato?

Vedo la gente seduta attorno a me. Vedo all’interno delle loro menti: lì, nelle profondità siderali di caverne di corteccia cerebrale e sinapsi, brillano fuochi, e attorno a quei fuochi vivono gli Ultrauomini, quelli che non solo mangiano, bevono, parlano, tacciono, cagano e pisciano.

Quelli che sono importanti. Come me, come te.

Vedo i suoi occhi verdi.
Io non sono qui, io sono restato.

***

Paradiso 518 è il nuovo spazio a cura di Emergenze,
in Corso Cavour n. 9 (Perugia).
Uno spazio di lavoro e di condivisione culturale,
in cui rendere reali i nostri sogni.

Gli Ultrauomini è il nuovo libro a cura di CTRL.
Parla di storie vere di gente che sembra inventata.
E forse lo è, e forse no.

Per sfogliarlo e acquistarlo: .

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