di Davide Silvioli
Il giorno 3 aprile 1980, come noto, il maestro tedesco Joseph Beuys fu a Perugia in occasione di un importante appuntamento culturale tenutosi presso l’area monumentale della Rocca Paolina, a quei tempi non aperta al pubblico. L’evento, a cura del critico d’arte Italo Tomassoni – oggi direttore del Centro Italiano d’Arte Contemporanea di Foligno – che approfittò di una sua visita a Napoli presso la Galleria Lucio Amelio per contattare l’artista tedesco, prese luogo presso la Sala della Cannoniera catturando l’interesse del pubblico e degli specialisti di settore.
Al fianco di Beuys, per fornire una panoramica più estesa dello stato dell’arte europea e un confronto più aperto, venne invitato a partecipare, grazie al ruolo svolto da Alberto Zanmatti – architetto che restaurò la sede della Collezione Burri, che partecipò alla preparazione della manifestazione Sculture nella città (Spoleto, 1963), nonché suo grande amico – l’artista tifernate Alberto Burri; genius loci della scena artistica coeva. È proprio dall’interazione fra l’autore tedesco e il pubblico accorso numeroso all’incontro, che trovano origine le sei Scritture sacre: le Lavagne che ancora oggi – dopo non poche vicissitudini logistiche – sono conservate nel capoluogo umbro. Sintesi estrema dell’operare artistico beusyano, esse rappresentano una summa ineccepibile della sua estetica e, compendio spirituale delle proprie concezioni di esistenza, di società, di arte, di cultura, di creatività e di economia, accolgono le sei possibili e alternative trasformazioni politiche, sociali e economiche di cui può essere oggetto la comunità umana occidentale. A primo impatto, si percepisce immediatamente l’aura metafisica e enigmatica che sembra avvolgere queste realizzazioni, risultato ultimo della vitalità e della veemenza dialettica tipica delle azioni comportamentali dell’artista/sciamano di Krefeld, anch’egli sempre contornato da una patina di misticismo dovuta, oltre che alla sua poetica, alla sua personale vicenda biografica.
Nato nella suddetta cittadina del Basso Reno nel 1921 e pilota dell’aviazione tedesca durante la seconda guerra mondiale, furono due gli eventi che lo condussero a scoprire la sua vocazione artistica e che lo convinsero a coltivarla. Si ricorda, pertanto, quando la sua vita venne miracolosamente salvata dall’intervento di una tribù tartara di nomadi, che lo estrasse – dopo diverse ore di incoscienza – dalla neve e dai resti del suo velivolo precipitato al suolo e, inoltre, la crisi nervosa che lo colse intorno ai trentacinque anni che, insieme alle letture di Leonardo da Vinci, di Galileo Galilei, di James Joyce e all’adesione nei confronti del pensiero antroposofo di Rudolf Steiner, lo portò a concepire una declinazione panteista, terapeutica e salvifica del fare arte, riscontrabile nelle sue opere dalla sempre complessa decodificazione. L’idea che ogni gesto della quotidianità fosse necessariamente permeato da un’atavica e intrinseca artisticità, lo fece avvicinare nei primi anni Sessanta al collettivo Fluxus, gruppo prevalentemente performativo e teoricamente supportato da George Maciunas, che promuoveva lo sconfinamento dell’atto creativo ed artistico nel flusso della vita e degli eventi.
Sotto questa ottica sono leggibili le Lavagne di Perugia, residuo estetico tangibile delle sue lezioni/dialogo sull’arte da considerare al pari di performaces dall’alto valore concettuale e del cui svolgimento è dunque possibile ammirare il tratto grafico dell’artista, connotato da grande originalità formale e da una cifra stilistica di derivazione espressionista. Coronamento ideale di un’iniziativa culturale di rilievo e ben riuscita, i sei pezzi catturarono da subito l’interesse del Comune che, al termine della manifestazione, esternò la propria volontà di acquisirli. Le trattative terminarono ufficialmente il 9 aprile successivo con la delibera della Giunta Municipale n°918, decretante l’acquisto delle Scritture sacre da parte dell’ente pubblico per una somma pari a venticinque milioni di lire. L’opinione pubblica gridò allo scandalo: “Lavagne d’oro” titolò Il Messaggero dello stesso giorno, ma si trattò di polemiche basate sulla scarsa conoscenza delle dinamiche inerenti al mercato dell’arte dato che mediamente, in quegli anni, un’opera di Beuys era valutata fra i settanta e i novanta milioni di lire; difatti il prezzo di partenza era di sessanta milioni. Come già accennato, la collocazione delle opere subì alcune variazioni in base alla disponibilità degli spazi e alla loro congruenza con questi. Per volere della Soprintendenza furono inizialmente sistemate nella sala del Grifo e del Leone di Palazzo dei Priori, poi spostate in un piccolo ambiente al piano terra di Palazzo della Penna dove rimasero pressoché ignorate fino al 2003, anno in cui è stata inaugurata l’area espositiva dedicata al grande artista nel secondo piano seminterrato della stessa sede, appositamente allestita per ospitare le Lavagne. Tale spazio aprì le porte al pubblico il giorno 11 ottobre e, logicamente, l’incarico di consulenza per il progetto e l’allestimento museografico fu affidato a Tomassoni, curatore dell’evento del 1980 e profondo conoscitore dell’arte di Beuys.
Sin da subito i sei manufatti dimostrarono la loro delicatezza, infatti un primo intervento di manutenzione venne effettuato dopo qualche mese dall’acquisizione dal restauratore Pietro Nottiani, il quale si curò tramite un fissante di garantire la totale adesione del gesso alla superficie. Pur nella loro semplicità tecnica, difatti le opere sono realizzate, in toto, con l’utilizzo di sei pannelli di legno truciolare verniciato, gesso bianco e tubi disposti a mò di cavalletto, la loro adeguata conservazione ha dovuto fronteggiare non pochi problemi, soprattutto dovuti all’incidenza delle condizioni ambientali e climatiche sui lavori in questione. Pertanto, dall’osservazione del loro stato, si è deciso di intervenire a tutela delle opere e nel mese di luglio 2013, è stato effettuato nella sala Joseph Beuys di Palazzo della Penna, il primo monitoraggio microbico dell’ambiente e dei pezzi della raccolta. Le Lavagne mostravano alterazioni riconducibili a contaminazione microbica, tali da rendere necessario il conseguente controllo microbiologico sia dell’aria che delle loro superfici. Ne è emerso che la temperatura media dell’ambiente e l’umidità relativa presente, erano inadeguate per consentire una giusta conservazione delle opere e, inoltre, è stata rilevata una contaminazione funginea presente nella sala e sugli stessi manufatti. Il restauro, avvenuto nell’ottobre dello stesso anno, ha visto la rimozione dei depositi di polveri e delle colonie fungine, la disinfezione delle superfici e l’applicazione di un biocida. Infine ogni lavagna è stata inserita in un’apposita teca di vetro, al cui interno sono stati ricreati i valori igrometrici ideali per una corretta conservazione.
Così come la sua figura che faceva del confronto e dell’apertura verso l’altro e il nuovo una propria peculiarità attitudinale, anche il lavoro di Beuys manifesta la capacità di dialogare con altri linguaggi artistici in maniera coerente e costruttiva, facendogli così acquisire una personalissima futuribilità. Ne è un’eccellente dimostrazione quanto avvenuto in concomitanza della mostra Tell mum everything is ok: giovani artisti in Umbria – novembre/dicembre 2013 – tenutasi a Palazzo della Penna e a cura di Andrea Baffoni, Linda Di Pietro, Francesca Duranti e Antonio Senatore. È stato in questa occasione che l’artista ternana Chiara Trivelli, acuta indagatrice del rapporto fra arte e ambiente attraverso l’elaborazione di progetti installativi e partecipativi, ha realizzato un’installazione site-specific mirata alla salvaguardia delle Scritture sacre di Beuys. È la stessa artista a descriverci la natura del suo lavoro affermando che “si configura come un omaggio a Beuys, artista a cui [lei ha] dedicato la prima tesi di laurea in Storia dell’arte”. Continua poi Trivelli “sono entrata in contatto con i restauratori e ho scoperto che il danneggiamento delle Lavagne era dovuto all’ambiente, un problema di umidità. Ho pensato allora che l’omaggio più vero fosse la cura dell’ambiente [tematica molto urgente nella poetica dell’artista tedesco], difatti l’installazione è un sistema di deumidificazione fai da te”.
Di fronte a questo interscambio fra declinazioni e contesti cronologicamente lontani ma concettualmente vicini, si apprende come l’arte – quella vera – sia un sistema intellettuale permeabile e transitivo, aperto a contaminazioni e sconfinamenti ma in grado di mantenere una sua specificità che, per usare un termine utilizzato proprio da Joseph Beuys nell’argomentare il suo concetto di arte ampliata durante la famosa serata perugina, è manifestazione del principio di creatività.
Un articolo meraviglioso, finalmente si parla di Beuys e dell’importante presenza della sua arte a Perugia… di cui in pochi sono consapevoli. Chapeau.