di Paolo Marchettoni
Nei giorni appena trascorsi è passato il mondo in una chiesa sconsacrata nel cuore di Perugia, di cui Emergenze è sempre più un’arteria pulsante, vitale. Mi piace immaginare le vie del centro come arterie in cui scorre il sangue dell’organismo cittadino, le persone, dirette verso le piazze del centro, che si fermano da noi anche solo per un giro, un po’ come fanno i globuli rossi nei polmoni, portandosi via ossigeno, tanto quanto basta per alimentare il corpo di cui fanno parte. Nel Medioevo la rappresentazione della società e delle sue componenti veniva spesso raffigurata come un corpo umano in cui ogni parte svolge la sua funzione unica e insostituibile a sostegno della sovrastruttura che li contiene in armonia.
Ognuno porta con sé qualcosa. Non importa cosa: una foto, una rivista, un volantino, un adesivo, un sorriso, una stretta di mano, un bacio (per i più fortunati). Ognuno lascia qualcosa: un contatto, un aneddoto, un’impressione sul quaderno dei visitatori, un’idea, un suggerimento. E’ importante per noi che le persone vedano la bellezza sprigionata dai ritratti fotografici di Walter Meregalli immersi in uno spazio espositivo rigenerato nel corpo e nello spirito. La bellezza è tutto, come ci ricorda, a modo suo, anche Miss Italia e noi abbiamo il compito di amarla e celebrarla, in ogni caso, anche quando la situazione è critica.
Noi non rappresentiamo di certo il gusto di un’epoca, anzi. La nostra azione si concretizza in operazioni artistiche suffectus, letteralmente “in sostituzione”, in pratica arte che subentra, non imposta dall’alto per volontà delle elìte o degli organi di riferimento (pubblici e privati) che gestiscono il settore artistico-culturale, ma, al contrario, creando un varco dal basso, con il sostegno di molti. Non ci sentiamo di rappresentare niente se non noi stessi. Non possiamo, e soprattutto, non vogliamo rappresentare nulla al di fuori di Emergenze, anche perché per rappresentare bisogna sentirsi rappresentati, non basta rivendicare una comune appartenenza o individuare un nemico presunto contro cui coalizzarsi, a seconda del vento che tira. Sono convinto che se dovessi vendere un quotidiano nazionale a caso, o una rivista blasonata qualsiasi, al posto delle copie del #numerouno e del #numerodue (il #numerozero è sold out!) di Emergenze, farei molta più fatica. Semplicemente perché credo in quello che faccio nella misura in cui faccio quello in cui credo. E questo è fondamentale, non soltanto per le vendite, ma soprattutto per infondere negli altri uno spirito nuovo, svincolato dai soliti meccanismi utilitaristici legati al potere clientelare, puro, libero, capace di entusiasmare perché diverso nell’approccio quanto nella sostanza. Cosa potrebbe rappresentarci meglio di un testo frutto delle nostre conversazioni notturne, in cui fissiamo le considerazioni che emergono, o di un ritratto fotografico di Walter Meregalli? Naturalmente non escludiamo altre possibilità, anzi, ne siamo alla costante ricerca e anche per questo continueremo a documentare tutto ciò che facciamo. Non si tratta di mettere nero su bianco momenti di divertissement. Ci piace divertirci, anche quando lavoriamo, chi ci conosce lo sa, ma sia chiaro che ciò non significa che è impossibile realizzare progetti seri, con alti standard qualitativi, ridendo a crepapelle anche di noi stessi, grandi attori o semplici comparse sul palcoscenico della grande commedia umana.
Non solo da Perugia. Turisti da Gerusalemme, dal Vietnam, dal Connecticut, dal Tavoliere delle Puglie, dalla Francia, anziani, giovani, giovanissimi, monache, fotografi, cani randagi, piccioni storditi, suonatori di zampogna, famiglie, venditori di rose, artisti, hanno riempito gli spazi della mostra in questi giorni, lasciandosi incantare dalla bellezza di questo luogo, catturati dalla luce che emanano i pannelli espositivi rimbiancati, semplici e meravigliosi come l’abito da sposa di una nonna, o di una vecchia zia, indossato dalla nipote il giorno delle nozze. Un miracolo autentico sta avendo luogo in via Oberdan: la grande bellezza si è manifestata all’improvviso in una chiesa sconsacrata, un posto trascurato, quasi dimenticato, oltre che da Dio, anche dagli uomini, e non poteva essere altrimenti. Ancora una volta l’arte come dispositivo di innesto per una resurrezione in piena regola, che stiamo quotidianamente documentando, affinché le persone comprendano la necessità di tenere il portone d’ingresso sempre aperto, garantendo l’accessibilità permanente a un edificio storico della nostra città. Manifestare l’urgenza di rendere uno spazio nuovamente vivibile, fresco, pulito, accogliente, recuperare un punto di incontro e confronto tra anime, come fu nel passato. Queste sono le sfide dei nostri giorni, le rivoluzioni quotidiane, che con coraggio dobbiamo compiere per dare un senso al nostro passaggio.