Si può morire in un’infinita varietà di modi e I Gufi, in una celebre canzone del 1965 li elencavano quasi tutti. Ce n’è uno però che il quartetto milanese non ebbe l’ardire di includere fra le possibilità: la morte per troppa cultura.
E la morte per troppa cultura è purtroppo l’epilogo di una storia che affonda le radici in una Perugia felice e festante, incrocio naturale di civiltà e luogo ideale di formazione di giovani provenienti da tutto il mondo: la Perugia degli anni Settanta. Non fu un caso che Roger Lucas Mercado Escobar, figlio di un diplomatico nicaraguense, dopo aver girato mezzo mondo al seguito del padre, scelse proprio il capoluogo umbro per formarsi e coronare il suo sogno di diventare medico. Un sogno che questo studente giramondo sembrava avere tutte le carte in regola per agguantare: giunto a Perugia nel 1973-74 (le biografie degli eroi, si sa, sono confuse), imparò come da prassi la lingua all’Università per gli Stranieri e s’iscrisse subito alla Facoltà di Medicina, cominciando un esame dopo l’altro la sua cavalcata verso una vita col camice cucito addosso.
Non si sa cosa andò storto, perché qui la mitologia s’infittisce, alcuni parlano di un incidente in corsia all’ospedale, altri di una crisi esistenziale che gli impedì di superare gli ultimi esami, fatto sta che Roger non terminò l’università e intraprese una vita da clochard con il Tavernello come amico migliore. Elegante anche nei vagabondaggi, con i suoi Rayban a goccia e qualche vestito della taglia sbagliata indossato sempre con classe, avrebbe sicuramente meritato di degustare i migliori vini della terra umbra; ma il Tavernello costa 1,29 € al brick, il Sagrantino di Montefalco molto di più e quando rinunci a tutto accontentarsi diventa un esercizio quotidiano.
Senza casa, senza lavoro, senza soldi, Roger dormì per anni sotto gli archi del Cortone, parte di quel Borgo Bello da cui lo scorso 27 febbraio partimmo a tessere il nostro filo rosso, inaugurando l’operazione artistica “Riprendere il filo”. Un filo rosso che ci lega a Roger, perché documentando la nostra installazione ci siamo imbattuti anche in lui, che passeggiando per corso Cavour, vide in quel filo un modo per combattere la droga.
Quel Roger che incontrammo un anno fa non dormiva più per strada. La signora Assuntina, infermiera in pensione, a lui estremamente legata, gli aveva offerto ospitalità in casa propria. Una mano tesa senza chiedere nulla in cambio, che fece della compagnia e dei favori di Roger ricompense dispensate per piacere e non per dovere.
La sorte volle che Roger rimase solo in quella casa non sua. Quando la signora, ammalatasi gravamente, fu costretta a trasferirsi in una casa di cura, toccò proprio a lui occuparsi di quell’appartamento in via del Conventuccio del quale rimase unico abitante. Dormiva sul divano, accompagnato dai due inseparabili cani Tommy e Diana e da pile di libri e giornali dei quali Roger, lettore instancabile, si nutriva quotidianamente. D’altra parte Roger era una persona di grande cultura, che potevi sorprendere a dare indicazioni ai turisti in inglese, spagnolo, greco e giapponese, che insieme all’italiano fanno 5 lingue: un po’ troppe per un senza tetto, l’amaro lascito di un’infanzia rampante che prometteva altri scenari.
Siamo al 29 dicembre 2015. Alla malinconia natalizia, che coglie più di ogni altri gli uomini soli, si aggiunge l’improvviso e ritardato arrivo dell’inverno. Roger prova a sconfiggerlo come ogni notte col Tavernello e con l’amore dei suoi cani, ma non basta. A casa hanno staccato ormai da mesi le utenze, che Roger non poteva pagare, e fa freddo. Un’idea suggerita forse dall’alcol, forse dalla solitudine, forse dai brividi che intervallavano il sonno: accendere in casa un piccolo falò per riscaldarsi. Un falò che deciderà di abbracciare le pile di libri che vegliano sulla notte di Roger, stipando la stanza di un fumo denso e nero.
Morte per intossicazione. O morte per troppa cultura, perché forse senza tutti quei libri…
La storia successiva è quella tristemente tipica degli uomini soli. Nessuno si interessa alla salma di Roger, che giace per giorni in una cella frigorifera. Grazie a degli amici di quartiere, si riesce a distanza di due mesi ad organizzare il funerale. Francesco e Anaide mi suonano in ufficio, serve una foto per la lapide perché di quest’uomo di cui tutti ricordano con affetto il volto, nessuno possiede un’immagine. La ricaviamo dal frammento del documentario “Gros Grain” in cui compare Roger, instancabile lettore.
L’articolo è stato scritto grazie alle informazioni fornite da Francesco e Anaide, amici di Roger che qui si ringraziano.