Ecco il fanciullo acquatico e felice.
Ecco il fanciullo gravido di luce
più limpido del verso che lo dice.
Sandro Penna
Nell’anno della sua centenaria ricorrenza, pare perfino banale essere fra i tanti
che si occupano della figura di Pier Paolo Pasolini. E pare al contempo un po’
ardito farlo incentrando un progetto sulla sua pura immagine.
Dopo anni trascorsi, come Emergenze e Edicola 518, nel tentativo costante di far
emergere dalla superficialità dei tempi contenuti in grado di rimanere, siamo
lieti di compiere quella che Roberto Calasso avrebbe definito un’ecfrasi al
contrario. Tradurre cioè mesi di ragionamenti in una sequenza di immagini che
li esemplificano, assorbono e nondimeno rilanciano.
Pasolini acquatico e felice è un uomo in costume, che sceglie l’identificazione
con un corso d’acqua protagonista di molti dei suoi capolavori e della sua stessa
esistenza: il fiume Tevere. Il Tevere urbano e romano degli anni Cinquanta, con
le spiagge, gli stabilimenti, le barche a remi, i trampolini, i bagnanti, i pescatori, i
pesci e chissà che altro, quando la terra degradava dolcemente nelle acque per
poi riemergere alla sponda opposta, senza limiti fisici che stabilissero l’estraneità
del fiume alla vita di ogni giorno.
Autori di questa ecfrasi al contrario sono Gabriella Drudi e Toti Scialoja,
compagni di una vita, che insieme hanno attraversato il clima artistico di tutto il
secondo Novecento romano, occupandosi di pittura, poesia, traduzione,
scrittura, giornalismo, critica d’arte, editoria, teatro. È la loro macchina
fotografica a catturare Pasolini in quella che ha tutta l’aria di essere una
domenica tra amici, al fiume, in cui Toti e Gabriella si ritraggono alternatamente
in compagnia dell’amico Pier Paolo, il quale a propria volta cerca di immortalare
la coppia di amici in un unico scatto, da dimenticare…
Si tratta di una domenica dello spirito, sia chiaro, perché i rullini “sei per sei” che
contengono le 38 foto messe in mostra da noi in anteprima mondiale, non sono
datati. Un fatto assurdo, se si pensa con la mente contemporanea, che associa in
automatico a ogni scatto un giorno e un’ora. Ma, se è ormai quasi impossibile
scattare una foto senza data, è ancora pensabile l’dea di rinvenire un rullino in
cantina (o in soffitta) come è accaduto alla Fondazione Toti Scialoja, che non ha
potuto far altro che attribuire le foto a un vago “fra il 1950 e il 1955”.
Pasolini dialoga generosamente con l’obbiettivo assumendo pose ieratiche da
modello e mostrando un’integrazione volontaria e ostentata al corso d’acqua da
cui sembra essere emerso d’improvviso. Il suo corpo nervoso e tonico, così com’è
stato in tutto il percorso di vita, è un continuum della sua poetica e del suo
pensiero.
«L’azione di Pasolini è un’azione precisa: aver “gettato il proprio corpo della
lotta” non permette repliche, manipolazioni». Queste le parole di Dino Prediali,
il fotografo che mise a nudo Pasolini a pochi giorni dalla sua morte nel 1975, e
rispetto al cui celebre servizio le fotografie di Drudi e Scialoja sembrano un
contraltare giovanile. D’altra parte il corpo in lotta, il corpo martire, finalmente
usurpato e smembrato pezzo a pezzo, rimanda alla purezza di quando tutto era
intatto. A questo Pasolini felice che non vuole essere una nostra avventata
supposizione ma un giudizio elaborato per affinità di postura.
Il progetto Acque dolcissime di Edicola 518, entro cui questa pubblicazione
trova spazio, mira esplicitamente a riprendere confidenza con il fiume Tevere,
suscitando un ritorno al contatto con l’acqua e una riqualificazione non tanto
architettonica quanto filosofica del ruolo delle acque interne nel vivere
quotidiano. Un percorso che trova in questo Pasolini acquatico la sua divinità
protettrice. È senz’altro un parente dei tremila potamòi (divinità dei fiumi)
venerati nell’antica Grecia, ed è senz’altro discendente del Pater Tiberinus che
ogni 8 dicembre veniva omaggiato presso il suo tempio all’Isola Tiberina, ma è
un dio contemporaneo.
Nella sua fusione alle acque Pasolini simboleggia e sintetizza il distacco e la
nostalgia verso un rapporto intimo con ciò che un tempo dava origine alla vita e
che oggi è piuttosto un veicolo di tutto ciò che sembra minacciarla.
Sono sporchi i fiumi o siamo troppo puliti noi?
Il nostro Pasolini è felice come a suggerire, con una semplicità che non ha timore
di risultare banale, che la felicità sia un fatto acquatico e che l’acquaticità sia la
massima apertura al futuro consentita da questi tempi sempre più
dannatamente terreni.