di Antonio Brizioli
Il seguente articolo trae spunto dalla visione del film “La Macchinazione” di David Grieco, ma non è una recensione.
Perché di recensioni non ne facciamo e mai ne faremo, prendendo consapevolmente le distanze da una modalità di scrittura che dimostra quasi sempre di non cogliere il punto. Così per molti si tratta del “solito complottismo”, per “Il Fatto Quotidiano” si vede che mancavano mezzi e risorse, per “Rolling Stone” chiunque si avvicina a Pasolini finisce per bruciarsi; mentre a bruciarsi, purtroppo, sono quasi sempre questi critici di professione, che concentrano tutte le energie sulla stelletta in più e il mezzo voto in meno, per poi fraintendere il senso complessivo di una Macchinazione come quella ordita da David Grieco.
L’idea che mi ha dato subito questa inchiesta cinematografica, è quella che Grieco volesse, attraverso il caso emblematico di Pasolini, riaprire un discorso a tutto campo sugli intrecci politici ed economici che hanno sotterraneamente governato la storia recente del nostro paese e dei quali ancora oggi subiamo le conseguenze. Un susseguirsi di verità insabbiate, di attentati mascherati da incidenti, di eliminazioni strategiche scambiate per passaggi di testimone, all’interno dei quali l’irrisolto omicidio Pasolini rappresenta per ovvi motivi un caso esemplare.
I contorni dell’omicidio Pasolini sono infatti molto più inquietanti dell’omicidio stesso: non si trattava di uccidere o lasciar uccidere un uomo, ma di sporcarlo. Veicolare l’immagine di uno dei più grandi intellettuali della nostra storia come quella di un maniaco, di un deviato, di un depravato pederasta. Per arrivare poi, complici i decenni trascorsi, a tratteggiare la personalità di un grande poeta, trascinato verso un’orribile fine da una squallida vita privata.
Tornare su un discorso del genere, non serve soltanto a riabilitare la figura umana di Pasolini (quella intellettuale per fortuna, non sembra più in discussione), ma anche a ricordare al cittadino comune come nel nostro paese vi siano stai poteri neanche troppo occulti, operosamente dediti ad infangare e delegittimare una figura troppo ingombrante. Tale era, senza dubbio, il Pasolini che indagava sul presidente dell’Eni e cofondatore della P2 Eugenio Cefis e procedeva, infiammato dalla sete di verità, alla stesura di quel grande ragionamento incompiuto chiamato “Petrolio”. Tale era il Pasolini di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, che mostrava con eclatante efficacia come il potere sia in grado di umiliare, deformare, sottomettere i corpi e le menti. La tesi di Grieco è chiara: l’omicidio Pasolini è stato commissionato da quell’intreccio di poteri e clientele poi divenuto noto come P2, che si è servita per l’esecuzione della bassa malavita romana e ha inserito il fatto di sangue in un quadro che esaltasse l’aspetto “depravato” di Pasolini in modo da veicolare l’idea che in fondo “se la fosse cercata”. Già, perché un ricco intellettuale che picchiava un povero ragazzino a pagamento per una prestazione poco soddisfacente, “se l’era cercata” secondo tutti i benpensanti d’Italia.
Non so se il film porti a sostegno della tesi un numero adeguato e convincente di prove, ma direi che poco importa. L’obiettivo è riaprire un discorso che deve interessare tutti e che è interesse di tutti non lasciar cadere nell’oblio. Perché la storia può essere buona maestra solo e soltanto se ha allievi curiosi.
Io lo ero. E in quarto ginnasio ho avuto un’insegnante impossibile da dimenticare. Bollata come “matta” per il suo intelletto eccessivo e provocatore, romana delle borgate, attrice e scrittrice, conobbe e frequentò Pasolini in giovinezza e in un anno di insegnamento fece vedere alla classe di cui facevo parte fra gli altri “Accattone”, “Edipo Re” e “Medea”. Prima di tutto questo, durante una lezione del primo mese di scuola, si rivolse alla classe e disse: “Ragazzi, sappiate che l’eliminazione di Pasolini è stata figlia di un piano ben preciso e che le cose non sono andate come riportato dalla versione ufficiale”.
Mi sono chiesto più volte, negli anni, perché quell’insegnante avesse voluto anteporre una rivelazione del genere al successivo addentramento nella figura di Pasolini, che certamente a quelle date nessuno di noi conosceva meglio che per sentito dire. E la questione rimase aperta anche dopo aver compreso la grandezza dadaista di quella professoressa che dava i voti volutamente a caso e evitava di proposito la trattazione di qualunque argomento riconducibile al programma d’insegnamento. L’avvertimento sulla difettosa verità ufficiale in merito al delitto Pasolini era per lei più importante non solo del greco e del latino che era pagata per insegnarci, ma anche di qualunque altro ammaestramento umano o personale.
L’interrogativo è rimasto sepolto in me per riaffiorare più di dieci anni dopo, vedendo nascere dallo sdegno per una rappresentazione voyeuristica e superficiale della vita di Pasolini (parlo di quella proposta da Abel Ferrara nel 2014) un film che restituisce una visione umana, demitizzata e quotidiana dell’intellettuale. E penso che il Pasolini che interessa alla gente sia il Pasolini militante, il Pasolini inquirente e mai inquisitore, il Pasolini uomo tra gli uomini. Non quella sorta di intellettuale bifronte, dedito alla madre a alla macchina da scrivere di giorno e maniacale adescatore di ragazzini dopo il tramonto, come appunto è stato rappresentato da Ferrara.
Ci interessa il Pasolini immerso con tutte le scarpe nelle contraddizioni della sua storia. E interessa, fatto che trovo molto significativo, me e i miei coetanei ventenni molto più di tutti quei settantenni che hanno vissuto il fatto in prima persona e che trovano la ricerca della verità un esercizio velleitario e superfluo. Perché tanto “ormai chi se ne frega?” dicono loro… A noi interessa, a noi soggetti attivi di un paese che continua a piacerci fino a un certo punto, interessa sapere se quella consumata nella notte fra l’1 e il 2 novembre del 1975 sia stata una sfida ubriaca a colpi di bastone o se quelle bastonate siano state inferte da poteri politici e economici. Perché nel secondo caso, quelle bastonate, le avremmo ricevute anche noi che allora non eravamo neppure nei piani delle nostre madri.
L’importanza di questo film sta nel non lasciarsi consumare come un prodotto d’intrattenimento, nel far seguire alle proiezioni dibattiti, riflessioni, chiacchiericci fuori dal cinema con birra e sigaretta. Un film didascalico che un bravo maestro ha messo nelle mani di bravi studenti, come fece quella mia professoressa che allora ero troppo piccolo per comprendere fino in fondo ma di cui oggi riconosco la grandezza. Dobbiamo essere noi giovani (di intelletto più che di età) a tornare protagonisti della nostra storia e dobbiamo essere grati a David Grieco, che anagraficamente fa parte proprio della generazione dell’“ormai che importa?”, per averci offerto questa possibilità.
Aspettiamo a giorni la decisione della Camera sull’opportunità di istituire una Commissione d’inchiesta sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini, come richiesto attraverso una petizione lanciata su change.org da Stefano Maccioni, avvocato del cugino di Pasolini, e sostenuta con forza anche da Grieco. Intanto, la gente comune ha già deciso. Se Massimo Ranieri sia all’altezza del ruolo che interpreta, se servisse più budget, se gli effetti visivi usati nel cambio inquadratura siano fastidiosi o se il romanesco di alcuni attori sia un po’ grottesco, beh, di questo discutano i critici. Per noi che possiamo permetterci di non fare recensioni, il caso Pasolini è riaperto.