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di Alessandro Piccioni

 

Mi piacerebbe chiamare questa rubrica “Oltre il capitalismo, o forse no”.

Secondo molti economisti il capitalismo sta combattendo la sua sfida più difficile, forse quella finale. Dopo tre decenni di mancata crescita dei salari, di crescente disoccupazione per i più giovani e di polarizzazione dei redditi e della ricchezza, il malessere sociale nel mondo occidentale è arrivato ad un livello tale che mi ha indotto a riflettere. Normalmente, vi direi che di fronte a noi si prospettano due strade: la prima è quella di cambiare radicalmente, rivoluzionare il sistema economico e sperimentare qualcosa di alternativo (un comunismo guidato dalla rete in salsa Casaleggio, un socialismo-democratico scandinavo potenziato e applicato finalmente su larga scala, una tecnocrazia basata sull’intelligenza artificiale, etc.); la seconda invece è quella di riformare ma senza uscire dal sistema, farci le giuste domande sul sistema economico in cui siamo immersi, comprenderne gli attuali problemi e proporre possibili correzioni.

Sulla prima, che a me pare decisamente più allettante e affascinante, devo confessare di non essere ancora preparato. Sono sempre stato attratto dalle teorie alternative e minoritarie, in ogni campo della conoscenza, dalla fisica all’interpretazione della Divina Commedia, dalla teoria calcistica (leggi: Zeman J) all’intelligenza artificiale, e anche in economia ho cercato per tutta la vita di comprendere quale potessero essere le potenziali alternative al capitalismo. Non ci crederete, ma una volta svanita l’illusione che il comunismo potesse funzionare (“e liberarci tutti” avrebbe aggiunto il caro Compagno Paolo Vinti), molti economisti – come me – “alternativi” si sono trovati con un pugno di mosche e il cuore spezzato.

Tale mancanza di sistemi economici alternativi è figlia di un vuoto filosofico e culturale. Quando la rivoluzione industriale cambiò per sempre la storia dell’umanità, fu Karl Marx, un filosofo, a plasmare l’idea di capitalismo (più di quanto non avesse fatto Adam Smith) e a porre le basi per quella che sarebbe diventata la grande “idea nuova” del secolo XX, il comunismo. Negli ultimi 50 anni invece, la cosiddetta intellighentsia/filosofia occidentale si è ripiegata su se stessa a parlare di cazzatine – mi passerete il termine – e ad ammirarsi allo specchio, non riuscendo a sviluppare una idea di uomo, di società e quindi di economia che potesse essere alternativa a quella che tutti, volenti o nolenti, abbiamo.

Ci resta quindi la seconda strada, la riforma del sistema in maniera radicale ma non distruttivo. E credo che percorrere questa strada possa dare la possibilità di operare una transizione graduale, senza il rischio di sprofondare in un vacuum culturale ed istituzionale di cui è impossibile conoscere gli esiti. Con questo non sto dicendo, sia la mia preferita. Anzi.

Per questo motivo, nelle prossime settimane, mi piacerebbe parlare di temi quali la bugia del “libero mercato”, le connessioni fra capitalismo e democrazia, il falso mito della meritocrazia, il declino della classe media a favore dei cosiddetti “billionaires”, la distruzione causata da una globalizzazione senza controllo e molte altre cose. Sfateremo miti e convinzioni che i media (non perché siano in malafede – il che è comunque vero nella maggior parte dei casi – ma piuttosto perché non hanno le competenze per argomentare) ci hanno inculcato nel corso degli anni e lo faremo in modo semplice e comprensibile anche ai non addetti a i lavori. Uno dei miei primi mentori, mio professore di Italiano durante gli anni del liceo, un giorno mi disse che solo quando si hanno delle idee chiare e un animo disinteressato, si può comunicare in maniera semplice e lineare. Spero di poter rendere questo servizio ad entrambi, a Voi e a me stesso.

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