di Alberto Brizioli
“Quello che succede a Bratislava, rimane a Bratislava”.
Mi congeda così l’inquietante francesina.
E se non fossi un estimatore delle frasi fatte non riesaminerei le sue parole all’infinito.
Percorro al contrario il passaggio sul ponte “Lafranconi”.
Torno da dove sono venuto.
Ho solo una tasca 30 pasticche più pesante che all’andata.
La riempio con la mano per evitare il rumore di maracas che si produce al contatto delle mie scarpe col suolo.
È mercoledì, ho un paio di giorni per riflettere su questa cosa.
Un pensiero troneggia nella confusione: HO BISOGNO DI SOLDI.
Sono arrivato qui con 50 euro in banconote da 10.
Oggi ho spicciato la prima.
Ho un alloggio pagato per 5 notti.
Venerdì non posso sbagliare.
Il Danubio non ha assunto i colori romantici che ci si aspetterebbe da un tramonto.
Un denso alone grigio assottiglia la linea di demarcazione tra aria e acqua.
Guardo la corrente che fa un paio di giravolte prima di procedere spedita.
Penso alle persone che ora in Germania, Austria, Romania e Bulgaria stanno guardando questa stessa acqua.
Chissà in quanti, come me, vorrebbero avere una sorgente e una foce.
Chissà in quanti, come l’acqua, vorrebbero prendere la forma del proprio contenitore.
Vorrei essere pigro e arrendevole come l’acqua, trascinato dalla corrente senza opporre resistenza.
Ma certi lussi non si addicono a chi ha 5 notti di autonomia e una tasca piena di ecstasy.
Mi sposto dal lungofiume alla città vecchia.
La prima cosa da fare è trovare un nascondiglio per questa roba, e non è facile nella camerata da 12 di un ostello in pieno centro.
Pochi turisti in giro.
Il freddo mi penetra sotto la giacca e non c’è verso di fermarlo.
Arrivo alla strada dove alloggio, “Obchodna”, mezzo chilometro di asfalto che traccia il confine tra decoro e degrado.
Rallento il passo.
D’ora in poi mi dovrò muovere con circospezione.
Entro in camerata e ci sono soltanto due sudamericani.
Da ieri sera non hanno abbandonato i propri letti.
Si guardano una serie TV ciascuno sul proprio PC.
Forse dalle loro parti la connessione non era granché.
Lascio la giacca e mi sposto in terrazza.
Il sacchetto è ben nascosto nella felpa.
Al mio arrivo ci sono il padrone dell’ostello e un altro tipo che fumano.
Colto alla sprovvista chiedo una sigaretta e mi unisco al gruppo.
Il cocktail di fumo e disagio mi fa lacrimare gli occhi.
Mi riparo nell’ammirazione di un panorama pieno di panni ad asciugare e muri da intonacare.
Da dietro mi arriva una domanda:
“Why did you come to Bratislava?”
Mi preparo ad una serata più lunga del previsto.
“What about you?” rispondo.
“I was born here!” fa lui con la risolutezza di chi ha un argomento inattaccabile.
“I can’t live anymore where I was born” attacco l’inattaccabile.
“Makes sense”.
“Enjoy your stay” si congedano all’unisono.
In terrazza ci sono due tavoli con lunghe panche di legno di quelli che dalle mie parti si usano alle sagre.
Il muro di cemento armato non offre zone d’ombra.
Mi sporgo dalla ringhiera e guardo la parte esterna del balcone.
C’è una cavità che sembra lo sbocco di una grondaia.
Arrivo appena a toccarlo con le mani, quindi non posso guardare dentro e capire qualcosa in più.
D’altronde si tratta di un ottimo nascondiglio
Voglio liberarmi di questo peso almeno per un po’.
Mi volto in tutte le direzioni in cui sarebbe verosimile una presenza umana.
Poi, per scrupolo, in tutte quelle in cui sarebbe inverosimile.
Vuoto la tasca e mi sporgo di nuovo.
Infilo bene in profondità il sacchetto e, a seguito di un paio di controlli di stabilità, mi rialzo.
Ripeto l’operazione di scansione dei paraggi in cerca di testimoni.
Tutto tranquillo.
Ormai è buio e la notte fa la staffetta con un notevole peso che se ne va.
Almeno per qualche ora.
Ne ho 24 da adesso per cambiare idea, queste le condizioni della francesina.
Tutto è ancora in ballo.
Eppure ho la sensazione di esserci dentro fino al collo.
Meglio che attraversare l’oceano per una maratona di serie tv in streaming, mi giustifico.
E poi, quel che succede a Bratislava, rimane a Bratislava.