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di Antonio Brizioli

 

Di ciò che nessuna scienza ha saputo spiegare e nessuna chiesa ha potuto far proprio, è meglio tacere. Per questo e solo per questo, non avete mai sentito parlare di Mirin Dajo.

Nella prima metà del Novecento, nelle più movimentate città europee ed americane, era tutto un fiorire di spettacoli eccentrici e pittoreschi, che occupavano una posizione marginale ma rilevante all’interno di quello che potremmo definire il germe dell’odierno showbusiness. Nei teatrini di Parigi, Amsterdam, New York, era tutt’altro che infrequente vedere spettacoli di uomini sepolti vivi, lanciatori di coltelli, escapologi, fachiri, divoratori di spade, donne scimmia e quant’altro…

In questa selva di spettacoli più o meno convincenti c’erano quelli degli “human pincushions”, i cosiddetti “puntaspilli umani”. Spettacoli che consistevano in scenografiche perforazioni di parti del proprio corpo tramite spilli di varia dimensione o addirittura spade. L’effetto particolarmente suggestivo aveva in realtà una spiegazione scientifica molto semplice: questi performer, abilissimi e addestrati a resistere al dolore, inserivano gli spilli negli strati grassi del corpo, senza mai andare ad intaccare gli organi vitali e ottenendo pertanto risultati altamente impressionanti senza mettere in pericolo la propria salute.

Un primo innovatore rispetto a questa forma di intrattenimento fu il tedesco Mortado. Quest’ultimo, della cui vita si sa pochissimo, nel 1930 fu scritturato da un impresario di New York, affascinato dalla sua capacità di portare lo spettacolo dei puntaspilli umani ad un altro livello rispetto a quello conosciuto e già ben gradito alle masse. Mortado fu la prima fontana umana della storia: attraverso dei buchi realizzati sulle mani e i piedi, inseriva dei tubi e faceva sgorgare acqua dal proprio corpo, lasciando il pubblico a bocca aperta. Purtroppo però, rispetto agli spettacoli di Mortado la scienza ha avanzato una spiegazione chiara: Mortado aveva dei veri e propri buchi sui palmi delle mani e dei piedi (la leggenda vuole causati dalle torture di non meglio identificati “selvaggi nativi”); buchi che fra uno spettacolo e l’altro manteneva aperti con dei tappi di sughero, così come si farebbe con una bottigliaccia di vino della casa. Questo gli permetteva di avere delle cavità di cui nessun altro uomo poteva disporre e gli permetteva anche, nelle serate di massimo spolvero, di lanciarsi in eretiche e discutibili corcifissioni, realizzate inserendo sacche di sangue finto nelle cavità, che venivano fatte esplodere dai chiodi piantati al momento della tortura simulata.

Spettacoli così forti da causare sistematici svenimenti fra il pubblico. Tuttavia Mortado era il più bravo degli umani e come si sa la fama degli umani non dura in eterno. In pochi anni passò di moda e cadde in quell’oblio che tocca anche ai migliori.

Mortado non poteva essere superato dai professionisti, da quegli sperimentatori che la scienza era in grado di smontare con la più prosaica delle spiegazioni. Mortado poteva essere superato solo da una divinità: e Mirin Dajo era una divinità.

Si chiamava Anrold Gerrit Henske e nacque a Rotterdam nel 1912. La sua vita prima di diventare famoso non riservò grossi colpi di scena, tuttavia dietro la normale esistenza di uno studente di Belle Arti, poi titolare di un’azienda di design, maturava un percorso mistico che alla soglia dei 33 anni non riuscì più a restare celato. Fu così che egli si trasferì ad Amsterdam, assunse il nome d’arte (o forse sarebbe meglio dire di battaglia) di Mirin Dajo (“meraviglia” in esperanto) e con l’aiuto di Jan Dirk de Groot, il suo vicino di casa e più fedele seguace, presentò di pub in pub degli spettacoli di perforazione assolutamente mai visti prima e tuttora irriproducibili.

Mirin Dajo guardava il pubblico con la sua faccia spigolosa, i cui lineamenti sembravano appena sbozzati da un falegname distratto o poco abile, mentre l’assistente lo perforava da parte a parte in prossimità dell’addome, prima dalla schiena alla pancia e poi da fianco a fianco. Mirin restava impassibile, non una smorfia di dolore, non una goccia di sangue, non una difficoltà nei movimenti. E soprattutto nulla da nascondere in quanto le sue performance, che come logico fecerò ben presto scalpore in tutta la città, transitarono dai pub ai teatri e furono assistite da medici e scienziati di tutto il paese, di fronte ai quali Mirin mostrava una disponibilità che nessun mago o illusionista avrebbe consentito. Il motivo era semplice: Mirin Dajo non aveva nulla da nascondere.

Accondiscendenza totale a farsi studiare, perforare, interrogare, sottoporre a test. Nessuno ha mai potuto comprendere il segreto di questo impescrutabile olandese, anche perché di fatto il segreto lo rivelava Mirin stesso. In sogno egli aveva incontrato degli angeli custodi che l’avevano reso invulnerabile allo scopo di rivelare e testimoniare al mondo la presenza di un Dio superiore.

E se abbiamo detto che questi spettacoli erano gli antenati dell’attuale showbusiness, ci sembrerà amaramente logico che a Mirin Dajo toccasse la più ingiusta delle umiliazioni: quella di essere scritturato in lungo e in largo per i suoi spettacoli, purché risparmiasse al pubblico la predica misticheggiante contro il materialismo che per lui era il fulcro e il senso ultimo della performance stessa.

La sua battaglia non si interruppe mai. Nel 1947 si trasferì in Svizzera per trovare nuovo pubblico e per sottoporsi agli studi dei medici locali. Di fronte a questi, in una memorabile esibizione al Bürgerspital di Basilea, egli si fece trapassare attraverso gli organi vitali, a quel modo che avrebbe ucciso un altro essere umano nel giro di pochi secondi. Alcuni medici girarono la testa dall’altra parte, altri preoccupati gli chiesero il permesso di poterlo trasportare all’apparecchio per la radiografia, Mirin li guardò con la solita fierezza e si recò sulle sue gambe all’apparecchio, che confermò la perforazione. Non una goccia di sangue, non una smorfia di dolore, non una sola spiegazione scientifica dai più grandi medici del tempo.

L’11 maggio 1948 Mirin Dajo ingoiò un gigantesco chiodo durante una performance. Si sentì male e fu sottoposto a un’operazione per la rimozione del chiodo; questa avvenne ma Mirin non si riprese mai e morì in uno stato di trance il 26 maggio. Fu sottoposto ad autopsia e la scienza si prese la sua rivincita dichiarando, con un referto che non fu in grado di nascondere l’invidia propria degli eterni inferiori, il decesso per “disseccazione aortica”.

Mirin Dajo, che in vita non si scompose mai, a quel punto non poté che regalare una breve e convinta risata ai suoi angeli custodi.

 

Questo che segue è il video straordinario della performance che Mirin Dajo tenne nel 1947 al Bürgerspital di Basilea insieme all’assistente di sempre Jan Dirk de Groot, mettendo in crisi l’intera comunità scientifica del paese.

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