Quella che segue è la quinta parte del diario, scritto da Soledad Nicolazzi, sul viaggio in Etiopia, attraverso laboratori e messe in scena, di “Miraggi Migranti”, spettacolo teatrale che nasce dal sogno artistico e umano di Alem Teklu, scultrice etiope. Praticamente la nostra Soledad ha scritto un bellissimo libro a puntate.
di Soledad Nicolazzi
Sabato 13
Un mattino da artigiani: da qualche vecchia bottiglia, scatola di latta e barattolo Alessandra è riuscita a costruire insieme ai ragazzi una specie di orchestra. Nella notte ha studiato le loro musiche e composto una sorta di ritmo base ma per farli suonare suda sette camicie: sono molto spontanei e musicali, ma è difficile fargli seguire delle indicazioni; anche perché oggi non c’è Alem, dunque parla in italiano, io traduco in inglese e Mente in amarico… Alcuni però sono davvero molto interessati, sono fiduciosa che fra una settimana saranno bravissimi.
Valentina è andata con Alem a fare delle interviste a persone esterne al centro, ma ha lasciato il compito ad Awel di riprendere il lavoro. I ragazzi imparano velocemente, da oggi in poi ci sarà sempre qualcuno con in mano una telecamera…
Nel pomeriggio Alessandra continua con un gruppo più ristretto a suonare (tra cui Salam, la ragazza nuova, che si rivela subito molto dotata e diventa immancabile in tutti i pezzi di musica) e io lavoro a due scene con le maschere. Lavoro da attori faticoso, ma bello. Alcuni sono già dei maestri: Sancho sostituisce Betti e fa la vecchia signora (una grande maschera molto espressiva che hanno costruito con Alem) come se avesse seguito un corso con i Family Flotz (una importante compagnia di maschere tedesca).
Domenica 14
Gita nella giungla ad una cascata, accompagnati da Awel, India e Bifa. Dopo la terza diramazione del fiume mi rendo conto che ho perso i punti di riferimento. Guardo le mie amiche ma nessuna sembra preoccuparsene: il silenzioso Bifa sembra pratico dei sentieri ed è la nostra guida. Conosco dal lavoro fatto insieme, la sua capacità di infondere sicurezza e di esserci sempre: siamo in buone mani.
Visto ancora famigliola di scimmie col pelo bianco e nero saltare in cima agli alberi. Pic nic al fiume. Bellissimo e molto stancante: i 3000 metri si sentono eccome!
Tutto molto tranquillo. La guerriglia sembra lontana; solo Valentina, che va un po’ più in giro per interviste quando va a Robe deve nascondere la telecamera, soprattutto in vista di divise.
Nel pomeriggio montaggio struttura “Miraggi Migranti”, da domani cominciamo anche le nostre prove: non facciamo lo spettacolo da mesi…
Martedì 17
Oggi la luce manca spesso, non riesco a mettermi in contatto con casa e ho un po’ di nostalgia. Ieri abbiamo fatto le prove di Miraggi ed eravamo distrutte. Devo stare attenta a non esagerare: se qui hanno i ritmi rallentati qualche motivo c’è.
Comunque tutto bene. Sono arrivati due grossi bidoni per l’orchestra di Alessandra e sembrava di essere dentro un vulcano tanto era il rumore che facevano i ragazzi provando. Io ho lavorato sul testo con alcuni che fanno i racconti più lunghi… è difficile lavorare all’espressività se non si sa la lingua.
Prime prove fuori. faticoso: più distrazioni e il sole, quando c’è, è forte e senza tregua.
Nel pomeriggio passeggiata nelle stradine interne. Recinti di pecore con i cactus, e sette bimbi alti tre palmi, fatti di zucchero e peperoncino.
Mi sento forte e ottimista pur nelle complessità della terra, con compagne di strada simpatiche, sveglie e vicine.
La tenda e il metodo
In questo periodo piove ogni pomeriggio, dunque la possibilità di fare lo spettacolo per un pubblico maggiore alle dieci persone dipende dall’arrivo della grossa tenda: di più nella sala in cui proviamo non ce ne stanno. Ma Stefano è perplesso, l’ha ordinata da mesi… per questo quando capiamo che Bereket è riuscito dopo tre giorni di presidio dentro al negozio ad entrarne in possesso siamo molto felici e quando lo vediamo arrivare a bordo del furgone gli facciamo festa. Poi però apre le porte e capiamo dalla quantità del materiale che non sarà un gioco.
Invece, in un momento di pausa, con alcuni ragazzi, in circa un’ora la tenda viene montata. Il lato corto è di sette metri ma quello lungo è di almeno una ventina: è incredibile la collaborazione con cui lavorano.
Con Alessandra ci diciamo che in questi giorni stiamo sperimentando esattamente questo: esercizi o pezzi musicali che a noi sembrano molto difficili vengono appresi con facilità mentre altri passaggi che in genere sono immediati prendono ore e ore di studio.
Quando si lavora in contesti culturalmente così diversi l’unico metodo valido è quello che prevede un grande ascolto e una ridefinizione continua di linguaggi e obiettivi.
Non so se ci andremo davvero, nei villaggi. Ma nella tenda ci staremo tutti, ed è bellissimo avere una tenda-teatro tutta nostra!
Mercoledì 18: canalizzare la rabbia
Stamattina c’è aria di malumore. I ragazzi discutono e Mrtzr si mette a piangere dalla rabbia… le vogliono far pagare “la tassa del ritardo”, che si sono inventati per arrivare tutti in orario… ma lei è l’unica che viene con l’autobus e stamattina era la prima mattina che ha fatto qualche minuto di ritardo… chi l’accusa di più è Abdi che, da canto suo, si assenta spesso per un motivo o per l’altro e che quando è presente fa parecchio fatica a restare concentrato…
Mrtzr è molto intelligente, una bravissima ballerina, silenziosa; è l’unica che viene da Robe, ci ha messo un po’ ad entrare nel gruppo. Intuisco che Abdi, in qualche modo, voglia farsi notare e forse non ha trovato di meglio che esercitare la sua posizione di “capo organizzatore” per farle la corte.
In fondo hanno diciassette anni.
Eppure questa storia mi innervosisce. Un po’ perché non sopporto gli abusi di potere e un po’ perché il tempo a disposizione è poco e non dobbiamo perderlo: lo spettacolo è a breve e non ci possiamo permettere di avere una giornata di reflusso fino dal mattino o peggio, avere delle perdite, a questo punto.
Allora metto in scena “l’esplosione dell’insegnante”: di punto in bianco, mi metto a gridare in inglese che sono stufa di queste storie e a battere rumorosamente un bidone (quelli del petrolio…). E che immediatamente tutti devono venire sotto la grande tenda…
In questa versione non mi ero mai mostrata, mi guardano preoccupati. So per esperienza che la sorpresa non dura molto. Immediatamente comincio a saltare come una leonessa, accompagnata da Alessandra che si è messa a suonare il bidone con una potenza da svegliare anche i vicini. Per stamattina era previsto tutto un altro programma, ma gli altri esercizi attenderanno: adesso lavoriamo duramente per recuperare ed approfondire tutte le scene legate agli animali: tutti fanno tutto, con varie gradazioni dall’animale e all’umano, in modo da aiutare chi quelle scene le farà davvero.
Dopo poco il gruppo è all’interno di un nuovo flusso energetico. La sensazione è che rabbia, aggressività e malumore stiano finalmente prendendo una direzione, delle forme in cui esprimersi, un contenitore all’interno del quale possano essere accolte, gestite, valorizzate. La partecipazione dei ragazzi è come sempre immediata. Qualcuno, ad un certo punto, per la troppa immedesimazione nelle belve feroci urta la gamba di Sancho che si è appena tolto la fasciatura.
Colgo l’occasione per fare una pausa, e dico loro che fare uno spettacolo richiede una grande energia, fisica ed emotiva. E che adesso è come se fossimo una famiglia: allo spettacolo ci dobbiamo arrivare tutti insieme, e bene.
Dopo un po’ siamo tutti dentro un altro vento, già ridendo. solo Mrtsr ci mette un po’ di più, ma entra a breve anche lei nel gioco.
sabato 20 agosto
Il leone non deve morire
Infine ci siamo, oggi è il giorno dello spettacolo per le autorità, i partner locali che sostengono il progetto dal punto di vista logistico e che vogliono vedere cosa abbiamo prodotto in questi mesi e che cosa vorremmo portare in giro nei villaggi.
La giornata comincia per noi molto presto, visto che ieri abbiamo dato precedenza al lavoro dei ragazzi e alla sera eravamo così stanche da non riuscire neppure a pensare ad una prova generale di Miraggi. Così decidiamo di farla al mattino all’alba prima che arrivino tutti gli altri: Alem dipinge già da ore.
Qui svegliarsi alle sei non è così traumatico, ma oggi è umido e cominciamo il montaggio. Sotto la grande tenda va un po’ meglio ma il terreno è accidentato, e spesso incoccio in uno dei pali che la tengono su; Alessandra è alle prese con la corrente che va e che viene e decide ad un certo punto di produrre a voce i suoni che in genere escono dai suoi innumerevoli strumenti; e Valentina cerca disperatamente di creare un po’ di luce sotto la tenda con le poche quarzine a sua disposizione… insomma arriviamo alle otto, ora dell’appuntamento col gruppo già piuttosto provate.
I ragazzi sono un po’ tesi, sanno chi avranno di fronte ma sanno anche che da questo intervento dipenderanno possibili ingaggi futuri per il loro gruppo.
Il nostro pubblico arriva, sono una quindicina di persone più qualche amico che siede nel retro.
Lo spettacolo comincia, i ragazzi sono bravissimi, in una scena, in cui Adamu, il più piccolo, canta e gli altri ripropongono un lavoro fisico sull’ultimo saluto a qualcuno che parte e che forse non rivedranno più, gli sguardi sono intensi.
Poi ci sono le scene divertenti, in cui diventano dei personaggi del villaggio, quelle in cui indossano le meravigliose maschere fatte insieme ad Alem e tutti i pezzi musicali, pieni di energia e ritmo.
Sono così orgogliosa e presa dal lavoro che al momento degli applausi mi ci vuole un attimo per capire che dalle autorità ne arrivano ben pochi.
Poi è tutto una corsa: i ragazzi devono cambiarsi in fretta e fare un intermezzo di danza mentre io, Alem e Alessandra prepariamo la scena per Miraggi Migranti.
Sono emozionata, nei giorni scorsi i nostri pupazzi hanno preso per me un nome, un volto. Mentre mi accosto al trafficante cercando di imitarlo sono Abdi. La bella ragazza che parte con il miraggio dei vestiti è Tgst, che mi chiede spesso un regalo dall’Italia, e così via. Non sono più storie qualunque. Sono le storie di persone a cui voglio bene. Di quello che forse passeranno, se decideranno di partire illegalmente per l’Europa.
Nonostante l’emozione, o forse proprio per questo, il nostro spettacolo procede molto bene, non ci sono intoppi tecnici e sento una buona comunicazione con il pubblico.
A fine lavoro gli applausi arrivano, generosi.
Ci sediamo per una chiacchierata, diciamo al pubblico che abbiamo lavorato per circa un anno e mezzo a questo spettacolo per portarlo qui e che questa è la prima occasione in cui lo mostriamo, in Africa. È piaciuto? Ci sono domande? Ci sono suggerimenti?
Le autorità parlano, a turno, elogiando il lavoro e dicendo che in generale tutto è molto chiaro, solo ci suggeriscono di aggiungere a voce, nel caso in cui andremo nei villaggi, il nome dei luoghi in cui si spostano i protagonisti, visto che molti non sanno leggere.
Dei ragazzi riesce a parlare solo uno, Mente, il più grande, e la restituzione che ci dà è entusiasta: non hanno mai visto niente del genere qui, è stato divertente e interessante….
Bene, siamo contente: il cerchio comincia a chiudersi.
Adesso però vorrei capire perché lo spettacolo dei ragazzi non è stato applaudito. Chiedo di dire qualcosa sul loro lavoro e qui comincia tutta una serie di critiche e indicazioni.
La maggior parte sono dubbi sul messaggio che lo spettacolo porta.
Nell’affrontare il lavoro, anche su suggerimento di Stefano, ho cercato di partire dalle loro esperienze, sogni, idee circa il migrare e da che cosa invece li tiene nella loro meravigliosa e contraddittoria terra, su quello che si potrebbe migliorare qui e quello che potrebbero fare…
Lo spettacolo è un’elaborazione in forma scenica di tutto questo. Il messaggio è dunque per forza di cose complesso, non univoco: si parla, anche, della pulsione a partire, a viaggiare, che sta dentro ogni essere umano. Chi a sedici, vent’anni anni non ha desiderato mollare tutto e andare via?
Migrare, come disse il primo giorno Jonas, fa pare della vita. Il viaggio iniziatico, presente in tutte le culture ed elaborato dall’occidente nei miti e nelle fiabe è alla base di una buona parte delle conquiste scientifiche, sociali ed artistiche umane.
Ed ecco la scena di “Bola bo”, il cavallo che parte per la foresta contro il parere dei suoi familiari e torna ricco di esperienza.
Ma qui, in una terra dove non si è liberi di esprimersi, il messaggio non può evidentemente essere complesso. Deve essere univoco ed inequivocabile: migrare non si deve.
Convinta dell’inutilità dei divieti, sono contenta invece di aver avuto la possibilità di lasciar esprimere i ragazzi sulle loro idee e sogni e di aver fatto insieme a loro un percorso di elaborazione profonda dell’argomento.
Ma le critiche maggiori sono rivolte all’ultima storia, quella del leone, della volpe e della scimmia.
Nello spettacolo questa scena è nata da una lunga analisi fatta insieme sulla loro possibilità di agire in termini propositivi nella loro esistenza: La volpe è simbolo di tutto ciò che della cultura tradizionale i ragazzi non accettano più: oppressione della donna, pratiche di flagellazioni corporali ancora praticate in Bale… Il leone invece è metafora di quella parte che della cultura occidentale non vogliono: l’appiattimento della cultura, la rottura con i ritmi della terra, l’individualismo…
Sapevo che avrebbe potuto essere fraintesa, questa storia. Per questo avevo inizialmente insistito per rendere i segni scenici più chiari: La scimmia che si salva con l’astuzia nonostante gli altri due siano più forti, sono loro, i ragazzi. Ma la volpe e il leone sono espressione di un potere laido nel primo caso e forte nel secondo, e anche se la volpe ha in testa un fazzoletto tradizionale e il leone indossa degli occhiali… bé si prestano a più interpretazioni.
Ma poi ripensandoci, mi ero detta che in realtà lasciare la metafora aperta a più livelli di comprensione in fondo, in questo momento storico e politico del paese, non era male. E che probabilmente i ragazzi avevano proprio bisogno di ribellarsi, almeno nelle storie, alla prepotenza.
Ma le autorità non hanno gradito. Alla mia spiegazione hanno semplicemente detto che qui il leone è il re della foresta. E semplicemente non può, e non deve morire.
Più tardi parliamo con i ragazzi dell’accaduto, insieme a De Sale, il responsabile del gruppo. Alcuni suggeriscono di togliere la storia, sono impauriti. Altri (soprattutto Jamila, una delle ragazze più coraggiose) dicono che le autorità hanno capito male perché ogni cosa la intendono come vogliono loro, ma che non dobbiamo lasciare un pezzo dello spettacolo su cui abbiamo tanto lavorato e che ci piace molto. Ad un certo punto De Sale interviene dicendo che la richiesta di cambiare quella parte gli è stata ribadita dal responsabile del progetto di Robe, dunque non abbiamo scelta.
A questo punto parlo io e dico che non voglio trovarli, quando forse verrò quest’inverno a finire il progetto, tutti in carcere. Che ci tengo che il loro lavoro riesca a girare nei villaggi. E che dunque cambieremo già da domani il testo, dicendo, dentro lo spettacolo, espressamente cosa simboleggia per noi il leone e cosa la volpe. Ma che questa si chiama censura, e che succede perché non abitano in un paese libero: Il leone non deve morire.
Mentre ci guardiamo con intesa mi tornano in mente le riunioni al nostro arrivo a Addis: mi raccomando, non parlate di politica…
Domenica 21 agosto: ultimo giorno a Goba
Oggi siamo tutti più rilassati, forse troppo. Dico ai ragazzi che la replica del giorno dopo la prima è sempre più difficile, perché è scesa la tensione. Ma che se riescono a riaccendere i corpi proprio oggi in scena potrebbero cominciare a divertirsi davvero, e lasciare andare quell’energia dirompente di cui tanto sono ricchi e che ieri, un po’ per paura delle autorità un po’ per l’ansia della prima hanno trattenuto. Al principio faccio molta fatica per creare un clima di concentrazione ma poi cominciano ad entrare nel lavoro.
Ma c’è un problema: alle tre in punto c’è una partita! Mi mordo le mani per non averci pensato, tra la guerriglia, il colera e il lavoro, mi sono dimenticata che qui sono patiti di calcio e chiaramente la domenica pomeriggio vanno allo stadio!
Decidiamo subito di ritardare un po’ lo spettacolo, ma un po’ di pubblico è arrivato e non possiamo farli aspettare troppo. Proviamo a buttare la l’idea di fare una breve parata musicale nei dintorni, per attirare i vicini, ma De Sale dice che è meglio di no…non si sa come potrebbe essere interpretata. Allora non ci resta che aspettare. Per fortuna qualcuno arriva: Ibraim, il nostro vicino artista, conoscenti, parenti…persino qualche giovane che ieri era presente e a cui gli spettacoli sono piaciuti così tanto che ha deciso di tornare, e di portare qualche amico.
Bene, a breve la tenda è piena, e “Vanno via come un fiume” lo spettacolo dei ragazzi comincia. Nella prima scena Awel, bello, sorridente e in genere sempre attento sbaglia l’entrata. Il pubblico non si accorge di nulla ma ai nostri attori basta per far venire quel pizzico di adrenalina che serve per fare uno spettacolo vivo.
Nonostante abbiano provato pochissimo le modifiche apportate al testo del leone e della volpe, l’ultima scena viene molto bene, e Adamu ha una voce fiera, quando conclude dicendo “noi vogliamo crescere, a modo nostro!”
Questa volta il pubblico applaude, generoso.
Poi, come ieri, qualche danza, Miraggi Migranti e una chiacchierata finale.
La restituzione che ci viene data di entrambi i lavori è molto bella e ricca, la gente sembra davvero capire il linguaggio utilizzato. Siamo felici, un giovane seduto in fondo dice che è tornato perché ieri anche “Vanno via come un fiume” gli è piaciuto molto ma che non era riuscito a parlare e che è qui per dire ai ragazzi che non devono assolutamente scoraggiarsi per quel che dicono i politici…Incontro lo sguardo di Mente e Jonas e Awel, a cui ridono gli occhi…
Alcuni su Miraggi ci fanno delle domande a proposito di aspetti della questione migratoria che non sanno, come quando al nostro protagonista, appena arrivato in Italia e scampato al pericolo del naufragio, viene messa sulla faccia una grande impronta digitale, che d’ora in poi sarà ciò che lo caratterizzerà, e ciò che lo terrà legato al nostro paese…
Ibraim fa un’analisi a cui non avevo pensato. Dice che molte cose la gente qui le sa, ma è come se mancasse la possibilità di una elaborazione emotiva dell’argomento. E Miraggi, con i suoi piani differenti, musicale e visivo, offre questa opportunità, senza retorica.
Il pubblico va via, comincia a piovere forte. L’aria è così carica di tristezza che i ragazzi trasformano in una sorta di tana la stanza nella quale abbiamo lavorato tutti questi giorni: mettono i tappeti per terra, chiudono le finestre con delle tende. Seduti in cerchio cominciamo i saluti. Le cose che ci diciamo e soprattutto il modo con cui vengono dette sono un po’ dichiarazioni d’amore e come sempre l’amore è difficile da descrivere. Per una volta siamo tutti contenti che la luce sia tenue, così non si vedono le lacrime, ma solo i grandi sorrisi.
Ad un certo punto parla la piccola India:
“Alcuni mesi fa è partito per l’Europa mio zio, tutta la famiglia ha contribuito alle spese del viaggio. La prossima a partire sarei dovuta essere io, i miei stavano cominciando a risparmiare. Ieri ha chiamato mio zio dicendo che è bloccato in Libia e che dobbiamo mandargli altri soldi. Allora ho capito: dopo questi mesi a discutere e a lavorare a proposito di tutto questo, non ho più nessuna voglia di partire. Ho parlato a casa e ho detto che non ha senso andare via. Io voglio studiare e diventare un dottore, ma voglio stare nella mia terra.”
Ecco, il cerchio è davvero chiuso.
Mi chiedo se ora ci resta ”solo” lo smontaggio…invece qualcuno ha convinto Bereket a portarci tutti e 22 sul furgone in un piccolo locale quattro isolati più in là a ballare, tutta la sera…
Arrivederci meravigliosi ragazzi è stato bello fare un pezzo di strada insieme!
Questi i link della prima, della seconda, della parte e della quarta parte:
Miraggi migranti in Etiopia/1
e Miraggi migranti in Etiopia /2 Grotowski–Maometto 1 a 0
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/miraggi-migranti-in-etiopia-3-linferno-prima-del-sogno/
https://www.emergenzeweb.it/2016/12/7259/
to be continued