Miraggi Migranti è uno spettacolo teatrale che nasce dal sogno artistico e umano di Alem Teklu, scultrice etiope.
Con lei lavorano Soledad Nicolazzi, attrice e regista che da anni si occupa di teatro civile e sociale; Alessandra D’Aietti, musicista, co-ideatrice di molti spettacoli della compagnia; collabora anche Barbara Monaco giornalista, videomaker e volontaria in ambiti di accoglienza e prima alfabetizzazione per i migranti.
Quello che segue è il diario, scritto da Soledad Nicolazzi, dell’esperienza che le giovani donne hanno vissuto lavorando in Etiopia con ragazzi e ragazze etiopi.
di Soledad Nicolazzi
10 giugno 2016 Addis – Goba
Dall’aereo la prima immagine rimanda alla Roma di Pasolini.
Palazzoni crescono come funghi e intorno il nulla: l’Etiopia è uno dei paesi con la massima crescita economica dell’Africa. Addis Abeba, una baraccopoli con mostri di cemento in costruzione che si reggono su impalcature di legno. Ad ogni angolo banchi con meravigliosi frutti, e splendide ragazze colorate: sono qui da un giorno e l’Africa mi è entrata già sotto la pelle con tutte le sue contraddizioni.
Ora siamo in viaggio verso Goba, una piccola città nella regione del Bale, dove terrò un laboratorio di teatro finalizzato ad uno spettacolo per sedici ragazzi affiancata da Alem Teklu, la mia collega e amica che farà da interprete e curerà costumi e scenografie.
Il viaggio verso la nostra meta dura sei ore, pigiate in una grossa gip sull’unica strada che va verso sud, su cui transitano cavalli, mucche, asini, persone, autobus, camion e qualche macchina. Ogni tanto ne troviamo una in un fosso: forse le gomme erano troppo usurate, o si è scontrato con una mucca, ci dice il nostro autista.
Mano a mano che ci si allontana dall’inferno della capitale diminuisce il caos, la plastica e le automobili. Le case diventano colorate, di legno e di paglia. I cieli grandi e le montagne imponenti. Quando entriamo nel parco nazionale, sopra i 3000 metri, Incontriamo sei facoceri, una famiglia di babbuini e altri grossi erbivori muniti di corna che pascolano nei prati. oltre a tante tante pecore e mucche e capre e asini e cavalli e bambini: I bambini, se non portano le bestie al pascolo, giocano a calcio, o a biglie.
Goba è un villaggione con una strada in mezzo, ci svegliano le mucche dietro casa. Alla mattina alle 6 c’è già luce e io e Alem ci alziamo a fare yoga nel prato, con gran curiosità delle quattro pecore che ci pascolano attorno. Forse insegneremo loro il saluto al sole.
Poi faccio quattro chiacchiere con la tartaruga gigante che abita fuori dalla porta ma per il momento non risponde, non so se è perché e timida. Chissà quanti anni ha e quante ne ha viste; è grande come un comodino basso, grossomodo. È comunque più comunicativa della guardia che tutte le notti sta fuori dalla nostra porta: Goba è tranquilla, ma non si sa mai: siamo sempre “forengi”, bianchi e occidentali.
L’incontro
Sono arrivati tutti vestiti a festa, mi guardano con occhi grandi, senza capire bene cosa vuol dire un laboratorio di teatro ma sembrano contenti che qualcuno, dalla lontana Europa, sia venuto a fare qualcosa proprio con loro. Ci fanno una sorta di accoglienza in cui discutono sulla questione migrare, l’argomento sul quale si basa il nostro intervento qui.
Mi scrivo alcune frasi, tra cui quella che potrebbe diventare il titolo dello spettacolo che faremo ad agosto, nei villaggi: “vanno via come un fiume”. Da qui partono in tanti anche se questa regione ha delle risorse naturali per le quali potrebbe diventare una delle più turistiche del paese. Ma per il momento non c’è nulla, i ragazzi studiano ma poi non sanno che fare. La televisione con i videoclip musicali sta in ogni bar lungo la strada, molti hanno il cellulare con cui possono accedere facilmente a Facebook e Google. La finestra sul mondo è aperta, e non vogliono sentir parlare di fare i pastori, come il loro genitori. Come tutti i giovani vogliono fare il loro viaggio iniziatico, vedere il mondo, e magari poi tornare, ricchi e felici: come dice Yonas, il mondo è uno, siamo noi che l’abbiamo diviso. E io sono d’accordo con lui.
Ma noi siamo quei per raccontargli che la strada per la fortezza Europa è cosparsa di morti nel deserto, nel mare e nelle prigioni libiche; che quelli che arrivano spesso fanno le colf, quando gli va bene. E vorrei farlo senza retorica.
I ragazzi ci fanno poi una specie di spettacolo di ballo tradizionale e canti. Si sono inventati una sorta di lavoretto: hanno studiato qualche ballo della tradizione e ogni volta che c’è un battesimo o un matrimonio li chiamano. In genere si trovano il sabato per provare e a quanto pare fanno anche una gara di poesia ma oggi no, forse per rispetto a me che non capisco.
Il gruppo ha ruoli e dinamiche piuttosto statici: il presentatore, i ballerini, il cantante, le ragazze che fanno il caffè… lavorerò, come sempre, a scardinare i ruoli, a suggerire nuove relazioni, per valorizzare le capacità di ognuno.
12 giugno: primo giorno di lavoro
Oggi è il primo giorno di lavoro vero e già sono innamorata di un terzo di loro.
Qualche ora e vengono fuori le prime personalità.
Comincio con dei giochi di conoscenza e di prima fiducia nel nuovo gruppo. Appena c’è un po’ di ritmo ed espressione corporea si divertono molto e sono bravissimi. Quando invece chiedo loro di parlare si irrigidiscono. Un po’ di lentezza nella reazione agli stimoli: per questo domani proporrò un gioco che non lascia scampo: il lancio del bastone. Però in generale hanno una serietà e un’attenzione importante per avere in media 16 anni. Sono coinvolti più i ragazzi, mi chiedo se è un caso oppure se è una questione di ruoli: le ragazze sono più timide, alcune un po’ indolenti, soprattutto se c’è da far fatica.
Io e Alem ci siamo battute per far entrare nel gruppo un paio di grandi non previsti che si sono aggiunti, uno dei quali, Jonas, quello della frase sul mondo senza confini. Poi c’è Sancho, sempre generoso, Tgst, dal nome impronunciabile, svampita, ma che quando balla accende la giornata, India, la più piccola di 13 anni, che è talmente contenta di essere stata accettata che arriva mezz’ora prima degli altri e aiuta a pulire la stanza, Josef, che in un’improvvisazione si è trasformato in un babbuino, Baba, dai capelli sparati e sempre col sorriso…
Lavorare con Alem è fantastico, spesso non devo neppure parlare tanto ha già capito quello che dico.
Ho un po’ di mal di testa dovuto all’altitudine che curo facendo qualche pisolino ogni tanto. Alem per riposarsi invece oggi pomeriggio ha dipinto due pareti enormi con una delle sue barche. Ora vado a dormire anche io: la sera qui comincia alle 6 quando cala il buio, adesso sono solo le nove e mezzo ma è come se fosse notte fonda: non c’è in giro nessuno.
14 giugno: il gruppo e i singoli
“Il gioco del bastone”, che consiste nel lanciarci un bastone prima fermi e poi muovendosi nello spazio, prende molta energia fisica e di concentrazione. Soprattutto quando aumento il numero dei bastoni: ogni volta che uno lancia il bastone ad un altro dice un numero progressivo ad alta voce ma ogni volta che cade a terra dobbiamo ricominciare a contare. E dobbiamo arrivare a 100.
Questo gioco è uno dei miei preferiti per stimolare l’attenzione e reazione agli stimoli e si presta molto bene per spiegare quanto sia importante ogni singolo all’interno del gruppo e quanto basti un attimo di distrazione per far crollare la concentrazione di tutti: esattamente come durante uno spettacolo.
Ci vuole un po’ ma alla fine, con gran soddisfazione, raggiungiamo il numero 100: il gruppo comincia a funzionare, gli occhi sono accesi e siamo complici in una direzione comune.
Nel pomeriggio invece lavoriamo sulla storia del proprio nome, prima a coppie, poi a gruppi e infine davanti a tutti:
È un esercizio che propongo spesso quando voglio entrare nel campo della narrazione: raccontare come ci chiamiamo permette di lavorare su argomento a noi noto e rassicurante e di scoprire allo stesso tempo aspetti della storia personale.
Ma qui non funziona. Le storie non stanno in piedi: alcuni non sanno perché si chiamano in quel modo, o comunque non vi danno peso. Tutti invece si impegnano a raccontarmi come è composta la famiglia e come si chiamano i fratelli e i cugini. Sul momento mi viene da ridere, e taglio corto. Poi capisco: Il singolo non ha molto valore: quello che importa, qui, è ancora la comunità. Anche quando gli propongo di cantare, lo fanno automaticamente tutti insieme: il solista fa il suo pezzo, ma gli altri lo accompagnano, con la voce o con semplici sottofondi ritmici: il gruppo sostiene il singolo.
15 giugno
Tutto bene anzi meglio: finalmente mi è passato il mal di testa da quota.
Ci stiamo divertendo molto e ogni giorno che passa i ragazzi sono sempre più coinvolti…uno è talmente bravo che sembra un attore di Peter Brook, e in generale ballano e cantano tutti benissimo. Peccato che non suonino strumenti musicali, al contrario di quel che pensavamo… ma non importa hanno un senso del ritmo pazzesco… e Alessandra, la mia collega musicista che verrà nella seconda parte del lavoro, quando monteremo lo spettacolo vero e proprio avrà di che fare!
Oggi lavoriamo sui loro sogni. Sono i sogni di un qualunque ragazzo della loro età: chi vorrebbe aprire una biblioteca, chi uno studio di musica, Baba vuole diventare un parrucchiere famoso, Sancho un cantante, Fzum un’attrice, India vorrebbe studiare, Betti e Jamila vorrebbero avere una casa grande e bella e dei figli..
Il mercato:
Oggi io e Alem andiamo a comprare le verdure. Umanità tanta e vestita di colori, nella polvere distesi i sacchi vendete ordinati ortaggi e mucchi arancioni di mit mità, peperonicino. Bambini provano a vendermi strane poltiglie appiccicose, non tanto perché io li compri, ma per il gusto di parlarmi. Si fanno grandi risate quando a gesti gli spiego che se mi mangio quella roba mi vine il mal di pancia e mi regalano bei sorrisi. Sguardi addosso, curiosi ma rispettosi: è un’Africa gentile, poco invadente, educata. Ed uno dei popoli più belli della terra.
to be continued