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Quella che segue è la seconda parte del diario, scritto da Soledad Nicolazzi, sul viaggio in Etiopia, attraverso laboratori e messe in scena, di “Miraggi Migranti”, spettacolo teatrale che nasce dal sogno artistico e umano di Alem Teklu, scultrice etiope. Questo il link della prima parte: Miraggi migranti in Etiopia/1

di Soledad Nicolazzi

16 giugno: i topi sono a casa di Mente

È da qualche giorno che ci penso: voglio proporre la ricerca del proprio animale: mi rendo presto conto che la strada giusta è quella della fisicità, che meno passo dalla testa e più arrivo a dei risultati interessanti.
Il lavoro parte dalle camminate, è uno studio molto approfondito e divertente. Alcuni sono molto bravi, solo qualcuno ha difficoltà. A fine incontro chiedo loro di scrivere una storia legata agli animali ed è qui che Mente ci racconta la storia dei topi.

A casa mia ci sono tanti tipi di topi:
il topo grande, il topo piccolo, il topo che non ci fa dormire e quello matto, il topo ubriaco, il topo ladro…
Tutti questi topi hanno i denti davanti che gli crescono gli crescono gli crescono… fino a che muoiono. Per non morire mangiano tutto quello che trovano. I topi mangiano tutto.
Prima di morire mangiano tutto.

La storia, come tutte le altre, viene brevemente rappresentata. Poi andiamo a casa.
Ma nella notte continuo a pensarci. Quest’immagine dei topi che si rosicchiano questo paese, che si mangiano tutto ciò che c’è di buono mi rimanda alle immagini del brulichio di Addis che anche grazie ai soldi mandati dagli immigrati sta crescendo in maniera esponenziale, lasciando nell’oblio secoli di tradizione, in nome di un progresso velocissimo, che va consumato tutto e subito, ingoiato digerito…
Alla mattina cerco Mente e gli dico che la storia mi piace, e che la vorrei usare come primo testo dello spettacolo. Chiedo di aggiungere qualche particolare alla storia: per esempio qualche topo trafficante, o approfittatore… e poi se può dire il mio paese anziché la mia casa. Su questa seconda proposta non è d’accordo. Gli chiedo se è una storia della tradizione oppure se l’ha inventata. Ha lo sguardo che ride mente e mi dice che è una storia vera, sono i topi di casa sua.

Più tardi ci penso. Non dubito che a casa sua ci siano i topi, ma c’è di più. Il governo etiope ha una politica tendenzialmente repressiva e il controllo è piuttosto esteso. I nostri committenti, all’arrivo ci hanno raccontato che nella città vicina, alcuni mesi fa ci sono stati dei disordini all’università e per questo è difficile accedere ad internet: perché c’è la censura. Ci dicono che è stato molto macchinoso avere i permessi per le rappresentazioni e ci chiedono espressamente di non parlare apertamente di politica con i ragazzi. Io sto zitta e non dico nulla, convinta che fare teatro è già un atto politico di per se’. Ma in questa occasione mi torna in mente… Mente! lui queste cose le sa molto meglio di me. E non ci sta a fare apertamente allusioni al suo paese. Così il giorno dopo torno indietro sulla mia richiesta: nello spettacolo parleremo per metafore, come in Africa, d’altro canto fanno da millenni: metteremo in scena storie di animali. I topi sono a casa di Mente.

Un piede o anche due
Ogni tanto andiamo a fare due passi: case contornate da cactus al posto delle lamiere o delle staccionate in paglia. Le strade interne sono prati, la gente, anche se c`è il fango e vive in case di terra, è pulita e in ordine. Bisogna solo stare attenti a non essere investiti dai calesse, o dalle apine bianche e blu che qui molto pomposamente chiamano taxi…
colazione: mango! pranzo: lenticchie rosse a volontà con varianti. Cena: autogestita…pasta e simili.
Scrivo saltuariamente perché spesso manca la corrente o la linea, o lavoro, o dormo o mangio o mi lavo un piede e se riesco anche due prima che vada via l`acqua…insomma, Goba è così prendere o lasciare…

17 giugno: il leone, la volpe e la scimmia
Ieri alla fine della giornata di lavoro facciamo un’altra lunga chiacchierata.
L’argomento, questa volta non è il migrare, ma che cosa manca qui e che cosa si dovrebbe fare per migliorare la loro città.
Le infrastrutture sono al primo posto delle loro richieste: mancano strade, alberghi per i turisti, ospedali. Nessuno parla delle fogne, d’altro canto il bagno qui ce l’hanno in pochi. I miei tentativi di spiegarli che sarebbe bello se riuscissero a valorizzare i loro luoghi e la loro cultura cade un po’ nel vuoto e suona retorico. Dall’attenzione che mettono nel vestirsi ostinatamente in jeans nonostante gli abbia chiesto di mettersi comodi e dalla cura con cui trattano i loro cellulari capisco che già hanno venduto l’anima al dio del consumismo globale, come noi.
Qualcuno però raccoglie.

Nel pomeriggio Bifa, sempre silenzioso e attento racconta:
C’era una volta un leone, una scimmia e una volpe che vivevano insieme nella giungla. La scimmia aveva paura della volpe e temeva che quando il leone si sarebbe addormentato la volpe l’avrebbe mangiato così avvicina il leone e gli dice: perché non ti fai delle belle scarpe? E il leone chiede, come faccio? facile, risponde la scimmia, uccidi la volpe e con la sua pelle te le costruisci. E così fu. Una volta morta la volpe la scimmia però aveva paura che il leone alla prima occasione se lo mangiasse. Così dice al leone: perché non fai delle scarpe anche a me? E il leone… E come faccio? Sulla collina, al di la del poggio, ci abita un altro leone, risponde l’astuta scimmia, uccidilo e con la sua pelle mi fai delle belle scarpe! oltre il poggio c’è un laghetto limpido. Il leone si specchia nel lago, pensa di vedere un suo simile e per ucciderlo si getta nel lago, affogando.

Come al solito ascolto al storia e vedo le improvvisazioni senza un’idea precostituita. Poi la lascio riposare, per qualche ora, aperta ai pensieri trasversali. Durante la passeggiata serale capisco perché la storia di Bifa mi ha attirato tanto:
Questi ragazzi sono proprio come la scimmia, devono difendersi da tutto ciò che non vogliono più dalla loro cultura tradizionale, e chiedono aiuto a noi per farlo: per liberarsi da una tradizione che vuole le donne asservite all’uomo, che perpetua torture come l’infibulazione femminile si rivolgono a noi, che come il leone possiamo proteggerli, con i diritti che siamo riusciti a conquistarci nei secoli: ma se non stanno attenti potremmo anche mangiarceli.

19 giugno: Grotowski – Maometto 1 a 0
Eccomi alla fine di questi giorni intensi, domani pomeriggio presentiamo il lavoro a tutto lo staff.
La settimana è volata, I ragazzi non avevano idea di avere abbastanza materiali per mezz`ora di spettacolo e oggi durante le filate erano increduli…

Tra I ragazzi la situazione religiosa è piuttosto variegata: ci sono quelli che vengono da famiglie ortodosse, che si comportano come i nostri adolescenti, c`è Abdi che segue rigidamente le regole del ramadam, si astiene dai giochi di contatto e dal cantare, non mangia e va in giardino a pregare negli orari prestabiliti e ci sono quattro o cinque di famiglia musulmana che hanno il velo e vanno in moschea ma che si capisce che lo fanno un po’ perché devono…
Faisa è bellissima, viene sempre con una lunga gonna scura sopra I pantaloni stretti e si copre la testa con un fazzoletto verde a striscie. Ha un’eleganza e un portamento unici. Per una settimana quasi non parla, non riesco a sentire il suono della sua voce. Ha però degli occhi attenti, e anche se non capisce molto l`inglese segue bene il lavoro.
Dopo una settimana di training fisico e vocale, con una spirale che porta sempre di più all’interno del lavoro sia dal punto di vista della concentrazione che per quanto riguarda l’energia, stamattina decido che sono pronti per il training grotrowskiano. Trattasi di una sorta di danza in cui ci si deve muovere tenendo le gambe molto divaricate, le ginocchia piegate e il bacino basso… dopo cinque minuti una fatica pazzesca già a quota 0 figuriamoci quasi a tremila metri, ma ho deciso che è il momento di farlo e mi butto…
Alcuni qui sono dei maestri, come Josef, che chiamo “la pantera” ma anche Sancho, con la sua energia ridanciana e Awel, dallo sguardo aperto. Altri sono più legati, e devo fare la solita fatica per distoglierli dalle posizioni abituali. Poi ci sono le tre ragazze con la gonna e il velo, tra cui Faisa. È chiaro che non potranno mai fare l`esercizio proposto con quell`abbigliamento. Tolgo loro il velo…come faccio quasi ogni giorno, al momento del training. Oggi pero non basta. Io e Alem prestiamo loro dei pantaloni larghi, leggeri, di quelli che usiamo noi.
La trasformazione di Faisa è immediata. È come se il suo corpo, sempre stretto e composto, per la prima volta respiri… le si accendono gli occhi, apre le braccia e danza con una leggerezza e una felicita unici…
Finito l’esercizio, nella pausa, si riveste. Penso che forse è il massimo che potevamo ottenere, una temporanea parentesi ludica strappata al profeta…
Invece, nel pomeriggio, durante il lavoro a piccoli gruppi in cui devono animare le storie che ieri ho chiesto di farsi raccontare da nonni e genitori, Faisa viene scelta come narratrice.
Faisa ha una bellissima voce, domani racconterà la storia più lunga, quella del cavallo Bole che contro al volere della famiglia parte per un viaggio iniziatico nella foresta e quando torna è così ricco di esperienze che diventa il cavallo più forte e famoso del villaggio.
Grotowski – Maometto 1 a 0.

to be continued

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