Di Matteo Minelli
#AgriCulture5
Volevo scrivere della condizione infame dei migranti nei campi di pomodori e negli aranceti, volevo anche scrivere di come si moltiplichino in maniera allarmante i casi di gravi malattie professionali in agricoltura, volevo scrivere di come i veleni di cui sono cosparse le colture finiscano dritti dritti nei nostri piatti e di quanto male possano farci. Volevo farlo e lo farò. Volevo farlo, ma mentre iniziavo a battere la tastiera ho visto, lassù in alto, isolato in mezzo agli altri libri, “La rivoluzione del filo di paglia” e allora mi sono bloccato. Ho deciso che dovevo parlare di questo libro e del suo straordinario autore, Masanobu Fukuoka, perché anche in agricoltura insieme al fuoco della critica bisogna far divampare la fiamma della speranza.
Per chi non lo conoscesse “La rivoluzione del filo di paglia” è un testo straordinario. Uno di quei prodotti intellettuali così unici da non poter avere una precisa collocazione sullo scaffale di una libreria. Lo si potrebbe mettere nel reparto di filosofia, tanto indaga le ragioni dell’essere e dei suoi molteplici significati, oppure in quello di pedagogia, tanta è la sua capacità di influenzare i processi di sviluppo e crescita. Ma potrebbe finire tranquillamente tra le opere di botanica e agronomia oppure nel settore delle dottrine politiche e perfino tra la bibbia e il corano. Si perché “La rivoluzione del filo di paglia” è sicuramente un testo sacro ma al tempo stesso rivoluzionario, come il simbolo che lo accompagna; una falce che invece di sposarsi col martello si unisce ad una semplice, ma mai banale, spiga di grano.
Una spiga che è il passato, il presente e il futuro della nostra specie. Una spiga che assurge al ruolo di agitatore silenzioso, di spettro danzante, di forza primigenia. Una spiga sovversiva e ribelle, umile e armonica. Una spiga che raffigura un intero movimento per il cambiamento della società. Cambiamento dei modelli produttivi dentro e fuori il mondo agricolo, del rapporto tra l’uomo e l’ambiente, delle coscienze individuali, delle abitudini quotidiane, delle strutture mentali. Una metamorfosi in profonda controtendenza rispetto ai giorni nostri e anche rispetto ai tempi in cui Masanobu Fukuoka scrisse la “Rivoluzione del filo di paglia”.
Mentre infatti in Giappone, la sua terra d’origine, e nell’intero mondo industrializzato la chimica, la meccanica e la genetica diventavano i dogmi imperanti in agricoltura, il nostro eroe, perché di un eroe stiamo parlando, tornava alla campagna, animato da uno spirito opposto a quello dei suoi contemporanei. Nato nel 1913 sull’isola di Shikoko, Masanobu Fukuoka, studiò per diventare microbiologo e fino a venticinque anni esercitò tale professione alla Dogana di Yokohama. Fu un crisi salutare ma soprattutto spirituale ha mutare profondamente la sua esistenza. Atterrito fisicamente da una polmonite acuta e profondamente depresso rispetto alla vita che stava svolgendo, egli comprese che tutto ciò a cui aveva dedicato la propria esistenza non aveva alcun valore. Il vuoto della società in cui viveva lo stava consumando.
Così abbandonò lavoro ed amicizie e tornò a vivere nella fattoria di famiglia. Qui iniziò a sperimentare l’agricoltura naturale, che egli battezzò come agricoltura del non fare. Termine che potrebbe trarre in inganno. Non dobbiamo pensare che si tratti di un agricoltura dell’abbandono o dell’incuria, in cui gli uomini stanno semplicemente a guardare. Piuttosto si tratta di un metodo di coltivazione basato sulla profonda conoscenza dell’ambiente e su una cooperazione avanzatissima tra tutte le forme di vita che lo abitano. Un metodo in cui l’uomo non si fregia del ruolo di protagonista assoluto ma cerca di mettersi al servizio di quei processi naturali fondamentali per la nascita e lo sviluppo delle colture. Per tutta la sua lunga vita Masanobu Fukuoka ha sviluppato e corretto questo modello di agricoltura, avendo come stella polare il principio secondo cui se l’equilibrio naturale di un campo viene alterato non esistono pratiche umane che possano compensarne l’alterazione. Anzi più l’uomo cerca con le sue attività di ricreare un equilibrio artificiale nelle campagne più danni a lungo termine arrecherà all’ecosistema dei campi.
Dalle riflessioni e dall’esperienza di Masanobu Fukuoka sono nati i quattro principi dell’agricoltura Naturale. Nessuna lavorazione del terreno tramite mezzi manuali o meccanici. La terra si lavora da sola tramite l’attività di penetrazione delle radici e l’attività dei microrganismi e dei piccoli animali che la abitano. Nessun concime, né composto né preparato. Lasciato a se stesso il suolo conserva naturalmente la propria fertilità. L’utilizzo di pacciamatura e la coltivazione perenne di leguminose sono le uniche pratiche di “fertilizzazione” del terreno. Nessun diserbo, né meccanico né chimico. Le erbe considerate infestanti hanno un ruolo fondamentale: prevengono la lisciviazione, il ruscellamento, aumentano la ricchezza del suolo ed equilibrano la comunità biologica. Semplicemente vanno controllate con la pacciamatura e con alcune piante “concorrenti”. Nessun prodotto chimico. Insetti che noi consideriamo nocivi e agenti patogeni sono sempre presenti in natura ed hanno un ruolo, ma in un ambiente sano non prendono mai il sopravvento poiché vengono naturalmente regolati dalla presenza di altri animali e dalle difese immunitarie delle piante.
È evidente che stiamo parlando di una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Una rivoluzione che prima di essere agricola è rivoluzione delle coscienze, degli spiriti, dell’approccio alla vita. Una rivoluzione che ha funzionato, non soltanto perché ha permesso di avere rese produttive talvolta anche superiori a quelle dell’agricoltura industriale ma che soprattutto ha scosso le consapevolezze, ha messo in dubbio i dogmi, ha ricostruito le comunità. Masanobu Fukuoka ha girato il mondo per portare ovunque il seme del cambiamento, introducendo l’agricoltura naturale in ambienti difficilissimi, in cui infertilità e perfino desertificazione, erano il risultato di decenni di sfruttamento selvaggio del suolo. Era convinto che nessun suolo fosse destinato alla morte e che invertendo la strada si potesse riportare ovunque la vita. E proprio in nome di tale inversione arrivò ad affermare che invece di usare gli aerei per sganciare le bombe e diffondere la morte, bisognava utilizzarli per lanciare su tutti i deserti del mondo miliardi e miliardi di semi, affinché la vita risorgesse ovunque.
Mai come oggi avremmo bisogno di uomini della profondità intellettuale, della semplicità dei costumi, della vitalità e del coraggio che ha avuto Masanobu Fukuoka. Il coraggio di chiamare le cose col loro nome, di non arrendersi mai dinanzi alle fatiche quotidiane, di non abdicare alla propria missione, di non piegarsi alle intemperie del mondo, di non accettare passivamente i dogmi di questa epoca.
Grazie Masanobu, grazie per averci ridato la speranza.
Gli altri articoli di questa rubrica: #AgriCulture1, #AgriCulture2,#AgriCulture3, #AgriCulture4.
Ho letto il libro “La rivoluzione del filo di paglia”.
E sono convinto che Fukuoka ha ragione.
Anche io Gianni ne sono convinto e nel mio piccolo sto tentando di mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Un abbraccio.