di Salah Alzwary
Nel 2008, sembra un secolo fa a pensarci, mi sono iscritto all’Università di Bengasi, la mia città, per studiare Lingua e letteratura italiana. Perché ho scelto l’italiano? Non c’è una ragione, mi è sempre piaciuta l’Italia, anche prima di andarci e quando è senza motivo, è vero amore.
L’università di Bengasi è stata fondata nel 1955 ed è la più antica e prestigiosa della Libia. Ci sono università anche nelle altre città ma chi può permetterselo viene a studiare a Bengasi, perfino dalla capitale Tripoli. Si tratta di un campus sterminato, di circa 460 ettari, una città universitaria all’estremità orientale della città, in cui sono presenti tutte le facoltà, insieme a servizi e residenze per gli studenti da fuori.
Prima della Rivoluzione la situazione all’interno dell’università era tranquilla, non mi sono mai trovato in mezzo a disagi. Solo dopo la Rivoluzione ho scoperto che l’edificio confinante con l’università, che nessuno sapeva cosa fosse, era in realtà una grande caserma denominata “7 aprile”, richiamando in modo inquietante il giorno in cui una grande rivolta studentesca fu repressa da Gheddafi con l’impiccagione pubblica degli studenti ribelli, il 7 aprile 1977 appunto. La caserma era quindi posizionata al fianco dell’università per tenerla sotto controllo, ma di questo al tempo non si sapeva nulla.
Nel mio corso c’erano circa 100 studenti, provenienti da tutte le parti della Libia. Dentro l’università c’era un servizio di sicurezza non armato. I dipartimenti linguistici della Facoltà di Lettere che frequentavo erano quattro, dedicati all’arabo, all’inglese, al francese e – il mio – all’italiano.
Il 17 febbraio 2011 è scoppiata la Rivoluzione e il giorno stesso l’università di Bengasi ha cessato le attività. Malgrado il paese fosse in preda ai disordini, l’università non è mai stata attaccata. Nemmeno quando l’esercito di Gheddafi ha riconquistato provvisoriamente Bengasi il 19 marzo 2011. Provenendo da Tripoli, quindi da ovest, l’università è la prima struttura di Bengasi che l’esercito ha incontrato (e non si trattava di un esercito qualunque dato che quando la testa era alle porte dell’università, la coda si trovava ad Agedabia, città a 160 km di distanza da Bengasi). In ogni caso l’università non è stata toccata perché da qualunque parte si stesse se ne percepiva l’importanza.
La Rivoluzione è terminata il 20 ottobre 2011 con la morte di Gheddafi e già a novembre è ripresa a pieno ritmo l’attività universitaria dopo otto mesi di stop. Quell’ultimo anno di università me lo ricorderò sempre perché l’ho passato interamente a studiare, dato che dovevo recuperare l’anno perso e quindi fare due anni di esami in uno. Ce l’ho fatta, laureandomi regolarmente a novembre 2012. Già a inizio 2013 lavoravo nella stessa università come assistente al professore di Grammatica Italiana, un egiziano.
Nei primi tempi successivi alla Rivoluzione non ci sono stati problemi di alcun tipo all’interno dell’università, anche se scoprimmo che il campus era compreso fra due caserme, un tempo entrambe occupate dall’esercito di Gheddafi. Quella cosiddetta del “7 aprile” è diventata sede dei ribelli mutando il nome in “17 febbraio”, data di inizio della Rivoluzione. Nel giro di breve tempo però, questa è diventata la sede dei miliziani dell’Isis ed è tuttora il luogo principale degli scontri in tutta Bengasi, ormai quasi del tutto riconquistata dall’esercito regolare. Quest’ultimo trovava invece la sua roccaforte in una caserma dall’altro lato dell’università, che quindi era al centro di un potenziale campo di battaglia.
Già prima dell’inizio della guerra, dalla fine del 2013, il clima è cominciato a cambiare. Diverse bombe sono cadute sull’università lanciate da una delle due caserme, l’università è stata chiusa e riaperta diverse volte, capitava di vedere studenti sequestrati dai militari e spesso subivo molestie verbali per il fatto di studiare l’italiano, “la lingua del nemico” secondo alcuni.
Allo scoppio ufficiale della guerra, il 17 maggio 2014, non solo l’università è stata chiusa definitivamente, ma il campus proprio in virtù della sua posizione è diventato luogo principale degli scontri. Ogni riguardo rispetto l’importanza della struttura è stato perso e ci sono foto eloquenti circa i danni subiti dall’università, oggi in gran parte distrutta. Il preside garantisce che il sistema operativo è stato messo in salvo, di modo che non si perdano i dati circa i laureati dell’università mentre poco si sa del destino dei libri, degli strumenti e di tutti i beni contenuti nell’università.
Quanto a me, a maggio, pochi giorni prima dello scoppio della guerra, il mio professore ha appeso in dipartimento un foglio con le informazioni per delle borse di studio messe a disposizione dal governo italiano per gli studenti libici. Inizialmente non volevo partecipare perché il mio sogno era diventare professore universitario in Libia e la laurea italiana lì non viene riconosciuta. Per fortuna mi sono convinto e ho presentato la domanda all’ultimo giorno disponibile. Sono stato selezionato e il 22 settembre 2014 sono arrivato in Italia. Attualmente studio all’Università per Stranieri di Perugia e da casa mi arrivano immagini di quel che resta (non molto) dell’Università di Bengasi.
*Leggi anche il mio precedente articolo per Emergenze, testimonianze dirette dalla Libia.