di Pancrazio Anfuso
Ci sono due ciminiere, a Piombino, che ricordano le Torri Gemelle del World Trade Center di New York. Nessuno le ha abbattute, però. Stanno lì nonostante l’acciaieria abbia da tempo chiuso i battenti, disperdendo l’enorme patrimonio umano dei lavoratori che per decenni hanno sacrificato la salute a una fatica massacrante.
Ci sono le ciminiere, insomma, ma non i lavoratori. E viene da pensare: che fine hanno fatto gli operai? Dove si sono nascosti, incalzati dal mondo patinato della pubblicità e lontani anni luce da ogni modello attuale d’inclusione sociale?
Eppure gli scaffali dei centri commerciali sono zeppi di merci, che siano low cost oppure di gran lusso. Chi le produce? Dove sono le fabbriche? Che fine ha fatto la Classe Operaia? Forse si è persa mentre cercava il Paradiso. Oppure ha dovuto abbandonare ogni illusione, tradita dall’ideologia e impossibilitata a portare avanti la contrapposizione con i Padroni che teneva banco negli anni ruggenti della Lotta di Classe.
La formula che riassumeva in un lampo l’esistenza di molti, una volta, era ProduciConsumaCrepa. Forse la si potrebbe aggiornare in uno SparisciConsumaCrepa più al passo con i tempi. Alla forza della massa di lavoratori che cercava di prendere coscienza della propria condizione e di lottare per cambiarla si è sostituita la debolezza diffusa di un corpo sociale frammentato e impaurito, bersagliato dalla crisi, che paga il prezzo più alto in termini di peggioramento della qualità della vita.
Milioni di persone che potremmo figurarci accalcate fuori da un ristorante di lusso, mentre premono il naso sulla vetrina che mostra loro come vivono i privilegiati della società della ricchezza polarizzata, che aumenta aumenta aumenta in mano a pochi e a scapito di molti molti molti senza alcuna speranza e con la sola consolazione dell’acquisto low cost, compulsivo nei limiti angusti delle tasche esauste.
Una moltitudine da sfruttare per permettere gli eccessi di un’élite.
Mi capita di pensare alle facce stanche che vedevamo sugli autobus, la sera, tornando dal lavoro, alle mani grandi dei manovali, alle economie di famiglia basate sulla fatica quotidiana senza fine. Facce che oggi sembrano impaurite, talvolta ostili nei confronti di chi ha attraversato il mare per ritagliarsi una speranza. Facce che potrebbero, se ne avessero la forza, spiegare cos’è la disillusione. Me le immagino, però, col sorriso: vorrei vederle sperare di nuovo in un futuro da costruire con le proprie mani.
Sognando di abbattere quei Recinti invisibili che diventano feroci, nelle periferie, sui confini del mondo. Perché l’utopia è necessaria. O essere utopisti o sparire, diceva il Poeta. Bisogna ricordarsene.