di Sara Datturi
Tornare negli Stati Uniti dopo otto anni, ritornarci con mio padre, scoprire lati del suo essere a me ancora nascosti o dimenticati da una vita frenetica che non ti permette di soffermarti o coltivare quelle relazioni speciali che hai vicino è stato davvero magico.
Mio padre e la sua costante frenesia, comunicatore impeccabile, innamorato del mondo e delle sue mille sfaccettature, intelligente e curioso. Sognatore, autonomo ed altruista, dolce critico. Osservatore infallibile, amante di ogni infrastruttura e angolo di marciapiede.
L’America vista attraverso gli occhi e il cuore di mio padre, un’emozione unica, che mi stringe il cuore, che mi ha permesso di riscoprire non soltanto un paese dove ho vissuto un anno della mia vita, ma di poter condividere il viaggio, la riscoperta di persone, luoghi, chilometri e distese di verde con più colori, musica, sapori, risate.
Mio padre e la sua ironia, gioia, semplice e costante amore per la vita, per quell’innata naturalezza di sapersi soffermare nel sentire ogni singola particella umana dell’esistenza, una poesia infinita, il suono di pianoforte costante nelle orecchie.
Lui che bello e in forma nei suoi sessantasei anni è riuscito a camminare chilometri e chilometri a New York, Toronto e Washington con il viso all’insù, con la sua macchina fotografica in mano pronto a scattare e immortalare per sempre momenti, treni, persone, quadri, pezzi di ferro e bandiere per paura forse che non gli rimangano nella memoria per sempre.
L’orgoglio di un padre, l’intelligenza di un uomo che ha lavorato con umiltà e coraggio per cercare di dare a se stesso e ai suoi figli, il diritto e l’opportunità di scegliere.
Ho scoperto un uomo che ha sofferto tanto, ma che ha trasformato il suo dolore, la sua impossibilità di scegliere, in battaglia, in forza e amore per la vita.
L’uomo che ho riscoperto, e scoperto in queste settimane è capace di sentire l’altro in ogni suo lato, di coglierne l’essenza, di leggerne il comportamento e ascoltare i suoi lati grigi di sofferenza, disagio, paura.
Mio padre e il suo amore per i giornali, il buon caffè e il nuovo. Lo rivedo leggere tutti i cartelli stradali, ripetere le sue tre frasi in inglese, gustarsi ogni nuovo sapore e profumo con spirito vero, dolce, sentito.
Bello nella sua curiosità genuina, nel suo entusiasmo per il nuovo. Critico e analista di ogni singolo segmento di questa società così variegata e variabile, ironico nei suoi parallelismi con la cultura europea.
L’emozione di farlo percorrere le strade di una Carmel (cittadina dello stato di New York) immersa nel verde, tra laghetti da favola, scoiattoli e cerbiatti. Strade che ho percorso tante volte con gli occhi di una diciassettenne e che otto anni dopo sono cambiate.
Il riabbracciare amici e familiari insieme a lui, permettergli di cogliere l’essenza di Greg, la sua sensibilità e responsabilità nel coltivare valori quali l’eguaglianza, la libertà d’espressione e il suo essere incazzato per un governo che proclama d’esportare la pace e la ricchezza attraverso l’oppressione e le armi. Greg e la sua voglia instancabile di conoscere, scoprire, decostruire tutte le pazzie passate ed attuali dei governi americani e globali, delle dittature e di un sistema occidentale dominato dall’avere, produrre e consumare per dimenticare l’essere. Cristine ancora con gli occhi accesi, anche lei curiosa alla ricerca del modo più sano per convivere con la povertà, la sofferenza e il disagio delle tante persone che vengono da lei per essere curate.
Devin e Cristopher, così uguali e diversi, belli nei loro capelli arruffati, alla ricerca costante di quell’equilibrio tra felicità, incazzatura e le mille forme d’amore in cui l’essere umano è capace d’immergersi. Sono tutti loro belli, mio padre che li abbraccia, comunica con ognuno di loro senza una lingua che li accomuni. Li guardo, mi lascio assaporare dalle loro magiche gesta, dalla sua curiosità e amore per l’altro.
Ogni chilometro di macchina per andare a Carmel, New York, alle cascate del Niagara, Toronto, il lago di Erie, l’Indiana, Cedar Falls, Washington è stato un viaggio dentro il cuore e la personalità di mio padre, un tornare nel passato e riconnettersi con chi si è stati, abbracciare ancora quelle sensazioni e persone che t’hanno permesso di capire chi volevi essere e dove volevi andare.
Ho due famiglie, forse in questi anni ho avuto multiple famiglie in ogni posto in cui ho vissuto e lavorato, questo viaggio è stato per me il riconciliarmi con un turning point della mia vita, il connettersi con un uomo che amo e stimo, il poter condividere paure, emozioni, futuro, sensazioni e pezzi di noi attraverso una cultura, quella Americana, dove tutto è gigante, dalle porzioni, ai palazzi, al modo di parlare e d’esprimersi, un tutto che rispecchia il dolce e amaro dell’esistenza.
Volo via con una sensazione di disuguaglianza, con la voglia di poter rigirare un sistema intrinsecamente malato ed ottuso, dove donne, uomini sono spesso inconsapevoli della forza e capacità che hanno di poter giocare un tassello importante in questa giostra umana.
Mi ricordo che a diciotto anni, prima che ripartissi per l’Italia, il mio papà ospitante Greg mi disse che prima o poi con il passare del tempo avrei smesso di essere innamorata e di credere negli esseri umani. Ecco, adesso dopo otto anni di distanza, questo non è ancora cambiato. Nonostante tutta l’ingiustizia, ostruzionismo, ignoranza, arroganza, sete di potere, morte, distruzione e sofferenza che la maggior parte delle persone affrontano a causa di una piccola parte che ha in mano falsa ricchezza e potere decisionale, io credo fermamente nell’ingegno umano, nella sua innata tendenza ad amare ed accogliere, cooperare e sentire l’altro.