di Matteo Minelli
Il ventunesimo secolo è l’epoca delle associazioni ambientaliste che si battono per “salvare la Terra” dal disastro ecologico. Organizzano eventi, animano dibattiti, promuovono campagne di informazione, raccolta fondi e pressione dal basso su governi e istituzioni. Insomma si battono e si sbattono, più o meno radicalmente, con più o meno trasparenza, ma sempre ottenendo scarsi, anzi direi scarsissimi, risultati.
Sarà che hanno parecchi e strani rapporti con certi ambienti della politica e dell’economia. Ma loro dicono che altrimenti non si va da nessuna parte. Sarà che hanno una visione un po’ troppo antropocentrica dell’universo. Ma loro dicono che senza l’uomo non si può fare nulla. Sarà che passano più tempo a raccogliere consenso che a fare informazione. Ma loro dicono che senza compromessi non c’è cambiamento possibile. Sarà che gli piace lottare contro giganti dai piedi d’argilla e con le armi spuntate. Ma loro dicono “un nemico alla volta”. Sarà che certi argomenti non li affrontano proprio. Ma loro dicono che bisogna essere cauti, affabili, accattivanti.
Sarà che gli interessa più conservarsi che conservare il pianeta? Sarà che hanno paura di affrontare argomenti scomodi per non perdere preziosi sostenitori? Sarà che stanno uccidendo l’onda verde, il movimento, le lotte? Forse dovremmo smettere di ascoltare quello che dicono e iniziare a raccontare una storia diversa.
Una storia in cui la Terra ha le pezze al culo ma si salverà, perché pensare di essere così importanti da distruggere l’intera vita sul pianeta significa continuare ad alimentare quella visione ingigantita del nostro ruolo che tanto male ha fatto e tanto ne sta facendo. Una storia in cui quelli che camminano su una fune sospesa nel vuoto sono gli esseri umani, incapaci di vedere più in là del loro naso e di elaborare previsioni che vadano oltre la chiusura serale delle borse. Una storia in cui le responsabilità individuali di ognuno di noi sono drammatiche.
Per salvarci e per contribuire a migliorare la condizione degli altri esseri che popolano la Terra, è assolutamente necessario che dal momento in cui mettiamo i piedi a terra la mattina fino a quando non li rinfiliamo nel letto la sera, ci incanaliamo in un percorso che metta al centro la riconversione delle nostre stesse esistenze. Il lavoro che facciamo, i prodotti che compriamo e soprattutto che non compriamo, le nostre abitudini sociali, le scelte alimentari, il sabato sera, i locali vissuti la notte, le discussioni al bar; tutto questo incide in maniera determinante sul mondo che ci circonda. Soltanto cambiando la nostra quotidianità potremmo dare il via ad un grande contagio ecologista.
Di pari passo al ribaltamento delle nostre pratiche giornaliere occorre aprire una profonda riflessione sull’onnicomprensività della “questione ecologica”. Il tema ambientale è padre e madre di tutte le grandi tematiche del nostro tempo. Esso non può che straripare dagli argini in cui gli ambientalisti di professione lo hanno voluto relegare, non può che rompere i recinti entro cui gli ideologi degli scompartimenti stagni hanno voluto ingabbiarlo, non può che stracciare gli abiti istituzionali che gli sono stati cuciti addosso. Solo un movimento capace di comprendere che la questione ecologica ha la potenza e la necessità di abbracciare le grandi sfide filosofiche, sociali, culturali, artistiche, psicologiche che questa epoca ci pone dinnanzi, può competere nell’unica gara che conta vincere: quella per la salvezza dell’umanità, delle altre forme di vita, della Terra. Una salvezza che se non sarà in primo luogo morale non potrà divenire mai biologica.
Sì lo so è faticoso, è pesante, è difficile. Ma non c’è alternativa.
Se viceversa continueremo a berci la narrazione flaccida e farlocca degli ambientalisti di professione secondo cui basta mettere quattro lampadine a risparmio energico, donare cento euro l’anno ad ex bracconieri convertiti al conservazionismo e chiudere le ultime cinquanta tigri dentro un parco che somiglia più ad un carcere che ad un ecosistema, allora quella spada di Damocle sospesa sulle nostre teste non potrà che finirci addosso.
Inorriditi dalla prospettiva di finire segati a metà da una lama che avremmo preferito destinare ad altri più nobili usi e consci delle nostre responsabilità, abbiamo deciso di intraprendere, come collettivo Emergenze, un cammino di azione e sensibilizzazione, di noi stessi in primis, e di tutti coloro che avranno il desiderio e la forza di parteciparvi. E siccome, per natura e per missione, ci tuffiamo al contrario partiamo con l’affrontare questo grande tema da una delle prospettive più trascurate dagli ambientalisti di facciata: l’impatto animale sugli ecosistemi a livello globale.
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