di Francesco Merlino
C’era una volta.
Così iniziano tutte le favole e così merita di iniziare anche la storia di Hugo Pratt, storia che impone, a chi ha il compito di narrarla, di essere raccontata proprio come una favola.
Dunque c’era una volta a Venezia una Corte, ossia un cortile interno o, più in generale, uno spazio aperto esclusivo, limitato al beneficio di pochissime abitazioni, il cui nome era Corte Sconta, che in veneziano vuol dire nascosta o arcana. Per chi volesse cercarla sulle cartine, oggi, però, il nome è cambiato in Corte Botera, probabilmente per l’antica presenza di una bottega di fabbricanti di botti.
Qui il piccolo Hugo Pratt accompagnava la nonna a trovare una vecchia amica e, mentre le due anziane signore giocavano a carte e parlavano in una lingua incomprensibile ad un bambino, sfogliava con lo sguardo gli antichi cimeli che giacevano sugli scaffali, abbandonando la vita vera ed entrando in quella vita immaginata, fatta di storie, personaggi ed avventure, dalla quale non sarebbe mai più uscito.
Forse già vestito dei panni di Corto Maltese, il marinaio che diventò la sua più grande creazione, oltre che il suo alter ego e migliore amico, Pratt iniziò così a viaggiare. Ed essere un cittadino del mondo dovette risultare semplice, oltre che naturale, per quel ragazzo che vedeva concentrarsi in lui patrimoni genetici convergenti da punti cardinali e culture tra loro opposte: il padre era un militare romagnolo fatto prigioniero e morto in un campo di concentramento in Africa, la madre una veneziana appassionata di esoterismo e scienze occulte, figlia di un poeta dialettale ebreo e marrano, il nonno paterno era inglese e la nonna di origini turche.
Hugo Pratt fu quasi costretto a viaggiare, con la fantasia e non solo, suggestionato dalle storie di popoli lontani e vicini, che conosceva ancor prima che qualcuno gliele raccontasse, insite nel suo genoma. Fu lui stesso a dire che la sua vita era cominciata ben prima che lui nascesse e che sarebbe continuata, anche senza di lui, per molto tempo.
Dicono che non riuscisse a restare per più di un mese nello stesso posto, sempre in cerca di nuove terre, nuove avventure da immaginare e da far vivere a Corto Maltese, che era la proiezione ideale delle sue evasioni continue e necessarie dalla realtà. Così ci furono l’Argentina, l’Irlanda, l’Egitto, la Cina. Toccò tutto il mondo, con la mente e con il cuore ancor prima che con le suole.
Ma come dice Cesare Pavese ne La Luna e il Falò “un paese ci vuole, non fosse altro che per il gusto di andarsene via”, ed il paese di Hugo Pratt, nonostante fosse nato, quasi per errore, a Rimini, era Venezia. A Venezia passò la sua infanzia e da Venezia partì per la prima volta, da quella casa piena di oggetti misteriosi in Corte Sconta. Ed ogni storia, ogni suggestione, cominciava da lì, da quella città che, proprio come Pratt, è il risultato incredibile della convivenza di popoli, razze e culture diverse.
Venezia, a pensarci bene, è una metafora gigante del viaggio e dell’incontro, un miracolo che si regge sull’acqua, una città che galleggia su un tapis roulant sterminato, che la porta ovunque pur non muovendola mai, crogiolo di incontri tra etnie, casa immobile ed al contempo ambulante.
E Hugo Pratt, il marinaio, non poteva che nascere qui (artisticamente parlando). Tutto il suo corpo parlava di mare, dal colore degli occhi alla ruvidità della pelle, dalla stazza imponente al cappotto blu. Aveva la fortuna di navigare per passione e non per necessità, così come per passione visse tutta la sua vita, provocando, in chi lo conosce, una profonda invidia. Se i bambini sapessero, fin dalla più tenera giovinezza, chi è Hugo Pratt, probabilmente più nessuno vorrebbe fare l’avvocato.
Ma chi era in fondo Hugo Pratt?
Un viaggiatore sicuramente, di certo un grande artista, tanto che Laura Scarpa, fumettista veneziana, disse che dopo Canaletto, Tiziano e Tiepolo venne lui, un coltissimo scrittore, tanto che Umberto Eco affermò che quando voleva divertirsi leggeva Hegel e quando voleva impegnarsi leggeva Pratt; ma più di tutto fu un sognatore, o almeno ciò che rimane di un sognatore quando riesce a realizzare i suoi sogni.
Arrivare a Corte Sconta detta Arcana è relativamente semplice: da Rialto si prosegue in direzione di Campo SS. Giovanni e Paolo, una volta lì ci si incammina lungo Salizada San Zanipolo fino a Corte Veniera, la quinta a destra, quindi si svolta. Pochi metri e ci si ritrova sull’orlo, dove Venezia incontra l’acqua, allora si continua a camminare con le spalle al muro, stando attenti a non cadere, suggestionati dalle storie in cui gli esploratori si ritrovano a risalire la montagna lungo un sentiero stretto, a strapiombo sul burrone. Poi il bordo si allarga e si arriva, con grande delusione, davanti ad un cancello.
Lì dietro c’è Corte Sconta, nascosta davvero dalle inferiate di ferro che gli abitanti hanno messo a baluardo della loro vita privata, impedendo a chi ha voglia di sognare, la visione del luogo in cui iniziò la fantastica avventura di Hugo Pratt.
Ma per chi è un sognatore ed un uomo d’avventura quel cancello non è altro che l’ennesima prova da superare, e non esita ad aprirsi sospinto dalla fantasia, che aiuta a percepire con palpabile certezza che in Corte Sconta c’era una volta, ma c’è ancora oggi, Hugo Pratt.
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