Ero molto scettico quando mi hanno messo tra le mani il primo numero della rivista “finanziaria” Hacking Finance. Soffermandomi sulla copertina e visitando velocemente il sito web del movimento che sta alla base del progetto, se possibile, lo sono diventato ancora di più: non si accenna minimamente alle politiche monetarie, alla crescita del PIL, ai tassi di cambio o all’andamento dei mercati azionari.
Sfogliando poi le 160 pagine del primo numero, mi sono reso conto che non c’è nemmeno un grafico.
Come si può pretendere di parlare di finanza senza grafici?
Approfondisco, deciso a capire l’idea di fondo e la storia del movimento. Sentivo che doveva esserci qualcosa di più.
Inizialmente avevo l’impressione che si trattasse dell’ennesimo tentativo di migliorare il mondo da parte del gruppo radical chic di turno con la sindrome di Robin Hood.
Noto, però, che dietro tutto c’è un certo Sean Park, uno che di finanza qualcosa ne capisce, sicuramente più di me, avendo passato una vita sui mercati azionari e nell’investment banking.
Vista la sua credibilità, non posso che indagare oltre. Scopro, così, che nel 2011 Sean Park invitò fior fior di accademici, banchieri e imprenditori con l’unico scopo di conoscersi, a mangiare formaggio seduti su balle di fieno, provando a immaginare una finanza diversa. Da quel momento l’Anthemis Hacking Finance Retreat ha visto centinaia di partecipanti contribuire con idee coraggiose e storie da ogni parte del mondo, storie che avevano bisogno di una voce.
Ok, a questo punto mi avevano quasi convinto che fosse qualcosa di diverso, di serio, così mi immergo nella lettura del primo articolo. Del secondo. Del terzo. Poche ore e avevo letto tutto il numero senza mai staccare gli occhi da quel giornalino psichedelico, dalle sue pagine colorate, dalle esperienze riportate.
Al suo interno ci sono racconti di persone che hanno avuto il coraggio di pensare fuori dagli schemi. Storie come quella di Rebecca Davis, che porta cultura e istruzione in paesi come il Rwanda attraverso le sue scuole di ballo. Come quella di Hugo Spowers, che in Galles ha creato un’automobile alimentata a idrogeno cinque volte più efficiente di quelle prodotte da Toyota; o di John Stein, che è riuscito a creare un sistema di robo-advisory (consulenza finanziaria automatizzata) in grado di mettere insieme uomo e tecnologia (per fortuna).
La rivista ci spiega poi come sta evolvendo il nostro mondo. Pare che lo Spazio sarà la nuova Silicon Valley, che, con la tecnologia Blockchain, riusciremo a preservare le opere d’arte di tutto il mondo e, addirittura, che gli afroamericani gay saranno i colonizzatori del futuro, mettendoci, allo stesso tempo, in guardia dalle minacce della Information Era.
Questo primo numero, come tutto il movimento di Sean Park (il primo a crederci impegnandosi anche economicamente), abbraccia, in senso figurato e non, l’ideale di Carlota Perez, cui è dedicata la parte centrale. Visionaria venezualana di ormai 80 anni che non è mai stata a suo agio con le etichette. Non le piace essere definita né economista né sociologa, e in effetti il suo impegno va ben oltre (per capirci la sua prima laurea è in architettura).
Secondo la Perez il mondo evolve ciclicamente, a ondate (le “waves” di cui parla continuamente nei suoi libri), per cui ad ogni Golden Age segue una recessione che si supera con un boom innovativo, che va cavalcato come una marea da tutti, Stato in primis, altrimenti la crisi successiva (che arriverà) sarà ben più profonda.
Ci ho messo tempo ad elaborare il tutto, la rivista invita alla riflessione, anzi non ti dà scampo: allora sì, si può parlare di finanza senza grafici.
Non so se riusciranno a cambiare il vecchio e imperturbabile mondo finanziario, ma di sicuro i ragazzi di Hacking Finance hanno cambiato un po’ la mia visione di quel mondo.
Per sfogliare e acquistare Hacking Finance: