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Risbaglierò,
come ho sempre fatto.
Non c’è nulla da fare
anche al prossimo giro:
incasinerò tutto.
Naufragherò
in un altro sorriso,
poi bottiglie scolate
per chiuderci dentro
messaggi a nessuno.
(Messaggi a nessuno, Giorgio Canali)

Sono le otto. È sabato sera, la mia compagna è partita da circa una mezz’ora per la sua partita di pallavolo e io non so dove ancora trovi la forza di farlo. Fuori ci sono i lampi, piove incessantemente da giorni, tra poco dovrei farmi una doccia e uscire anch’io ma mi sono promesso che entro il pomeriggio avrei finito e consegnato l’articolo sul libro Narrative in fuga, una raccolta di saggi e prefazioni di Gianni Celati. Avrei dovuto farlo almeno una settimana fa, ma ho scritto almeno una decina di cartelle senza trovare il filo di un discorso che potesse dargli una forma coerente, il verso di un qualcosa anche minimamente pubblicabile. Adesso, solo adesso mi chiedo Narrative in fuga da chi, Narrative in fuga da che cosa? E un altro tuono scandisce la fine anche di questo pensiero ricordandomi che l’acqua per la tisana sui fornelli sta bollendo da almeno mezz’ora. Per il momento niente vino.

Prendo una delle tante partenze, la taglio e la incollo: io Gianni Celati, fino a due settimane fa, non lo conoscevo.

Mancanza mia, certo, anche se ormai dovrei abituarmi al fatto di essere arrivato alla lettura con vent’anni di ritardo rispetto al resto del mondo, con tutto ciò che ne consegue. Per esempio con il fatto che il libro più importante è sempre quello che devo ancora leggere e altre banalità del genere, che non finirò mai di sorridere incerto a chi mi parla di libri anche molto famosi ma che non ho mai aperto, oppure che proprio non ho mai nemmeno sentito nominare.

Gianni Celati, ho avuto la fortuna di capire in queste settimane, è un autore a cui mi sono reso conto di dovere moltissimo, e non avrò certo la pretesa in queste poche righe di dire qualcosa sulla sua figura, sulla sua rilevanza nel panorama della letteratura italiana, anche perché sono io il primo a non saperlo.

È nato a Sondrio nel 1937 e contrariamente alla quasi totalità degli autori stranieri di cui parla nel suo libro Narrative in fuga, edito da Quodlibet e ancora caldo di stampa (ottobre 2019), è ancora vivo ed abita a Brighton, nel sud dell’Inghilterra, anche se come lui stesso afferma in molte interviste potrebbe puntare il dito sul mappamondo, scegliere un posto a caso e quello si legherebbe con la sua storia, con la sua visione del mondo, con la sua idea, sacrosanta, che tutti i luoghi siano interessanti e che sbagliare strada e poi fermarci è un lusso che ultimamente ci concediamo in pochi.

Giù un altro tuono, più forte di quelli di prima, la cosa comincia a piacermi, penso a Tiziano Terzani quando in Un indovino mi disse (TEA, 1995)scrive che «La miniera è esattamente la dove si è: basta scavare», credo che Celati sarebbe d’accordo.

Copio ed incollo un’altra delle partenze che avevo pensato: il libro di Gianni Celati mi ha entusiasmato. Gianni Celati mi ha entusiasmato, anche se entusiasmato è una di quelle parole che fanno Azione Cattolica e so bene che non si dovrebbe usare.

Oltre che essere uno scrittore e un traduttore (sua la traduzione de l’Ulisse di Joyce, della Certosa di Parma di Stendhal, de Il Gulliver di Swift e di molti libri di Céline, solo per citarne alcuni peraltro presenti nel libro), Celati si è avvicinato nel corso della sua vita anche ad altre forme d’arte visuale, nella lunga collaborazione con il fotografo e amico Luigi Ghirri, come regista di alcuni documentari e poi anche come attore nel docu-film Mondo nuovo di Davide Ferrario del 2003, il cui sottofondo è accompagnato dalle musiche di Giorgio Canali (altro idolo indiscusso, ma questa è un’altra storia), di cui consiglio la visione.

Narrative in fuga è una raccolta di saggi scritti da Gianni Celati curata da Jean Telon.

Taglio e incollo l’ennesimo aborto di partenza: le prefazioni e i saggi introduttivi ho sempre cercato di evitarli.

Così come evito di guardarmi allo specchio prima di uscire dal barbiere, mentre lui aspetta curioso che mi rifletta con cura in quell’immagine e faccia un cenno con la testa e magari un sorriso come a dire “perfetto”.
Come evito con cura il secchio dell’umido quando sono sei o sette giorni che io o Elena ci dimentichiamo di buttarlo.
Così come evito le code stradali in autostrada, quando sono in ritardo, anche a costo di allungare il tragitto mettendoci poi alla fine lo stesso tempo e forse anche qualche minuto in più.
Così come evito sempre, o quasi, di dire a mia madre che no, neanche questa volta sono riuscito a pranzare.
Come evito, anche se ho netti margini di miglioramento, l’aglio e la cipolla nei cibi.
Come evito di dire al commesso, anche quando ho la certezza che non comprerò mai nulla di quello che mi sta proponendo, che non mi interessa, che grazie, ma non comprerò quei pantaloni anche dovessi fare un giro lungo dieci anni.

Ecco, in linea generale, cerco sempre di evitare le prefazioni o le presentazioni dei libri. Specialmente quando sono saggi introduttivi lunghissimi.
Quelle 15/20 pagine contrassegnate dai numeri romani, che fanno letteralmente passare la voglia di andare avanti, che spezzano le mie tenere ali da lettore perché, in effetti, non lo capirò mai fino in fondo quel libro, non scoverò mai tutte le sottotrame, gli intrecci, le motivazioni che hanno portato l’autore di turno a scrivere quella determinata cosa in quel determinato modo. Perché tanto non riuscirò mai a ricostruire il contesto, la vita dell’autore come colui che adesso, appena prima di mettermi in cammino per provare a scalare la montagna dell’opera in questione, mi mette addosso un peso enorme, con paroloni altisonanti e mi schiaccia a terra con frasi come “si frantuma nella molteplicità equipollente delle manifestazioni artistiche e si dissolve insieme nella perdita dell’Io creatore”.

Così che io, molteplicità equipollente a innumerevoli altre mi senta scoperto, sporco e in imbarazzo nel tentativo di avvicinami a questa pietra miliare della letteratura senza prima essermi rinfrescato, ripulito, purificato alla fonte del sapere. E con ogni probabilità abbandoni l’idea di leggere quel libro.

Eppure le prefazioni di Gianni Celati, la raccolta di quello che ho sempre considerato per me una zavorra di cui liberarmi il prima possibile, si leggono come si potrebbe leggere un qualsiasi racconto, non un racconto di Carver, certo, di cui tra l’altro Celati parla quando affronta il capitolo sugli scrittori della solitudine americana, e questa è stata un’altra, l’ennesima, bella scoperta. Oltre che un grande maestro, Celati è anche un grande narratore. Posso assicurare che la cosa è meno scontata di quanto sembra.

Fuori è un vero inferno, si sono fatte le nove e il mio animo contro-rivoluzionario mi dice che forse sarebbe meglio rimanere in casa. Riprendo fuori gli appunti presi sul quaderno mentre leggevo le pagine di Narrative in fuga. C’è tutta una prima parte bellissima in cui Celati parla del racconto Bartelby lo scrivanodi Hermann Melville, uno scrivano che ad un certo punto nel mezzo del suo lavoro, smette di scrivere e rimane immobile a guardare un muro. E l’ozio, ci dice Celati, in questo particolare passaggio del racconto diventa tutto ciò che l’utilitarismo considera il male del mondo. Fare fare fare.  Descrivendo questa figura ci parla della scrittura come atto in potenza, cioè come qualcosa che riposa in sé senza esteriorizzarsi in opere o fatti… niente è ora di andare. Di questo libro ho detto poco o nulla, per il resto spero che abbiate la voglia di andare infondo alle scalette di Sant’Ercolano e leggerlo in Edicola.

Ultima partenza: ci sono molti modi per leggere i libri.

Si può aprire un account Amazon (e similari) e sbizzarrirsi credendo di aver risparmiato due euro a libro standosene seduti davanti al proprio computer. Si può andare in libreria, stare ore a vagare tra gli scaffali con l’acquolina in bocca come se foste sulla Red Light Districht di Amsterdam. Io ultimamente mi sto facendo dei bei trip anche nei mercatini dell’usato che hanno sempre roba interessante e devo dire che anche se non trovo magari il mobile o l’oggetto che cercavo, non torno mai a casa senza aver speso sette o otto euro per più o meno altrettanti libri. Poi ovviamente ci sono i Kindle (e similari) e tutti quelli che li usano pare abbiano sempre degli ottimi motivi per farlo e, cosa che sto sperimentando molto nelle ultime settimane visto che devo muovermi tra l’Umbria e la Toscana praticamente ogni giorno, gli audiolibri, che con 9,90 euro al mese ti permettono di scegliere un catalogo di titoli vastissimi, alcuni dei quali sono dei veri e propri capolavori (Limonov, di Emmanuel Carrère letto da Claudio Santamaria, per citarne uno).

Non sono solo questi i modi in cui si possono leggere libri perché, soprattutto se, come nel mio caso, uno arriva alla letteratura con un ritardo di vent’anni, potete anche avere tutto il giorno libero, potete anche essere miliardari, ma il tempo comunque non vi basterà.

Per questo partecipo ogni volta che posso a presentazioni e convegni, perché molti libri uno li legge anche ascoltando un altro essere umano come lui che gliene parla, che gliene trasmette alcuni aspetti principali, che ha letto quel libro in quel momento, anche per me che sono li a sentirlo.

Ho fatto questa lunga premessa per dire che leggere è anche una questione di tempo e di soldi.

Cosa centra con Narrative in fuga di Gianni Celati?

Mi sono divertito ad ordinare su Amazon tutti i libri di cui ha parlato e, considerando che alcuni non sono riuscito a trovarli, questo è il mio risultato: trentaquattro libri per un totale di 428,30 Euro.

Insomma, in 333 pagine credo che si risparmi un bel po’, poi certo nulla toglie che uno di quei libri, raccontati nei minimi particolari anche e soprattutto linguistici (sì, perché di molti dei libri di cui parla Celati ha curato anche le traduzioni e le uscite in Italiano), non vi venga voglia di comprarlo o che scopriate che nella vostra libreria alcuni ce li avevate ancora e chissà perché non sono finiti nello scatolone che avete portato al mercatino dell’usato solo qualche giorno fa.

Quindi leggete il libro di Gianni Celati, anche se fosse soltanto una questione di soldi e di tempo.

Narrative in fuga dalle aspettative? Dalle apparenze? Dai riflettori che abbagliano e che nascondono? Sì. E forse anche dagli scrittori, quando diventano consumatori di storie, stilografi abilissimi nel fare fare fare, parlare parlare parlare, scrivere scrivere scrivere.

Dal nulla Celati mi ha smascherato, mi auguro davvero riesca a smascherare anche voiE che la scrittura torni ad essere anche una forma di possibilità, di potenzialità.

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