di Lanfranco Caminiti
Continuo a guardare la foto dei tre uomini all’aeroporto di Zaventem, gli attentatori. Due spingono il carrello, ci si appoggiano quasi, e hanno un guanto nero ciascuno, come fossero Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, che alzeranno il pugno e chineranno il capo alla premiazione per ricordare le Pantere nere – come è strana la storia, tira brutti scherzi -, il terzo ha un cappello in testa.
I due del carrello si faranno esplodere fra poco, uno rimarrà lì, nello scalo, e l’altro scenderà nella metro e si farà scoppiare alla stazione di Maelbeek. Del terzo, quello con il cappello, non si sa null’altro, forse è fuggito, forse è morto anche lui nell’attacco. Sembrano tutti e tre giovani, forti, sani. I due che spingono il carrello sono fratelli. Khalid e Ibrahim El Bakraoui. Stanno accostati tra loro, come fanno i fratelli, un po’ distanti dal terzo. Eppure, i fratelli non vanno a morire insieme, mai. I fratelli cercano di salvarsi l’uno con l’altro. Quasi sempre, il più grande cerca di salvare il più piccolo, ma a volte succede che il più piccolo pensi a salvare il più grande, perché è lui il più forte. In ogni guerra è così, da sempre: sotto le mura di Troia era così, e non è cambiato nulla da allora; in ogni pericolo è così, da sempre. Nel film Salvate il soldato Ryan, si organizza la ricerca dell’ultimo dei fratelli Ryan, perché il loro nome rimanga.
È la legge del sacrificio, che ci tiene ancora umani: il padre può morire per il figlio, il fratello può morire per il fratello. È lo scambio con la morte, perché rimanga una vita. Gli algerini mandavano donne a farsi esplodere tra i caffè di Algeri e di Orano per uccidere i pieds noir francesi. I vietnamiti mandavano donne e bambini a farsi esplodere tra i soldati americani, nei bar di Saigon. (Come è strana la storia, tira sempre brutti scherzi). Donne e bambini a morire se ne trovano sempre nelle guerre. Insieme non ci vanno mai alla morte, i fratelli, perché sennò il loro nome scompare, il loro seme scompare. E dall’altro giorno il loro nome, El Bakraoui, è scomparso. Non ci sarà più nessun figlio che porti il loro nome, e nessun figlio di un loro figlio. Non ci sarà più nessuno nel mondo con il loro nome, saranno morti per sempre. È già successo: a Parigi, Salah Abdeslam, arrestato poco prima delle bombe di Bruxelles, ci era andato con suo fratello. Gli autori della strage a Charlie Hebdo, furono due fratelli, Said e Cherif Kouachi. Anche il loro nome scomparirà. Forse tutti questi uomini, questi fratelli erano già morti.
Quegli uomini che spingono il carrello all’aeroporto di Zaventem sono già uomini morti. Sono giovani, forti, sani, ma sono morti. Devono essere morti in guerra, sotto le bombe, sotto l’attacco di un drone. Devono essere morti per le stesse crudeltà che loro hanno inflitto nella guerra. Devono essere morti laggiù in Siria, per le ferite inferte, per le ferite ricevute. Noi li vediamo che spingono un carrello all’aeroporto di Zaventem ma sono morti. Sono venuti a portare qui la loro morte. Sono venuti qui a finire il lavoro della loro morte. Sono venuti qui a cancellare i loro nomi per sempre, ma anche i nostri.
A cancellare i loro figli per sempre, ma anche i nostri. Loro sono già la morte. Noi parliamo di intelligence, e tracciamo le mappe degli spostamenti e degli insediamenti, parliamo di foreign fighters e di appoggi logistici, di denari e di tradimenti, di alleanze e di tecnologie. Ma come potremo vincere contro l’armata delle tenebre?
Lanfranco Caminiti, siciliano, meridionalista, scrive articoli, storie e saggi. Vive appartato e va a letto presto. Ora. Prima, almeno fino al Settantasette, un secolo fa, si sentiva un insorto a tempo pieno, un comunardo. Ha collaborato saltuariamente con i quotidiani: «il manifesto», «Liberazione», «l’Unità» e il settimanale «Carta». Poi, con più regolarità per il settimanale «gli Altri», attualmente per le «cronache de Il Garantista». Ha collaborato con Antonio Cipriani per il Progetto Tribù Astratte e per Accattone-Cronache romane, rivista della quale è stato direttore dal 2003 al 2004. I suoi testi si possono trovare su la camera dello scirocco