di Luca Mikolajczak
Martedì 23 settembre 2015, piazza IV novembre, Perugia
Casting per la fiction sulla vita di Luisa Spagnoli
Quando la fame di fama fa gorgogliare lo stomaco, appendi la dignità al chiodo e indossi la più scintillante protervia. Chanel o Scianel poco cambia, la sfacciataggine della pronuncia farà il resto.
Disposti a tutto pur di conquistare un frammento di gloria e una pagnotta col salame. Ma le matrone con pargolame al seguito con tanto di salviette e passeggino invadente non erano messe in conto. Allora, quando le suddette pretendono la libera circolazione di tutto l’armamentario peg-perego, il linciaggio (altroché l’amore) è nell’aria. La scintilla dell’astio e dello spirito di conservazione di darwiniana memoria ormai è accesa e divampa con violenza, troppa.
Il pogo per eludere bellamente la fila è avviato e non partecipano solo giovani sfattoni, ma anche over sixty che cercano di arrotondare la pensione, si prova tutto, fino in fondo, senza paura.
Quando i produttori fanno circolare una lavagnetta con su scritto “no donne con capelli corti e no meches” si rasenta il ridicolo: il nutrito manipolo di caschetti mechati o shatushati non arretra di un passo e con stoica resistenza affronta la battaglia attendendo impavido il duello con i produttori nazisti.
Costruire castelli in aria è deleterio in amore, ma anche altrove non è propriamente costruttivo. Così una soldatessa fedele, dopo aver consegnato il suo corpo ai nemici, non lesina di cedere il povero cagnolino tra le braccia. “Crederci sempre, arrendersi mai” era il motto di un (sur)reality all’italiana.
E quando un senzatetto che cerca di svoltare la giornata intravede una chance nell’immanente, sale anche lui sulla giostra della celebrità petit bourgeois.
Falsificare altezze, taglie ed esperienze pregresse è d’obbligo, ma una Star si riconosce anche in mezzo alla calca pressante e claustrofobica perché brilla di luce propria anche tra il disagio terreste di una angusta via. Via della gabbia, tra l’altro si chiama, mica ci ripensavo. Tutto torna.
Si sta per desistere per scoliosi o timidezza, allorché un “buon uomo” invocato dalle procaci avventrici ti fa accedere alla sala dei Casting. Uno si aspetta chissà quale gran provino, invece una foto con lo smartphone e via, ti richiamiamo quando abbiamo bisogno, non sei male, però attento a non tagliare i capelli. Basta poco, già ti vedi indaffarato in riprese audaci con il fior fiore di Cinecittà. Alla domanda: “accetti solo piccoli ruoli o anche semplici comparsate ?” qualche vecchia sciantosa con uno sdegno d’altri tempi rivendica il suo repertorio amatoriale, immancabile lo Scespir (no, quella di Scianel è un’altra, lo so che lo pensavate).
Me ne vado, aspettando che un lungimirante Carlo Ponti noti la Sophia, ops, la Luisa che è in me.
Far la comparsa non mi si addice, meglio tornare alla vita di tutti i giorni, fare l’attore. Protagonista. A me la scena. Applausi.
Chissà se anche ai prescelti verrà chiesto in quale epoca vorrebbero vivere.
Grazia Deledda ha vinto il Nobel, eppure era un cesso.