di Emanuele De Donno
[…] quando l’allora sindaco Antioco Podda di Ulassai in Sardegna e l’Amministrazione Comunale commissionarono nel 1981 all’artista Maria Lai la realizzazione di un importante monumento ai Caduti in Guerra per il paese. L’artista rifiutò l’incarico e decise di modificarne gli intenti realizzando un qualcosa che servì per i vivi e non per i morti, così reinterpretando una antica leggenda del paese, legò insieme agli abitanti tutte le porte, le vie e le case con circa 27 km di nastri di stoffa celeste. L’operazione materiale durò tre giorni circa, il primo giorno vennero tagliate le stoffe, il secondo giorno vennero distribuite e il terzo vennero legate quindi coinvolgendo donne, bambini, pastori, anziani. L’intervento/performance artistica si intitolava “Legarsi alla Montagna”.
Anche noi siamo legati alla montagna, una montagna “viva” del folignate, Cancelli, dove ogni anno proponiamo un percorso tra arte, paesaggio e natura, senza colonizzare, perlustrando, favorendo i transiti, il pensiero creativo e peripatetico. Il dibattito portato affronta criticamente le amministrazioni soprintendenti dei beni demaniali, che usano i termini ricorrenti di musealizzazione, promozione del turismo e albergo diffuso dai tour operator.
Quello che interessa a noi del patrimonio è il tessuto sociale che lo anima, la materia che alimenta la pratica artistica nei luoghi di co-ispirazione e resistenza. La condizione di margine è costitutiva, la campagna è avanguardia, la montagna è apice e propaggine, il corpo collettivo è costola.
L’artista, l’architetto, il curatore non squarciano il paesaggio della quiete o del capriccio con il loro segno perentorio, ma abitano. Attorno a questo assunto e a questa propensione culturale-antropologica riconosciamo una condizione favorevole per fertili innesti di praticanti eretici che tramano in difesa di un’arte edificante: l’architettura dei luoghi abitanti.
Nevralgico è difendere e proporre nuclei operativi vitali alla sopravvivenza ed all’attecchimento di intelligenze territoriali e pratiche innovative di usi civici.
Il workshop-residenza “Manufatto in situ” di viaindustriae è un progetto unico nello scenario ormai vasto dell’aggiornamento professionale nel campo artistico. I giovani artisti, architetti, operatori sono ospitati in un ameno luogo montano in cui non ci sono opere scultoree ma tracce di transiti artistici (tra questi si ricorda il Sole Bianco di Sol LeWitt, 1980), in cui è importante il passaggio; nessuna livrea o status artistico, chi viene a Cancelli è transumante spogliato. Il paesaggio umano della comunità ricostituita e accampata si esprime con atti artistici, attitudini, comportamenti nella “regola” di San Francesco, Santi Pietro e Paolo, Joseph Beuys… La peculiarità è l’organizzazione, che integra gli ex-partecipanti che con affezione al luogo ed al progetto tornano l’anno successivo creando una cittadinanza temporanea a Cancelli, un segno di ripopolamento. La prassi di viaindustriae consiste nel preparare un progetto speciale di piattaforma per creare il luogo del dialogo artistico tra i visiting professor, spesso stranieri (negli ultimi anni Tania Bruguera, A Constructed World, Raqs Media Collective, What How and for Whom, Chto Delat?), i passanti, gli avventori e gli abitanti, presenza umana ormai sparuta ma intensa ed immensa. Nel 2010 una biblioteca a cielo aperto, nel 2011 una casa-laboratorio da abitare, nel 2012 un’assemblea “platforum”, nel 2013 un grande tavolo, quest’anno una risma di sedie capace di innescare e contenere un lavoro multidimensionale e corale. Perché A Constructed World da Parigi a Cancelli? Perché Chto Delat? da San Pietroburgo a Cancelli?
Perché sono un mondo costruito dal pensiero, che edifica processi di collettività e responsabilità dei beni comuni. Siamo stati colpiti dal loro modo di lavorare senza discriminazione di luoghi: museo, appartamento privato, classroom, acquario, limousine, casa popolare, piazza, la rete… Il loro modo di affrontare il campo artistico come atto politico, loquace e ironico-iconico, costruttivista e comunista nel senso letterale, intellettuali capaci di porsi come ignoranti perché in perenne ricerca. Questi programmi estivi, che definirei accoglienze, rappresentano uno stadio nuovo di “Manufatto in situ”, che cerca di indagare i molti approcci dell’arte contemporanea al paesaggio, quelli più critici, per affrontare con responsabilità il ruolo dell’artista nella società.
Arte impegnata, pubblica, relazionale, fatta di azioni corali e performative… Arte processuale, concettuale, ambientale e reversibile… Tanti discorsi affrontati in cui anche la quota estetica importa, naturalmente non disgiunta da quella etica.
Il nostro motto è not-knowing, cioè non sapere, essere nuovi e vergini alle cose ed essere pronti a non sapere; in tempi di crisi l’ignoranza come base della relazione, la non-traduzione come base dell’intercultura. Quindi dopo 8 anni di lavoro, cosa fare di “Manufatto in situ”? Ha ancora senso fare residenza, occupare i luoghi creando nuovi paesaggi, con quali prospettive e strategie? Stiamo lavorando al prossimo anno, ma brancoliamo nel buio e di giorno nel nebbione.