Il calcio come ideale democratico ed Emancipatore.
La “E” è maiuscola in ottemperanza con il desiderio dell’editore. È questo il proposito della rivista “Corner football+society”: il calcio – come l’arte – si riflette, sono sequestrati ed impacchettati dai media internazionali ad esclusivo uso e (abuso) del grande mercato. Come se fossero banali beni di consumo e di scambio.
Se definire significa limitare, allora che si smetta con le definizioni. Basta con i giornali da bar che ti raccontano minuto del goal, voto della star e intervista di circostanza del mister. Qui si parla di altro. Non con la retorica dell’antistorico, ma con il realismo di chi si guarda in faccia e vuole capirci un po’ di più.
Per questo il titolo della rivista appare più come una endiadi che come una semplice somma di argomenti.
Via libera dunque alla forza creativa del calcio come fatto universale, come filo narrativo della storia, come narrazione di modelli, elemento politico e feticcio degli appassionati.
Ma come risponde il contenuto al proposito della rivista?
Come una scheggia impazzita ma curiosa. Nelle 200 e più pagine tutte rigorosamente in un inglese non elementare, circa 30 autori si seguono nelle indagini più varie. È sorprendente la varietà di penne di questo piccolo ma importante artefatto rumeno.
Per la maggior parte sono autori locali quelli che svolgono ricerche e contattano le fonti; poi ci sono i reportage tratti da autori stranieri.
Il testo è suddiviso essenzialmente in filoni narrativi.
Gli argomenti sono i più disparati: l’estetica, la sociologia, la politica del calcio… in poche pagine ti ritrovi dai giochi immaginari di un bambino delle periferie di Bucarest alle strade polverose di Doha, dove masse di schiavi sottopagati edificano il tempio del dio calcio per il prossimo mondiale. Il racconto di quel giocatore della Steaua che riceve dal Partito Comunista una Aro (auto dal design fastidioso e massiccio) per alti meriti patriottici e viene arrestato per averla provata a rivendere ad un pastore dell’entroterra è da antologia.
Nel mezzo, il calcio comparato alla esecuzione di un’opera d’arte. È tutto un girovagare nello spazio e nel tempo. E allora lo stadio è visto come rispettivamente significante divergente e convergente, luogo sociale ed economico, piccola sintesi urbana, unificatore di destini suddivisi. Dietro alla forma dello stadio si rinviene il concetto di architettura come strumento sociale, il luogo di svago come estetica funzionale e la tecnologia come fatto panottico. Non che guardando il Colosseo o San Pietro avessimo mai dubitato che dietro ad un edificio ci fosse solo lo scopo immediato della sua funzione.
Le citazioni di Bentham e di Foucault sono consequenziali.
Le fonti dunque sono molteplici, approfondite e sempre citate. Molto utili i rimandi alla letteratura nello specifico. Da segnalare però la presenza di (pochi) articoli inseriti così profondamente nel fitto reticolo della cultura sportiva rumena da risultare di difficile approccio. Quasi assente (per fortuna) il calcio giocato, non è questo il luogo. Non vi sono infatti riferimenti specifici a tabellini o risultati, se non un reportage-racconto della sfida tra sistemi di calcio rappresentata da Olanda-URSS di Euro’ 88 (ma all’interno delle pagine si narra anche della macchina ungherese vincente a Wembley contro gli inglesi autoproclamatisi maestri del calcio, e della cavalcata del Mondiale ‘54 in cui i magiari si dimostrarono come la potenza mondiale per definizione). In entrambi i casi, comunque, le partite sono solo un mezzo per discutere non solo di moduli tattici
rivoluzionari ma soprattutto di grandi cambi nella concezione del calcio. Una storia del pensiero applicato
all’ambito, insomma.
Anche gli appassionati del fenomeno “ultras” non rimarranno delusi: in questo caso ad essere discussa è la necessità apotropaica allo scontro e alla identificazione, alla ritualità e alla socialità; ma ad essere analizzate sono anche le dinamiche organizzate e gli scambi di conoscenze tra gruppi ultras di tutto il mondo, così come la democratizzazione del calcio centralità della moda nella appartenenza allo stile di vita prescelto (con un insospettabile ma imperdibile cameo del“Dialogo tra la moda e la morte” tratto dalle Operette Morali di Giacomo Leopardi tra terraces e firms d’oltremanica).
Apprezzabili l’oroscopo finale, il “Did you know” ( il più classico dei “non tu sanno che” di enigmistica memoria) e il “Come fondare una squadra in pochi passi” per intervallare tanto approfondimento.
La veste grafica è in cambio spartana, le foto quasi trascurabili. Solo la copertina risalta per un mix di colori fine anni ‘80. Ma tutto questo non fa altro che ricordarci la differenza tra un videogioco appena uscito e l’attraente semplicità del Subbuteo, oppure il fascino della radiolina durante il cineforum aziendale mentre tutta la città è incollata di fronte allo schermo a guardare Inghilterra Italia.
Ci viene anzi il dubbio che al di là di tutto possa esserci un messaggio antimodernista, ovvero un’ impronta estetica di opposizione alle copertine lucide e alle fotografie pixelate.
L’ impaginazione è estremamente lineare e classica, il formato comodamente trasportabile.
E dunque filosoficamente, e volontariamente, è una rivista vintage.
Perché al di là del clamore dei fenomeni da consumo massivo e all’apparenza della televisione c’è molto di più.
Il progetto è ambizioso, ma riteniamo che costituisca un essenziale oggetto di studio per chi voglia parlare di calcio come fenomeno umano e non come passatempo.
Il calcio è una cosa maledettamente seria d’altronde, perché in un modo o nell’altro si intreccia alla vita di
miliardi di uomini.
Ed è bene ricordarcelo, soprattutto perché lo riteniamo ancora un ideale democratico ed Emancipatore.
Con la E maiuscola. Proprio come vuole l’editore.
Per sfogliare e acquistare Corner: