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di Paola Gaviraghi

Osnago è uno dei paesini della Brianza lecchese, quella che si trova a sud est di Montevecchia, fatta di piccoli centri, di gente semplice che coltiva l’orto e ama i fiori. Qui vive e lavora Alberto Casiraghy, poeta, artigiano, illustratore e stampatore noto al mondo della cultura. Ha fondato la casa editrice Pulcinoelelefante e molto è stato scritto su di lui, della sua amicizia con Alda Merini e dei più di mille libriccini che hanno composto e stampato insieme, nell’arco della loro lunga amicizia e dei molti poeti scrittori e artisti che hanno realizzato con lui una piccola opera fatta di parole e immagini e soprattutto vissuto la magia dell’incontro.
Tra i molti Bruno Munari, Ernico Bay, Arnoldo Mosca Mondadori… e tanti altri artisti e uomini e donne con la voglia di raccontarsi. Tutti hanno lasciato un ricordo del loro passaggio componendo un libriccino in carta pregiata e di raffinata fattura, stampato rigorosamente con la tecnica dei caratteri mobili di Gutenberg e decorato con le preziose illustrazioni realizzate dalle matrici in legno scolpite da Adriano Porazzi. “Una follia tipografica” dice Alberto Casiraghy sì una follia poetica penso io in silenzio.

Eccomi arrivata in un’oasi di mondo dove non sono il successo o il denaro a dettare le regole, ma la sensibilità che si esprime in tutti i modi anche nei più fantasiosi e dove la regola principe della costituzione del mondo del Pulcinoelefante è la libertà.

Sì perché Casiraghy è un uomo libero, proprio come si addice ai veri artisti e nei suoi occhi azzurri e accesi c’è la magia di chi vede oltre ciò che appare. Siedo nella sua cucina, con una tazza di acqua fresca tra le mani, sul tavolo matite colorate e fogli di carta, alle mie spalle i cassetti pieni di caratteri tipografici, Times, Bodoni, Garamond, alle pareti di tutto, un viaggio onirico di sculture e immagini surrealiste. La porta finestra dà sul giardino, da cui scorgo le piante, l’orto e il passaggio veloce di una gallina bianca.

“Ieri è stato da me Gillo Dorfles,” mi dice “Abbiamo passato un bellissimo pomeriggio insieme, è stato come fare lezione all’università, ha quasi 102 anni, beh molti dei miei amici ormai sono vecchi, e si muove ancora per fare le cose che ama, è andato a Lecco perché c’era una mostra su Giacometti. Più che stampatore io mi sento un antropologo perché prima di tutto c’è l’incontro e ogni libro racchiude dentro di sé una storia e un’umanità”. Ecco! È così svelata la magia di questo posto che attira persone in cerca di poesia viva.
Il segreto è l’incontro autentico di due o più umanità che hanno la possibilità di esprimere la propria storia e di farla diventare parola e immagine impressa, ad opera d’arte, su immacolata carta bianca. “Non sempre arrivano da me artisti di talento a volte sono solo incontri belli ed è più il valore umano che tecnico che emergere nell’opera e a volte ci sono artisti molto bravi, ma caratterialmente insopportabili”.

Suona il campanello, sono arrivati due artisti:
Bruno Biffi stampatore e incisore che ha portato con sé delle bellissime acqueforti, dal sapore romantico quasi ottocentesco, preziosa illustrazione di un’opera in fieri e poi Fabrizio Martinelli artista che crea istallazioni e sculture in vetroresina e ha allestito una mostra a Robbiate con Biffi. Quest’ultimo ci racconta di una sua installazione composta da sciarpe tibetane realizzata a Venezia, all’interno di Padiglione Tibet; un escamotage per ospitare un paese che non essendo ufficialmente riconosciuto come tale non troverebbe posto all’interno della biennale veneziana. Intanto sul gas bolle la caffettiera e il telefono squilla. In simpatiche coppette senza manico consumiamo la nera bevanda discorrendo di musica Maler, Tchaikovsky, della Merini del suo temperamento forte e delle venti telefonate che era capace di fare ogni giorno a Casiraghy, alla sua gelosia nei confronti della Pivano: “Odiava tutte le donne amava solo gli uomini.” Poi ancora ricordi: “Una volta, eravamo in taxi e il conducente ha iniziato a raccontare come la figlia amasse le sue poesie. Alda tirò fuori dalla tasca una banconota da centomila lire e gliela diede: “Per sua figlia!” esclamò. Poi si rivolse a me e chiese se non avevo centomila lire da darle perché era rimasta senza soldi”.
Il pomeriggio prosegue nello sfogliare i libretti e nel guardare le illustrazioni che seguono ai versi e la discussione si anima sui tratti delle opere su come certi segni seppur perfetti manchino di spinta verso il futuro e siano ancora ancorati ad uno mondo artistico noto e che quindi in certa misura, seppur belli, sappiano di vecchio. In Casiraghi c’è il desiderio e la voglia del nuovo, del disegno che abbia in sé qualcosa di fresco e contemporaneo. Di una linea che porti un’idea originale. Compiamo il viaggio attraverso lo sfogliare delle pagine e nell’entrare, attraverso le sue parole, nell’espressione artistica di decine di sconosciuti e non.
Di nuovo il campanello, i due artisti ci salutano e un poeta sonoro prende il loro posto. Anche lui, Massimo Arrigoni è qui per la messa a punto del suo libretto e per godere della compagnia dell’amico artista. Intanto sul gas ha preso posto una padella per la cena. L’atmosfera è quella della sera che comincia e così con Arrigoni sonnecchiante sul divano e la luce più fioca, ci mettiamo a montare i caratteri per la prossima stampa. Casiraghy apre il cassetto che contiene il Times e inizia a montare nel morsetto alla rovescia le lettere che compongono la riga da stampare. Poi mi spiega come ami, per gusto, inserire un punto, (una piccola lingua di metallo) tra un carattere e l’altro per rendere la scritta più leggera. Intanto la musica di Gershwin ci accompagna dalla radio. Io lo osservo attentamente mentre lavora e penso ai disegni che mi ha mostrato, alla sua casa bottega traboccante di libri, d’immagini e di sculture. Penso alla parete del piano di sopra ricoperta di maschere africane, portategli da un altro dei suoi amici e alle sue parole. “Non sono mai stato in Africa, eppure, molti oggetti dell’Africa sono arrivati fin qui e sento un legame con quel paese. Una terra che ha sofferto, a cui hanno rubato di tutto, anche dal punto di vista visivo e la cui arte non pretende di firmare le sue opere. Non cerca la fama, ma è dono per tutti. Così anche nel mio disegno sento che c’è molta Africa.”

È arrivato anche per me il momento di salutare e portarmi via il carico prezioso delle cose viste e assaporate nel pomeriggio, nell’attesa del prossimo incontro. Con l’anima accesa faccio ritorno verso casa con la felicità di chi ha scovato un luogo segreto e clandestino dove fuori dai riflettori s’incontrano poeti, artisti e casuali avventori portati dal destino; un luogo magico pieno di memoria libero dalla seduzione del successo e del denaro e il cuore aperto sul futuro.
 
 

P.S. Proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche è uscito un film documentario di Silvio Soldini su Alberto Casiraghy e Josef Weiss, un altro artigiano tipografo che vive nel Canton Ticino. Il film si intitola Il fiume ha sempre ragione. A seguire il trailer del film e il pezzo di presentazione apparso su Globalist.

 

 
La lentezza e la bellezza: due tipografi e la loro arte poetica

Finalmente è arrivato nelle sale cinematografiche il film documentario di Silvio Soldini, un film sulla lentezza e sulla bellezza in un tempo in cui velocità, fretta, superficialità si accompagnano con la bruttezza conformista etica ed estetica. Il film di Soldini è dedicato a due artigiani tipografi, Alberto Casiraghy e Josef Weiss. Casiraghy vive e lavora a Osnago vicino a Lecco, è l’editore di Pulcinoelefante, 9400 libri stampati e curati alla perfezione: poesie, aforismi, meraviglia. Weiss, tipografo, rilegatore e restauratore di libri, lavora nel Canton Ticino.
Casiraghy è uomo di poesia, aneddoti e aforismi. Sono tanti gli artisti, i disegnatori e i poeti che assieme a lui stampano le loro opere con una stampante meccanica a caratteri mobili. Weiss ha il suo atelier a Mendrisio in Svizzera nel Canton Ticino, un “convento laico” a sentire Casiraghy. L’attesa è grande per questa narrazione controcorrente, che ci conduce nei luoghi di resistenza e di bellezza, attraverso chi con la stampa, la poesia, la grafica e la tipografia restituisce umanità e tempo giusto alla vita. L’arte manuale, il silenzio, la cura.

Il titolo viene da una considerazione di Casiraghy. In una bella intervista a Famiglia Cristiana il regista dice: “A un certo punto del film Alberto Casiraghy è sulla sponda del fiume Adda e commentando l’incuria degli uomini che inquinano dichiara : il fiume ha sempre ragione. Una rivendicazione della potenza della natura malgrado tutto”. E ancora: “Il film è nato da una mia curiosità: perché queste due persone continuano a operare in questo modo in un mondo che va nella direzione opposta, che è quella della velocità, che non bada molto alla qualità e alla bellezza? I due credono in valori come quello della lentezza e della cura che in questo mondo stiamo perdendo. Altre loro caratteristiche sono la gentilezza e la mitezza, che si respirano nei loro atelier. Sono poeti della vita, innanzitutto, in loro non c’è niente di commerciale, il loro lavoro non dà loro un vero reddito. Entrambi vivono con niente. Il danaro per loro non è un valore”.
Poeti della vita, quindi. Che fanno della povertà, intesa come misura, la più grande ricchezza. “Questi due personaggi straordinari possono lanciare un messaggio nella bottiglia, riscoprire una nuova dimensione di vita. Per alcuni la velocità è un valore, per loro lo è la lentezza”.

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