In questa terribile e aggrovigliata società di oggi, così come in tutte quelle del passato, il racconto storico rappresenta un fattore culturale fondamentale per lo sviluppo delle coscienze individuali e collettive. La Storia è una narrazione indispensabile per la conservazione o la disintegrazione della memoria, per il contagio o la morte delle idee, per la costruzione o la distruzione delle identità, per lo sviluppo o meno di senso critico,di autonomia di giudizio e, forse, perfino del buon senso. Senza conoscere la Storia non possiamo comprendere il passato, vivere il presente e progettare il futuro. Non possiamo conoscere “l’altro da noi”. Non possiamo conoscere la molteplicità dei luoghi, delle esperienze, delle dimensioni, dei tempi che la nostra specie ha attraversato e di cui è figlia, madre, prigioniera; da cui cerca di evadere e affrancarsi o ai quali continua a sentirsi indissolubilmente legata.
Insomma privi della Storia, della sua narrazione, smettiamo di essere uomini. Perché se c’è un bisogno intellettuale ancestrale dell’umanità è quello di raccontare e ascoltare storie. Una pratica che continua ancora oggi, snodata per tanti sentieri minori che abbiamo smesso di considerare piccoli affluenti di quell’immenso fiume che è la Storia umana. A lungo, infatti, la suddivisione tra una grande Storia e una piccola Storia ha fatto salire sul palcoscenico storiografico soltanto gli attori e gli eventi principali, marginalizzando, fino alla cancellazione, gli uomini e le donne che la Storia l’hanno fatta e l’hanno pagata, l’hanno vissuta e l’hanno odiata, ne sono stati parte in silenzio o urlando, pregando o bestemmiando, lavorando o rubando, piegandosi o combattendo, restando o migrando, vincendo o perdendo.
Ci siamo abituati alla Storia come materia di studio consacrata al ricordo di personaggi importanti, di luoghi che hanno partorito eventi, di cronache altisonanti e di cronachisti dimenticati. Ci siamo abituati alla Storia delle date, dei nomi, dei fatti. Una Storia sempre più lontana e insonorizzata, in cui la passione del racconto svaniva lasciando il posto ad una narrazione sterile, nella quale l’osservanza al mito dell’imparzialità ha stereotipato la figura dello storico. Una specie di scienziato messo al servizio di in una materia che non ne ha bisogno, perché è umana, troppo umana, per essere perfetta e verificabile come un teorema matematico. Una materia in cui non esistono verità assolute e consacrate, una materia in cui il dogmatismo uccide la ricchezza del pensiero, una materia in cui la soggettività di chi vive e racconta la Storia, con tutti i suoi limiti e tutte le sue esperienze, è fondamentale nel determinare quell’effetto Rashomon che rende ogni narrazione diversa dalle altre, ogni interpretazione autonoma, ogni descrizione relativa.
Una Storia che si è troppo chiusa nelle stanze dell’accademia e che, pur essendo più coinvolgente, più complessa, più variegata, più imprevedibile di qualsiasi romanzo, opera di fantascienza o fiction televisiva, finisce per appassionare sempre meno le persone e smette così di assurgere a quella funzione sociale fondamentale che si è ritagliata nel corso dei millenni. Perché se la Storia perde quella dimensione collettiva che le è propria finisce per diventare soltanto teatro di dispute specialistiche, di conferenze per elite, di dibatti per dotti.
Ovviamente non vogliamo negare il ruolo centrale che la storiografia accademica ha avuto e continua ad avere nella ricostruzione dei fatti e neppure vogliamo sminuire il lavoro straordinario che molti storici hanno compiuto e compiono. Anzi proprio per valorizzare i migliori contributi di questo ambiente sentiamo la necessità di affermare che occorre una grande opera di rilancio della narrazione storica.
Desideriamo tornare alla Storia, raccontarla con passione e partecipazione, dall’interno e dall’esterno, suscitando sentimenti, creando conflitti, smontando teorie, ricostruendo paesaggi, smitizzando e celebrando personaggi, ma sempre con la pretesa di essere comunque relativi, comunque insufficienti, comunque bisognosi di confronto, di dissenso, di dialogo.
La nostra missione è riaccendere l’interesse, la partecipazione, l’amore per la nostra Storia, che è il presupposto per rianimare individualità in crisi, collettività senza prospettive e società prossime al collasso. Perché la Storia, mediante la sua narrazione, sia la fiaccola che nella notte buia dei nostri giorni anticipi la via all’umanità che sarà.
Post Scriptum. Cannibali e Re è il nome che abbiamo scelto per questo progetto concretamente utopico. Non solo per la forza evocativa che si porta appresso, non solo per il potente immaginario che riesce a richiamare in vita, non solo perché è un nome che spiazza e fa perdere le coordinate, ma soprattutto, in memoria dello storico saggio di Marvin Harris, perché vogliamo, attraverso la storia, indagare l’origine più profonda, ignota, ancestrale delle culture umane. Di tutte le culture umane, in ogni tempo, in ogni spazio, con ogni prospettiva.