CONDIVIDI

di Antonio Brizioli

 

Chissà com’è dondolare su e giù, chissà com’è dondolare come fai tu…

I tuoi occhi erano i più blu del locale, me li ricordo bene. E ricordo bene quel locale sotterraneo, che sembrava non darci scampo. Portavi una felpa bellissima, che da sola sintetizzava la fermezza del tuo carattere, la grandezza della tua rivoluzione. Silenziosa ma non troppo. Dimessa ma non tanto. Il tuo naso era il più piccolo e garbato che avessi mai visto. Eppure respiravi dolce senza fartene una colpa.

Io ero alla terza birra. Terza e ultima perché di martedì non volevo andare oltre e a distanza di un po’ di tempo, devo dirtelo, eri la cosa più bella che avessi mai visto. Lo pensavo veramente e lo penso tuttora. Che quella timida sciarpa non bastava a farti apparire uscita di casa per caso, strappata dal letto senza una precisa ragione.

Non so se realmente apprezzavi quella musica un po’ monotona. Ma avevi la delicatezza di fingere di farlo. Senza esagerare. Applaudivi leggermente alla fine di ogni brano e sovrastavi in eleganza chiunque dentro quel buco pienissimo. Compreso me ovviamente, che colmo con la scrittura il distacco che non avrei mai saputo colmare con dei piccoli gesti. Sollevare il bicchiere e tornare a poggiarlo. Abbracciare con le labbra il filtro mentre le mani compongono una piccola sigaretta.

Quando hai visto che ti guardavo non potevi emozionarti. Perché farlo in fondo, se sei consapevole che tu quegli sguardi li meriti. E li hai sempre avuti. E sempre li avrai. Perché il giorno in cui li toglieranno a te, sarà meglio che anche dio chiuda gli occhi.

Ma veniamo a noi ora, che è giunto il tempo di parlare. E così, pervaso da una nube d’incanto, ti alitai in faccia due semplici parole. Poco importa se fosse “come va?” o addirittura “bella canzone”, erano parole utili solo a farmi più vicino, sperando che non scappassi. Ed eri troppo limpida per farlo. Ti sarebbe costato forse troppa fatica, sicuramente più di quella impiegata per rispondermi con un sorriso. Che era forse di circostanza ma io lo scambiai per un cenno d’intesa.

Quand’è che ti alzerai da quella sedia per uscire con me? Nessuno lo sa. Nemmeno la tua amica, che ascolta con un orecchio la musica, con un altro gli sviluppi di questo semplice rituale. Credo si chiami conoscersi. E lei conosce cose che io non posso nemmeno immaginare. Meglio così, perché sorprendermi non mi ha mai spaventato. E mi sorpresi molto a trovare un animaletto piccolo e delicato in un locale fatto per renderci uguali a noi stessi e agli altri. Per darci quello che vogliamo senza ulteriori pretese.

Io non fumo, lo sanno tutti. Ma per portarti via con me sarei disposto ad usare quella banale, inflazionata, scusa delle sigarette. Perché io non fumo, ma farei qualunque cosa per starti vicino e sentire con più attenzione le frasi incerte della tua voce straniera. Così con la mia nuova birra dalla schiuma piena d’amore seppi chiederti qualcosa in più. E ottenni – incredibilmente – risposte all’altezza delle aspettative. Tu sei quella giusta, c’è poco da fare. Usciamo a fumare le nostre sigarette dai, la tua reale, la mia immaginaria…

Non seppi mai se ti convinsi col mio modo di fare, o se semplicemente uscire dovevi e quindi il male minore era farlo al mio fianco. So per certo che faticavi a destreggiarti fra la gente. Ubriaca come era lecito, forse obbligatorio, che fosse… E che fatica poi su per le scale, dove fu un piacere per me esserti ringhiera. Arrivati fuori, la tua bellezza dapprima intuita, si fece voce da sentire, sospiro lieve di cavallo a riposo. E poche parole, con la sintesi che sa intrigare. Senza furia di dichiararti, preferendo lasciarti decifrare da vera donna. Lo eri, credimi, lo eri.

E come vera donna non osasti sbilanciarti, preferendo lasciar intuire un bagliore di gradimento. E rimandare al domani ogni reale approfondimento. Condivisibile, giusta, la tua posizione: non smise mai di intrigarmi. E accettai quel “ci vediamo in giro” facendo finta di non coglierne la serialità e preferendo assaporarne le enormi speranze. Se vuoi che ci vediamo in giro, ti basta entrare nella mia testa, che gira, gira, gira veloce per te piccolo fiore. “A domani quindi”, con la speranza che il domani sia effettivamente il giorno dopo l’oggi e non un futuro lontano, incerto, nel quale addentrarsi con enorme paura.

Appena ricevuto il mio invito, ormai fuori dal locale, cominciasti ad allontanarti da me. Con che strana andatura affrontasti quella discesa, non avrei mai saputo immaginarlo… Le tue anche oscillavano in modo strano e la tua amica rallentava per non seminarti. Zoppicavi amore mio, perché con te io voglio essere chiaro. Eri bella e zoppa. Stupenda e claudicante. Ma bionda, bionda davvero. E chi ti dimentica…

Il mio amico mi disse che un handicap invalida tutto. Che se sei zoppa, cieca, sorda, il resto conta poco. Anzi, se c’è è sprecato. Io a quel mio amico non ho mai prestato orecchio. Perché il modo in cui camminavi tu era il più sensuale che avessi mai visto. Aiutavi i miei occhi a oscillare ai tuoi ritmi e loro lo facevano volentieri. Pensavo questo, mentre la tua bellezza incerta si allontanava barcollante.

E non sono per niente sicuro, da quel giorno, che zoppicando sia più difficile scappare.

Lascia un commento

La tua mail non verrà pubblicata, * campi obbligatori