“Quindi Londra?”. Queste le parole che sfidano un silenzio imbarazzato. Quello tipico di quando approcci delle ragazze nel pieno dell’ubriachezza e loro proprio non vogliono saperne. Il silenzio è rotto dal tentativo ostinato e estremo di rianimare un discorso già di per sé poco interessante e per di più già morto.
Dalle retrovie si alza deciso un invito chiaro e con più elevati margini di realizzabilità: “Andiamo a mignotte, dai…”. E come non averci pensato prima, verrebbe da dire. Rialziamo i piedi quasi immersi nella nuova Darsena e cominciamo il nostro viaggio arrossati dalle luci della Vodafone. Andare a mignotte sì, ma dove? In un locale, per strada, in casa? Ogni servizio ha i suoi pregi e i suoi difetti, ci penso bene quando passo sul Naviglio Pavese meno affollato di qualche ora prima ma ancora voglioso di vivere. Non certo quanto noi, che con questo gesto estremo celebriamo mesi di amicizia e creatività.
Le trattative con le mignotte sono l’ultimo residuo di economia reale ancora consentito dal neoliberismo. Lo sconto è un vero sconto. Le clausole sono vere clausole. E i soldi passano di mano in mano come nel migliore dei mercati. Contento chi compra, contento chi vende. Al di là di ogni valutazione etica o esistenziale, qui si fa sul serio.
Zona San Siro, il mercato è piuttosto chiaro: 80 Euro la donna, 30 Euro il trans. Tariffe ovviamente gonfiate dal fenomeno Expo, perché mi garantiscono che nella stessa zona la donna sarebbe costata 50 Euro qualche giorno prima, il trans invece è stabile. Sappiamo bene che esistono trans di lusso che ricevono in casa a 500/1000 Euro, ma quello è un mercato d’elite al quale non ho mai potuto, forse neanche voluto, accedere.
Bakecaincontri è la risposta più interessante, se non altro perché la trattativa telefonica risulta altamente godibile. “Hai delle amiche?”, “Come le gestisci tre persone?”. Mentre senti queste cose l’alcol ti sale nel cervello e intravedi in situazioni altamente squallide, paradisi di accoglienza. “Settanta? Dai, facciamo sessanta… Cinquanta no? Dai cinquanta”. “Dove stai?” “Vicino alla Stazione Centrale.” “Sei vicino?” “No, sono dall’altra parte della città ma arrivo, arrivo…”.
Attraversare Milano alle quattro di notte, a passo lento, percorsi da un desiderio malsano potenziato dall’alcol. Non male… Il palazzo è grande, poi ha un ingresso dietro, bisogna costeggiare un interno umido e maleodorante pensando non si sa bene a che ma a qualcosa di offuscato. Poi si sale con un ascensore che potrebbe benissimo crollare con tre persone dentro ma per stavolta resiste. Suonare. Quel minuto fuori ti ci lasciano apposta a pensare “E se avessi sbagliato piano e questo fosse l’appartamento di una vecchia pensionata?”.
Per fortuna no, è lei con un’amica, in intimo e tacchi, molto grassa e altrettanto gentile. “Chi vuoi tu, me o lei?”. Sembra quasi di tornare bambini, una ti prende, l’altra si offende… “I soldi prima…” “Ma certo, è giustissimo…”. Si fa quel che si deve, o date le condizioni, si fa quel che si può, ognuno per sé perché non siamo ancora a questo livello di condivisione. Poi ci si rivede in salotto. Chi fuma, fuma, chi non fuma parla e tutti si pensa un po’, senza sapere bene a cosa. Siamo amici ora, siamo tutti amici. Siamo tutti lì a espiare qualcosa. Ci si scambiano pure i numeri, beh, posso immaginare che il cliente abituale sia peggio di noi… Ma domani spero sia un altro giorno dai… Questo però non lo rinnego, come potrei?
Il presente articolo è stato rinvenuto sulla scrivania di Emergenze durante i cinque giorni di redazione aperta dello scorso maggio presso la galleria Twenty14 Contemporary di Milano. L’autore non si è mai lasciato identificare ma la godibilità dell’articolo ci ha imposto di inserirlo nel #numerodue di Emergenze giornale di carta, che puoi trovare a Perugia e Milano nei luoghi indicati cliccando qui.