“Quand la fumée de tabac sent aussi de la bouche qui l’exhale, les deux odeurs s’épousent par inframince”.
(“Quando il fumo del tabacco odora anche della bocca che lo emette, i due odori si sposano nell’infrasottile.”)
Tracce di elementi scomparsi, architetture del desiderio e “readymades” come proiezioni – questo terzo incontro ha portato i nostri quattro metri quadrati in un’altra dimensione, in compagnia dei professori Elio Grazioli (Università di Bergamo) e Aldo Iori (Accademia di belle arti di Perugia), e di una sala gremita di appassionati. La presentazione del libro “Duchamp oltre la fotografia: strategie dell’infrasottile”, pubblicato dagli amici di Johan e Levi, è stato un crocevia di visioni e teorie trascendentali su arte contemporanea, realtà, immagini, sull’eredità di Duchamp e sul suo approccio avanguardistico a tutti questi elementi.
L’infrasottile, inframince per citare letteralmente dal collage di lettere dell’artista in cui per la prima volta compare questo termine, è l’istante che sfugge alla percezione, che resta non-visto.
Il carattere intuitivo del concetto ne consente la spiegazione solo sotto forma di esempi, come rimarcato dallo stesso Duchamp: “Il calore di una sedia (da cui qualcuno si è appena alzato) è infrasottile”, oppure lo spazio tra “ il rumore di uno sparo (molto vicino) e l’apparizione di un buco di proiettile nel bersaglio”.
Il professor Iori ha anche proposto un parallelismo tra questa metafora artistica di Duchamp e il Ma giapponese (間), che si può approssimatamente tradurre come “intervallo”, ciò che giace nel mezzo, un vuoto tra due spazi.
Allontanandosi dall’esegesi linguistica, Elio Grazioli si è addentrato in una profonda e a tratti ermeneutica analisi dei temi ricorrenti in Duchamp: dalla distinzione tra icona, indice e simbolo, all’analogia tra la fotografia e il readymade, proposta come una foto immortalata dal riflesso luminoso autonomo dell’oggetto, in una prospettiva che ci porta in una quarta dimensione in cui gli elementi sono proiezioni.
Inoltre, i readymades possono esserre visti come impronte, prove del buco lasciato dall’oggetto in un quadro di realtà, con un salto dimensionale che si collega a quello di una fotografia che ci rimanda ad un’epoca passata e ci apre un varco. Parlando del modo in cui la fotografia ha cambiato la nostra prospettiva sulla realtà, Grazioli ha parlato del mondo contemporaneo come un agglomerato di immagini in cui la realtà ha perso il diritto di chiamarsi così, in cui i termini “fake” e “truth” non possono esser più visti come antinomici ma anzi costituiscono un’amalgama realizzata nel regno dell’infrasottile. Cosa comporta dunque questo nostro rapporto con l’infinita quantità di immagini che “scrolliamo” sovrappensiero srotolando internet fino alla sua irraggiungibile fine?
“Bisogna commuoverci di fronte ad ogni immagine. Anche quando le postiamo su instagram, bisognerebbe piangere una lacrima ed emozionarci”, ha detto Grazioli, insistendo sul non dare le cose per scontato, e sul non dare per scontato il mondo delle immagini anche quando sommersi da tali enormi quantità di input visivi.
E non c’è nulla che condividiamo di più dell’invito a celebrare, perché la serata è andata alla grande, muovendosi tra tematiche e visioni variegate con un pubblico ipnotizzato e raccolto. La visione di Duchamp non solo ha dimostrato di aver resistito al test del tempo, ma anche di aver assunto maggior valore nell’era del virtuale. Gli idoli di oggi sono gli stessi di cui gli artisti hanno parlato già tempo addietro. Dunque, la prossima volta che ci troveremo a dare una rapida occhiata ad un’immagine, a sfiorarne la superficie, forse ricorderemo che “L’arte non è ciò che vediamo, l’arte è nel vuoto. L’arte è il passaggio mancante, non quello che cogliamo”, come affermato dall’artista nel 1957 nella sua talk a proposito de “L’atto creativo”.