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di AL

Per raggiungere l’ufficio dove lavoro, a Gerusalemme Est, percorro Nablus Road, recentemente ribattezzata col nome ebraico di Nablus, Shchem Road. La strada passa al lato di uno degli scarsi spazi verdi di Gerusalemme Est. In questo punto Nablus Road congiunge Uadi Al Joz, la “valle del noce”, con Sheikh Jarrah, uno dei quartieri di Gerusalemme Est vicini alla città vecchia, dove vivono, fra gli altri, alcuni rifugiati e discendenti di rifugiati del 1948 provenienti da Gerusalemme Ovest. Nel prato fra Uadi Al Joz e Sheikh Jarrah vive un cavallo dal pelo castano e lucido. Dimora in mezzo alle cartacce e alle buste di plastica che con un soffio di vento si spostano all’interno del suo recinto di filo spinato e si strappano pian piano lacerate dal metallo e da un clima quasi desertico. Il prato fa parte di un territorio il cui status giuridico è cambiato nel tempo, ma che ora è di fatto annesso da Israele. Il prato è sovrastato dalla collina di Sheikh Jarrah, dove sorgono case signorili, ospedali, alberghi di lusso, sedi diplomatiche e uffici di organizzazioni internazionali.
Il pascolo è circondato da una serie di case unifamiliari israeliane costruite in territorio palestinese, recintate da torrette di avvistamento e guardie armate. Non lontano sorgono altri insediamenti, vicino alla tomba del patriarca ebraico Shimon Hatzadik, meta di frequenti visite da parte degli ebrei ortodossi. Più in là ci sono alcuni negozi palestinesi di frutta e verdura e uno dei rari rivenditori di alcol a Gerusalemme Est, frequentati essenzialmente da occidentali e dalla minoranza palestinese cristiana o non religiosa della zona. Ogni giorno, accanto al campo sfrecciano centinaia di veicoli con targa israeliana – gli unici ammessi a circolare a Gerusalemme. Le macchine truccate dei giovani palestinesi sono quelle che fanno più rumore quando sparano forte i bassi nelle casse e il fumo dalla marmitta. A fianco al prato passano gli autobus israeliani, che portano verso l’Università Ebraica di Gerusalemme e gli insediamenti alla periferia di Gerusalemme, e i bus palestinesi, che si dirigono verso Beit Hanina e Qalandya, uno dei checkpoint situati all’interno della Cisgiordania, a pochi chilometri da Ramallah.
Ogni venerdì il cavallo assiste alle manifestazioni di uno sparuto gruppo di israeliani sulla sessantina-settantina, di solito presidiate da un folto gruppo di agenti della polizia di frontiera israeliana. I manifestanti, outsider della società israeliana e nostalgici della linea verde del 1949, criticano la costruzione di insediamenti in territorio palestinese.
Dopo mesi, l’altro giorno ho incrociato lo sguardo del cavallo di Sheikh Jarrah: con gli stessi occhi della Palestina, guarda alle colline sopra casa sua con pazienza e brama, evita accuratamente il filo spinato che limita il suo spazio vitale e cammina placido fra i rifiuti. Ogni mattina il cavallo trotta per pochi metri nel prato stretto dagli insediamenti e dalle recinzioni per mantenere vivi i muscoli, in attesa di poter galoppare di nuovo in un campo libero.

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