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di Antonio Brizioli

 

L’esperienza artistico-editoriale di Emergenze è partita ufficialmente il 16 dicembre 2014, nel salone di Apollo di Palazzo della Penna dove fu presentato il numerozero della rivista. Ma poiché l’ufficialità non è mai stata il nostro punto di forza, mi piace ritenere, e più che altro percepire, che la nostra data di nascita sia quel 3 aprile 1980 che vide il maestro Beuys in pellegrinaggio a Perugia, con la consueta energia dialettica, che né i problemi fisici né tanto meno le crisi depressive riuscirono mai a depotenziare.

Il 3 aprile 1980 è una data che appartiene di buon grado al mito fondativo di Perugia. Se infatti i nostri articoli hanno sempre rivendicato le nobili radici etrusche del capoluogo umbro e non hanno fatto l’errore di accantonare le varie civiltà che vi si sovrapposero, è in quella data che la città ha seminato il germe della sua contemporaneità. Una contemporaneità non ancora pienamente conquistata.

Città troppo spesso volta con lo sguardo all’indietro Perugia, che tutt’oggi si rifugia dietro il fatiscente abito della rievocazione storica e rifiuta di abbracciare con la pienezza che le appartiene un presente pieno di calore.

Quel calore tanto caro proprio a Joseph Beuys, che vedeva i rapporti sociali come una trasmissione di energia, in una compenetrazione continua fra l’uomo e l’ambiente circostante, inteso tanto come natura quanto come società.

Sono sei le lavagne che Beuys ha lasciato a prezzo di favore al Comune di Perugia, allora presieduto dall’illuminato sindaco Zaganelli. E il motivo per cui l’artista è venuto incontro senza alcuna esitazione all’offerta del Comune, credo sia molto semplice: Beuys voleva che le lavagne restassero nel luogo in cui esse avevano visto la luce. Perché il tedesco sapeva benissimo di non essere capito dai più e di essere non più che vagamente percepito anche da coloro che s’illudevano di capirlo, ma allo stesso tempo era anche perfettamente consapevole della potenza del suo messaggio. Era perfettamente consapevole del fatto che le sue azioni avrebbero lasciato strascichi in grado di superarlo.

Così la vicenda della lavagne somiglia molto alla vicenda dell’uomo Beuys, celebrato nel presente ma compreso solo e soltanto nel futuro, un futuro che per altro è solo all’inizio del suo corso.

Le lavagne furono in magazzino per molti anni, prima di essere esposte nell’indegna sistemazione che tutt’oggi le ospita. Ma questo per Beuys non era un grosso problema: troppo il calore, troppa l’energia, sprigionata da quei sei pannelli d’ardesia tracciati con decisi colpi di gesso come appunti di una conferenza lunga e vibrante.

La prima volta che abbiamo visto quelle lavagne nella piena consapevolezza, si è aperto per noi il terreno di un’autentica rivelazione. Simboli simili ai pensieri di un bambino, eppure gravidi della complessità che appartiene solo alle opere d’arte più riuscite. Beuys a 34 anni dalla morte è stato in grado di fornirci l’alfabeto per codificare ed affrontare il presente. E ciò malgrado l’inadeguata sistemazione e le insufficienti spiegazioni. Al meno due di Palazzo Penna c’è un’energia impossibile da sconfiggere. Resistente all’incuria e ben più forte dell’umidità che pervade le stanze.

Quando abbiamo deciso di fare un giornale col nome di “Emergenze”, l’abbiamo fatto con sicurezza beuysiana. Con la certezza delle proprie azioni che solo gli sciamani riescono ad avere. Non la certezza ottusa di chi prevede per il mondo una sola direzione, bensì quella di chi pensa che la propria azione contenga un’importanza impossibile da eludere.

Così ha preso vita “la leva che solleva il cubo”, unico simbolo ricorrente in tutte e sei le lavagne, metafora gloriosa di come la comunità possa essere attivata dal gesto del singolo individuo, di come “ogni uomo sia un artista”, per usare le tutt’altro che banali parole di Beuys. E poi la “fiamma”, che nell’ultimo discorso pubblico della sua vita Beuys invitava a proteggere, a tenere accesa per impedirne lo spegnimento, la fine, la cristallizzazione di una scultura sociale che si alimenta di movimento. Quindi il bastone di rame, o bastone eurasiatico con cui Beuys si accompagnava in ciascuna delle sue performance, per veicolare quella trasmissione di energia che dall’uomo va alla terra e dalla terra torna all’uomo. Infine la lepre, mirabile rappresentazione di questa incarnazione con e nella natura.

Queste sono solo alcune delle simbologie che potrete incontrare al piano meno due di Palazzo della Penna. Lì noi, giovani artisti e scrittori di questa città, abbiamo trovato il mito fondativo della nostra contemporaneità: nella richiesta di un’arte che fosse politica in quanto intenta a plasmare la polis, nell’affermazione del calore come elemento di trasmissione dei rapporti, nella ricerca di un rapporto sinergico con l’ambiente che ci circonda, nella fiducia incrollabile nell’uomo. Perché Beuys disse, nella fase saliente del suo discorso alla Rocca Paolina, “io ho una grande fiducia in ognuno di voi”. E noi siamo tornati ad averla. Ad accettare quella potenzialità artistica che ci appartiene non in quanto artisti, ma in quanto uomini.

 

Per conoscere meglio, l’uomo e l’artista Beuys, c’è una stupenda biografia di Heiner Stachelaus, edita da Johan e Levi e disponibile in esclusiva perugina presso Edicola 518.

 

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