Questo che state per ascoltare è un brano di uno splendido intervento fatto dalla giornalista Alessia Cerantola nell’ex Fornace di Milano in occasione della tre giorni sulle sovversioni e le idee organizzata da Emergenze nelle settimane scorse. Intanto ve la presentiamo: Alessia Cerantola è una giornalista professionista freelance, co-fondatrice e reporter del centro di giornalismo d’inchiesta italiano IRPI (Investigative Reporting Project Italy) e del webnotiziario Radio Bullets. Tra i suoi interessi ci sono l’Estremo Oriente e le questioni relative alla libertà di stampa. Giovane, rigorosa, giramondo, ci è sembrata una figura adatta per avviare una riflessione comune sullo stato dell’informazione, evitando accuratamente giornalisti festivalieri o di grande appeal perché non siamo a Sanremo e abbiamo dato un taglio alla spettacolarizzazione di tutto quello che capita nella cultura. Con queste premesse abbiamo ascoltato Alessia che è stata una delle giornalista italiane coinvolte nel progetto Panama Papers. Per tanti motivi è degna della nostra stima, anche per questo torneremo a discutere anche con lei sulla base delle nostre suggestioni, dei dubbi e delle domande. Perché se il giornalismo ha un senso, risiede sicuramente nel non accettare mai per buone le verità comode. Neanche quelle accattivanti che sembrano così antisistema da essere dipinte. Quindi, ecco la brava e tosta Alessia.
Che cosa ne pensate? La cosa bella del giornalismo è che hanno ragione tutti, ma veramente tutti. Hanno ragione i vincenti dell’arena televisiva, i perdenti che vivono il precariato per i grandi giornali come punto d’arrivo. Hanno ragione i cialtroni del salottino e i cronistacci belli di provincia che rappresentano la spina dorsale dell’informazione, a loro insaputa e senza che le luci dei festival vadano mai a illuminarne le gesta. Hanno ragione gli inviati che intervistano i tassisti che li portano dall’aeroporto all’hotel di lusso, gli embedded di successo, quelli con la cifra del potere ricamata sulla camicia, gli autori di blog per le grandi testate che si sentono fieri. Hanno ragione quelli che frequentano solo giornalisti e quelli che reggono il microfono al potente. Hanno ragione quelli che sacrificano nella polvere la vita per tenacia e dignità e quelli che se ne fregano. Perché poi i primi dovranno bussare dai secondi per poter avere una briciola di possibilità.
Avendo ragione tutti, ci siamo liberati di un peso. Quello del disquisire delle mezze stagioni del giornalismo, di quel che sarà tra venti anni e di quello che non è mai stato. Possiamo superare con un solo balzo ogni motivazione che spinge chi fa il mestiere a gramellinizzare o a intervistare anonimi Repubblica-style, a fidarsi di tutto quello che viene dal mondo sputando su quello che questa nostra cultura ha saputo costruire nel tempo e poi perdere nel tempo.
Così abbiamo deciso di prenderci la nostra parte di responsabilità minando le fondamenta. Con un agire rivoluzionario fatto di piccole cose. Un giornale vero, di carta. Un’inchiesta di strada. Un’edicola che non accetta il sistema di distribuzione imposto dai proprietari della nostra libertà di stampa, cioè pochi padroni e pochi politici che intrecciano affari e vantaggi stringendo col loro nodo scorsoio l’informazione. Nessuno escluso. Quelli che hanno ragione e fanno carriera, quelli che hanno ragione e perdono il posto, quelli che hanno ragione e sono precari, quelli che hanno ragione e misteriosamente lottano per sovvertire il sistema.
Per queste ragioni, lavorando sull’edicola come metafora di una rivolta delle coscienze, pensiamo sia giusto ascoltare le voci di chi si batte perché – per lo meno – le cose non rimangano così. Così lungo la nostra strada abbiamo incontrato Alessia Cerantola e ve l’abbiamo fatta ascoltare. E lo faremo ancora. Prossimamente avremo l’intervento di Gianfranco Belgrano, valoroso giornalista giramondo che dopo tante esperienze ora lavora per un’agenzia che segue solo l’Africa e pubblica una rivista, Africa affari (per abbonamento e solamente nella nostra edicola).