di Antonio Cipriani
Premessa. Questo testo è senza tempo, parla della marzianettitudine dell’informazione, tra ricchi sponsor, hashtag e cotillons. L’ho scritto esattamente un anno fa, in occasione del Festival del giornalismo di Perugia nel quale mi capitò di inciampare casualmente. Colpito da un certo tipo di bruttezza, affascinato dalla supponenza conformista ricamata sulla camicia, ho osservato e dialogato strada per strada con la moltitudine addomesticata. In quei giorni al largo di Lampedusa affondò un barcone che portava verso la speranza 900 poveri cristi: tutti inghiottiti dal nostro mare di morte. Lo ricordo perché così si capirà meglio.
Contro la propaganda serve la resistenza civile (cit.). Me li immagino i marzianetti con attaccato al collo il collarino e la targhetta con sopra scritto Press, carichi delle parole di Edward Snowden, sciogliersi nelle strade di Perugia e dintorni, sciamare dal Testone o dalla pizzeria Mediterranea, riprendere la via consueta verso casa con in testa e nel cuore la scheggia della resistenza civile.
Immagino i dialoghi: ci vorrà più di un hashtag per resistere. Proponendo un hashtag si gettano le basi per una fan base e si detta l’agenda dei media, risponde il secondo. E il terzo: basta questo come resistenza civile o servirà uno specifico panel discussion? Panel discussion per il Press-boy col collarino che svolazza, e ci vuole pazienza ogni volta a rimetterlo dritto e in vista per le passanti e i passanti ignari che non sanno che fior di ragionamenti per il futuro del giornalismo si fanno tra propaganda reloaded e storytelling a palla. Alcuni, i più evoluti per lo meno temporalmente, portano le giacche ciancicate dell’intellettuale affaticato dal peso del concept. Altri, meno evoluti, ancora non hanno colto il valore dell’immagine da dare di sé. Sono brutti ma giovani. Mangiano un paninazzo col ciauscolo in strada, col cuore di ruggente attesa, e la fiducia cieca nel sistema. Quella stessa fiducia nella finzione dell’informazione che ha falcidiato generazioni intere, salvando qua e là pochi/e capaci di scalare le montagne con le ballerine. Senza manco conoscere la strada.
Ma questa è un’altra storia. Torniamo ai marzianetti, furbi o boccaloni, sciamano allegri e sicuri di avere il mondo in pugno, come un palmare. O come la piantina per niente psicogeografica di Perugia, scarnificata nell’indicazione dei luoghi in cui i guru daranno una rappresentazione del mondo che verrà. Vittime delle certezze del futuro e di chi ci gioca a dadi. L’ultima copia del Corriere dell’Umbria verrà stampata nel… La data la può mettere chiunque, tanto è casuale. Come tutto quello che ci hanno propinato negli anni per darsi un tono e mostrando di non aver capito una mazza nel senso generale della previsione. Ma di aver capito esattamente che qualunque sia il futuro, è meglio stare dalla parte dello sponsor ricco, della multinazionale, dell’editore che fa anche il finanziere. Insomma di chi ha i soldi, del capitale come si diceva un tempo, prima che inventassero hashtag e storytelling a confondere e cloroformizzare i già conformisti marzianetti dell’informazione.
D’altra parte è giusto così. Lo sponsor vuole un suo guru (giornalista, presentatore o personaggio comunque televisivo), e la presenza del volto noto porta sponsor. E se per nutrire il pianeta e risolvere i problemi della fame del mondo a Milano per Expo scendono in campo le peggiori multinazionali del cibo seriale, non certo note per la mano delicata e verde, per nutrire l’informazione che si deve fare se non questo? Farsi spiegare il futuro da chi l’ha già ampiamente distrutto. Ed è giusto così… Infatti se è vero che l’esercito dei marzianetti fa tenerezza, è anche vero che l’operazione è bella grande. E Perugia è sontuosa come scenografia naturale di un evento che manco la sfiora di striscio. Il futuro è qui, Disneyland: indifferentemente per il cioccolato o per la notizia. Tanto sempre Nestlè è. La bellezza di un luogo che diventa scenografia per occhi distratti, per cultori del niente che diventa sicumera, per gli amanti del luogo d’arte a fare da sfondo alla chiacchiera quando va bene, all’aperitivetto o alla testimonianza in prima persona quando va meno bene.
Brum brum brum, loff loff loff. Ma senza cravatta, perché la cravatta è segno di vetero: qui si gioca la partita del futuro, dell’ultima trovata per fare ammuina, per raccontarcela che intanto il resto non esiste. “Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza”, scriveva Debord. E lo spettacolo presuppone assenza di dialogo, perché è solo il potere a parlare. E tutto il resto arena mediatica. E lo sfondo di quest’arena è indifferente.
Poi ci sono stati i drammi, questo sì. Il marzianetto con l’hashtag bollente si è risentito per il servizio wi-fi scadente, manco ci fosse la Tim come sponsor della manifestazione. Sono questi i problemi veri del mondo, mica quello dei 900 e più migranti morti nell’indifferenza della politica, nel razzismo e nella xenofobia dilaganti anche per merito dei marzianetti, dei loro padri e zii marziani che da anni imperversano sui media. Notizia esplosa proprio in quelle ore di festival… Realtà, presente che affonda le radici nella memoria di mille ingiustizie e lascia morire in mare uomini, donne e bambini che cercano pane e libertà.
Roba vetero, insomma, mica il futuro della fan page. Quindi, manco una parola, un segno di riscossa civile (reloaded?) per lo meno su twitter. Ci sarebbe stata più partecipazione e attenzione al Festival delle canzonette di Sanremo, ingiustamente (a questo punto) accusato di essere avulso dalla realtà sociale. E invece di fronte a 900 migranti morti nel dramma più violento e ingiusto del tempo in cui viviamo, il Festival del giornalismo (ossimoro evidente) ha serenamente continuato a titillare questioncelle dell’informazione con la serietà e la profondità di facciata di questo mestiere perduto. (Per i marzianetti #sticazzi sarebbe stato un hashtag assai perfetto).