di David Grieco
La notte tra il primo e il 2 novembre del 1975, in quello sterrato dell’Idroscalo dove venne barbaramente assassinato Pier Paolo Pasolini c’era gente, molta gente.
Quella notte, in quel luogo, c’era anche un testimone che non ha avuto paura di parlare perché non era italiano e non sapeva che avrebbe fatto meglio a tacere. Il testimone si chiama Misha Bessendorf ed è un ebreo russo. Il 2 novembre del 1975 abitava con altri profughi come lui in una palazzina poco distante dallo sterrato dell’Idroscalo. Aveva 25 anni.
Pochi mesi dopo, Bessendorf è riuscito a raggiungere gli Stati Uniti. Da allora, vive a New York. Ha sposato una rabbina e si dedica a molteplici attività. Insegna matematica in una piccola università privata, guida comitive di turisti russi nella Grande Mela e gestisce uno di quei negozietti pieni di cose che stanno aperti 24 ore su 24.
Misha Bessendorf lo ha rintracciato e intervistato il 20 marzo del 2012 Paolo Brogi per il Corriere della Sera. Il giornalista italiano era riuscito a sapere di Bessendorf perché quest’ultimo, su Facebook, aveva raccontato ad alcuni amici della sua presenza in quel luogo e in quel momento.
Il 2 novembre del 1975, Bessendorf abitava con alcuni connazionali in una palazzina distante un centinaio di metri dallo sterrato dell’Idroscalo. A Ostia in quel periodo c’era una colonia di profughi russi, prevalentemente ebrei, fuggiti dall’Unione Sovietica. Vivevano sul litorale perché gli affitti erano più bassi rispetto a Roma ma non riuscivano quasi mai a trovare lavoro. Sbarcavano il lunario vendendo al mercato di Porta Portese macchine fotografiche, colbacchi, medaglie e medagliette con la falce e il martello. Non volevano rimanere in Italia. Il loro obiettivo finale era raggiungere gli Stati Uniti o Israele.
La notte del 2 novembre 1975, prima di mettersi a letto, Bessendorf si trovava in bagno, seduto sul water, con la finestra aperta. Improvvisamente, udì delle grida e il frastuono di un motore imballato. Si affacciò alla finestra e vide tre o quattro uomini sulla trentina, attorno a un’auto, e un altro uomo disteso a terra.
Poco dopo, Bessendorf corse giù per le scale e raggiunse lo sterrato dell’Idroscalo, pensando che quegli uomini stessero simulando un incidente per mettere a segno una truffa ai danni dell’assicurazione.
Bessendorf dichiara a Brogi che la scena del delitto, in pochi minuti, si era riempita di gente. C’erano anche dei carabinieri in uniforme. Uno dei carabinieri gli chiese cosa avesse visto e annotò il suo nome e le sue dichiarazioni. Gli chiese anche il suo numero di telefono. Ma poi nessuno si fece vivo con lui, nessuno lo chiamò.
Le affermazioni di Bessendorf sono sconvolgenti non tanto per la presenza all’Idroscalo di numerosi assassini. Questo è ormai un fatto che si può dare per scontato, dopo il recente ritrovamento di cinque nuovi DNA non appartenenti a Pasolini e a Pelosi sulla canottiera dello scrittore. Neppure la presenza di tanti curiosi sulla scena del delitto può sorprendere più di tanto. Quei curiosi, molto probabilmente, erano i 36 abitanti delle casupole abusive che si trovavano ai margini del campetto di calcio.
Ciò che appare sconvolgente, nelle affermazioni di Misha Bessendorf, è l’idea che a quell’ora, in piena notte, fossero già presenti all’Idroscalo i carabinieri. La notizia è sconvolgente perché tutti avevamo creduto che il corpo di Pasolini fosse stato trovato dalla signora Maria Teresa Lollobrigida soltanto alle 6,30, quando ormai si era fatto giorno.
Ma non dobbiamo dimenticare che il 21 luglio del 2010, un certo Olimpio Marocchi che abitava in una delle casupole abusive dell’Idroscalo e all’epoca era soltanto un ragazzino, dichiarò al giornalista Claudio Marincola del Messaggero che la signora Lollobrigida non diceva il vero. “Ero piccolo, ma ricordo le discussioni. Nessuno parlò, avevano paura che poi avrebbero buttato giù le loro casette abusive. La donna (la signora Lollobrigida, appunto) che la mattina del 2 novembre, insieme al marito, trovò il corpo di Pasolini, raccontò agli agenti che era appena arrivata da Roma, ma aveva dormito lì e aveva sentito tutto. Pasolini urlava e invocava aiuto…”.
Dopo alcuni scambi di mail con Paolo Brogi, Misha Bessendorf ha evitato accuratamente ogni sollecitazione proveniente dall’Italia. L’avvocato Stefano Maccioni, che ha fatto riaprire il Caso Pasolini nel 2011, lo ha chiamato più volte e gli ha scritto per ottenere conferma della sua testimonianza ma non ha mai ottenuto risposta.
Ecco uno dei tanti motivi che rendono indispensabile l’istituzione di una commissione parlamentare per riaprire le indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini in assenza di altri strumenti e in presenza di un impegno della magistratura romana che si può definire discontinuo e distratto. In proposito, vale la pena citare lo stesso giornalista del Corriere della Sera, Paolo Brogi, che riscontrò uno scarso interesse degli inquirenti per i dettagli di questa vicenda.
“Che cosa ho fatto appena pubblicata l’intervista sulle pagine romane del Corriere della Sera? Sono andato a Piazzale Clodio e salito al piano dei procuratori ho bussato all’ufficio del Pm Minisci, dove a una segretaria ho lasciato un mio appunto su tutta la vicenda corredato dalle mail scambiate con Bessendorf (oltre che dei recapiti dove eventualmente rintracciarlo). Che cosa è successo dopo? Io sono stato “sentito” da carabinieri del nucleo operativo di In Selci, che mi sono sembrati più interessati alla genesi dell’intervista più che dal contenuto della stessa. Pazienza, si dirà. Il fatto è che per quanto mi risulta Misha Bessendorf non è mai stato sentito dai giudici italiani, che evidentemente se è così non lo hanno reputato degno neanche di una rogatoria. Almeno questo è ciò che ho appreso da New York, dove ho chiesto ogni tanto se qualcuno si fosse fatto vivo con il teste. Spero che le mie informazioni non siano giuste, spero che Misha Bessendorf sia stato invece “sentito”. Se così non è stato sarebbe davvero una singolare stranezza, senza altro aggiungere”.
Purtroppo, caro Brogi, le tue informazioni sono esatte. Misha Bessendorf non è mai stato cercato né tantomeno “sentito” dalla Procura di Roma. E questa è una delle innumerevoli “stranezze” del Caso Pasolini.