di Sara Datturi
Egitto che è adesso, Il Cairo… una città caotica, dove i clacson sono la nuova musica e lingua che si sente per la strada. Traffico impazzito, taxi che fanno slalom tra macchine d’ogni epoca, carrettini e se si è fortunati anche piccoli calessi. L’Egitto, Il Cairo, portano in se stessi la storia atavica dell’umanità, intrecciata e offuscata da politiche presenti dove l’umanità viene vista come uno strumento di progresso del dio denaro. Tanti giovani, tanti visi ed occhi scuri, verdi con lineamenti eleganti e dolci che ricordano epoche ed albe passate, intrecci di un mondo che è stato e che ora è rimescolato, difficile da riscoprire.
Disordine che si contrappone al Nilo e alla sua opulenza, lo scorrere fermo dell’acqua rilassa il cuore e lo spirito di 22 milioni di persone che lottano con un presente legato per tanti alla sopravvivenza e con un futuro nel quale si vuole ottenere di più per sé e per i propri figli. Giovani generazioni dove tutto è cambiato in poco tempo, sogni che sono tornati a bussare alla porta di cuori ed anime in fermento. Una rivoluzione che non si è svolta solo nelle strade, ma anche in tante teste, cuori ed anime.
Ahmed (nome inventato) mi racconta della sua trasformazione durante e dopo la rivoluzione del 2011. Lui che in quegli anni pensava ad essere e vivere come un buon musulmano, sposarsi e trovare un lavoro come ingegnere. Lui che viveva in un appartamento dietro piazza Tahir quando tutto è iniziato. Un momentum storico politico concreto, il grido di un intero popolo, una generazione che ha voluto esprimere il suo dissenso, il suo “IO CI SONO e VOGLIO ESSERNE PARTE. PARTECIPARE È UNA RESPONSABILITÀ”. Le settimane vissute da lui l’hanno segnato per sempre.
Quando mi parla, nei suoi occhi scuri leggo una determinazione infinita, la felicità per una scelta di vita che lo ha portato ad essere chi è adesso. L’orgoglio di questo giovane uomo, che ha fatto di una rivoluzione di un intero popolo anche la sua personale. Il sentirsi unito ad un ideale concreto, il mix di sensazioni che ha provato in quei giorni di lotta erano già presenti in lui, ma la consapevolezza che per la prima volta poteva viverli in prima persona è stata una nuova genesi. La voglia di rischiare senza sapere cosa sarebbe successo, se sarebbe sopravvissuto per realizzare la sua passione del cinema, per avere il diritto di scegliere chi essere, cosa pensare, chi amare e cosa credere… tutto questo è arrivato dopo. Diritti che tutti dovrebbero avere l’opportunità di poter attualizzare, ma che realmente pochi privilegiati hanno. In quella piazza, in quelle giornate e mesi c’è stata questa passione e lotta. Ahmed come un super eroe è riuscito a realizzarsi. Ha rischiato tanto, ma adesso quando si parla con lui, nei suoi occhi c’è passione, amore e la consapevolezza di un uomo che sa per cosa vuole lottare.
Rivoluzione che porta con sé cambiamenti strutturali nella società, specchio di un patchwork umano egiziano e cairota che è in mutamento costante. Insieme all’euforia, forza, consapevolezza di un popolo che si è riversato per la prima volta nelle strade a mostrare tutta la rabbia, risentimento, voglia di cambiamento c’è anche stata strumentalizzazione, paura, violenza, giochi politici e rivincite silenziose dove i potenti hanno sfoderato le armi delle demagogia, del terrore e della finta morale.
Questi cinque anni dopo Mubarak, Morsi e il qui ed ora di El Sisi hanno avuto e stanno avendo delle conseguenze concrete su tutta la popolazione, la voglia di riscattarsi è tanta, il diritto di poter avere l’opportunità di scegliere chi essere e diventare per sé e la propria comunità è una lotta che per la maggior parte si traduce in espedienti quotidiani legati alle risorse naturali, a lavori informali, a ore estenuanti di lavoro mal pagate.
E poi ci siamo sempre noi, immigrati europei che si spostano e lavorano nella cooperazione che vivono una realtà completamente diversa. Abbiamo una responsabilità, un ruolo che è una dicotomia, una lotta interiore per cercare di tradurre programmi in azioni concrete di cambiamento insieme a loro.
In queste prime settimane tanti m’hanno descritto come sia cambiato il Cairo, la gente, la mentalità, la visione della vita del futuro. Tanti mi ripetono quanto la gente qui sia diventata più triste, disillusa, incapace di vedere un vero cambiamento, soprattutto ora che l’economia sta diventano sempre più debole, incastrata in una situazione di paranoia collettiva che ha ridotto ulteriormente una delle entrate più importanti come il turismo. Sono arrivata in un’altra fase della vita del Cairo e dei suoi abitanti, eppure la sensazione che ho da subito sentito non è di tristezza o rassegnazione, ma di vita vissuta lottando, una confusione caotica ordinata di palazzi popolari macchiati di colori, la stravaganza di spezzoni di conservatorismo, cultura, musica, arte, accoglienza divertita e tana dolcezza quando riesci a pronunciare le prime parole in Ummeya (arabo egiziano).
C’è voglia di raccontare, camminare a testa alta e ancora una volta mi lascio avvolgere da questi anziani con i loro turbanti impeccabili, i bastoni che portano con tanta fierezza e gioia. Motorini colorati, invenzioni misteriose di camioncini d’altri tempi che scorrazzano veloci come se fossero degli ultimi modelli di mercedes. Cairo e le sue miriadi di sfaccettature, i suoi marciapiedi inesistenti, l’isola di Zamalek, fortezza europea e casa fancy di tante ambasciate e residenze diplomatiche, dimore ben curate simbolo di un certo status. Anch’io da brava europea abito in quest’isola, ad un ventisettesimo piano che da sul Nilo. Vedo la città che si muove, si sveglia e vive, anche sui tetti dove tante, troppe famiglie condividono uno spazio minuscolo per coesistere con una gentrificazione che segue le leggi dell’economia e non quelle del ciclo della natura, dimenticandosi del diritto di un popolo a costruire la sua stessa definizione di diritto.
È vero, non so ancora nulla di questa città, di questa sua gente eppure mi sento a casa… il suono della preghiera, una lenta misteriosa litania, la raffinatezza ed orgoglio di mille tappeti che affollano una strada il venerdì mattina per la orazione, l’eleganza di queste lettere arabe, specchio d’un mondo passato dalle mille e una notte, dove le porte per conoscerlo sono infinite. Il profumo della shisha, il rumore dei tavolini sempre pieni, il calore del sole che si specchia su palme rigogliose, il vociare tra le strade, i sapori intensi delle spezie, olive, arance e datteri, simbolo di un’area mediterranea eterogenea ma con un cuore caldo ed accogliente che è ancora capace di sentirsi, che non ha paura d’esprimersi, camminare e urlare la sua indignazione, rabbia, malinconia, voglia di lotta per essere attore del proprio cambiamento. La contraddizione è parte di questa poesia cairota, dei suoi musicisti ed abitanti, dei suoi tramonti e le sue lune piene.
Per ora mi lascio trasportare da questo caos lento, da questi abitanti disordinati e calorosi, da questa famiglia d’immigrati italiani che sono stati capaci di farmi assaporare la bellezza ed importanza di creare connessioni fatte di latte e di miele dove ci si sente e si ha passione per un lavoro che è anche responsabilità quotidiana. E quando si ha questa consapevolezza di non essere soli, tutto è possibile. “Yom Fi shams”, oggi c’è il sole.