di Paolo Marchettoni
L’attenzione e la sensibilità dimostrate nei confronti delle questioni cosiddette geopolitiche hanno subìto negli ultimi anni un’impennata, catturando l’interesse di molti. Riflettere su questa disciplina così delicata e importante al tempo stesso, quasi fosse una religione, è diventato ormai un esercizio di retorica in buona parte d’Europa e d’Italia, dai bar di periferia ai salotti dei talk-show televisivi. Ma ancora oggi non esiste una definizione di questa scienza che metta tutti d’accordo, come non ne esiste una universalmente riconosciuta per la parola “religione”. Non volendo elevare la geopolitica al rango di religione, ma piuttosto mantenendola nella sfera del contingente, si può tuttavia tentare un’indagine mossa da un bel tuffo al contrario seguito da una deriva profonda, senza bisogno di troppe guide, senza rischiare la condanna per eresia, consapevole soltanto del punto di partenza, mai di quello di arrivo.
Come in tutte le discipline, dei paletti sono stati via via piantati anche in questa scienza, come fa il contadino nel campo in cui si accinge a compiere il proprio lavoro, per delimitarne la superficie di azione.
Il primo a essere stato innalzato, come in tutte le entità nascenti, è di fondazione.
E qual’è la prima cosa da fare quando viene partorito qualcosa che prima non esisteva? Bisogna dargli un nome.
Il termine geopolitica è stato coniato dal sociologo, politologo e geografo svedese Rudolf Kjellén (1864 – 1922) in riferimento alle questioni politiche generate da fattori geografici.
Primo passo doveroso per indirizzare la propria indagine e anche le future ricerche nello stesso settore. Ma la storia, come la vita, la scienza e le arti, ha il vizio di procedere per apposizione.
Così gli studi di Kjellén servirono da base per altre dissertazioni, come quella del generale, diplomatico, studioso di filosofie orientali e politologo tedesco Karl Ernst Haushofer (1869 – 1946) che, dopo aver preso parte alla Prima Guerra Mondiale, ispirato anche dalle opere dell’etnologo e geografo tedesco Friedrich Ratzel (1844 – 1904) e del generale e politologo britannico Halford Mackinder (1861 – 1947), sottolineò il peso del determinismo nelle decisioni di geografia politica, specie in chiave militare. Negando in geopolitica, così come era stato decretato in filosofia nei riguardi della natura, l’operato del caso e dando maggiore importanza alle cause, le ragioni, quasi sempre rispondenti alle necessità.
Viene, insomma, riconosciuto il primato della necessità causale sulla casualità necessaria, uno scontro antichissimo tra due linee di pensiero che va avanti da qualche millennio e che si potrebbe tentare di riassumere così:
Non c’è effetto senza causa, qualora si ritenga necessaria alla produzione di ogni effetto una causa efficiente, scatenante.
Non c’è effetto senza caso, qualora si accetti che la causa è inefficiente in quanto connessione non necessaria a generare un effetto.
Tornando al discorso principale, la svolta determinista di Haushofer nel pensiero geopolitico e le sue successive interpretazioni hanno forse causato alcuni “problemi” sia nello sviluppo della creatura di Kjellén che ad Haushofer stesso, di certo non alla Storia.
Ancora si discute su quanto e in che modo la teoria dello studioso tedesco possa aver contribuito alla crescita di un’altra creatura, la cui ideologia legittimava una politica estera espansionistica a favore del proprio popolo o razza: il Nazionalsocialismo di Hitler.
Nel 1945 Haushofer, in seguito alle accuse di filonazismo dalle quali fu scagionato, riuscì a evitare il processo di Norimberga, ma non la fame e la miseria (come del resto la maggior parte dei suoi connazionali) dopo che un decreto delle autorità d’occupazione statunitensi aveva deciso che lui non era più un professore, revocandogli titolo e pensione.
Questa vicenda assurda tanto quanto la sua prigionia nel campo di concentramento di Dachau, ma soprattutto nel 1945 l’assassinio da parte delle SS di uno dei due figli, il poeta e studioso di geopolitica Albrecht incarcerato nel 1944 a Berlino con l’accusa di aver partecipato all’attentato (fallito) del 20 luglio 1944 contro Hitler, deve aver convinto nel 1946 l’ormai settantaseienne Karl a suicidarsi insieme alla moglie d’origini ebraiche Martha Mayer Doss.
Per quanto riguarda gli effetti sulla storia, in senso più ampio, è ben noto a quali conclusioni portò la deriva nazista in Europa e nel mondo.
La cosa interessante è che la storia di Haushofer può aiutarci a ricordare come la storia abbia un andamento ciclico.
Al termine della Grande Guerra Karl aveva ripreso gli studi universitari, laureandosi con una tesi sui mari interni del Giappone, che gli valse nel 1919 la nomina a professore ordinario di geografia all’Istituto di Geopolitica presso l’Università Ludwing Maximilians di Monaco. Haushofer, dopo una brillante carriera nell’esercito tedesco, era stato inviato a Tokyo nel 1908 col compito di consigliare l’esercito giapponese, ma senza dover rinunciare al confronto con le culture orientali; durante la permanenza compì numerosi viaggi in estremo Oriente dove approfondì la conoscenza delle lingue e delle civiltà orientali, che gli permise di ricoprire incarichi diplomatici di rilievo nel paese del sol levante. Una volta rientrato in patria, dalla cattedra universitaria di Monaco il professore e diplomatico militare ebbe l’occasione di poter mettere in pratica il frutto dei suoi studi, così, forte dell’esperienza maturata nei percorsi di studio e di vita, oltre a formulare e divulgare le sue teorie geopolitiche attraverso la pubblicazione di opere scritte, si prodigò nel tentativo di formare una nuova classe diplomatica tedesca che potesse contribuire insieme alle altre componenti dello stato a risollevare la nazione tedesca, annientata dalla guerra e umiliata dal trattato di Versailles.
Come in campo militare la guerra, attraverso la massificazione e la brutalizzazione della morte, aveva tolto dignità umana al nemico, così il patto di Versailles, seppur nel nome della pace, aveva umiliato le popolazioni sconfitte; tant’è che si configurò più che altro come una punizione nei confronti dei paesi sconfitti negando ogni possibilità di ricostruzione sana, soprattutto nel settore dell’economia, lasciando al contrario un’ipoteca di morte e distruzione sull’Europa.
Di sicuro Haushofer fu molto critico verso le imposizioni del trattato, forse ancor più del presidente Wilson, e non a caso parlò di “cancellazione della Germania come soggetto politico della storia”. Ma a ben guardare questa situazione così disperata è un quadro perfetto in cui inscrivere e individuare la perfetta circolarità degli eventi storici. Non c’è dubbio che la volontà di cancellare dal palcoscenico della politica mondiale il pericoloso attore tedesco abbia guidato la stesura di molti dei 440 articoli del patto di Versailles. Ma, come noto, questo disegno non produsse mai gli effetti sperati.
Gli Stati Uniti non ratificarono mai il trattato poiché erano in cerca di nuovi mercati e dunque nutrivano un forte interesse affinché si verificasse una rinascita economica in Europa. E il pagamento dei debiti di guerra fu uno dei punti fondamentali per agevolare tale ripresa. Così, con un’operazione analoga a quello che sarà il piano Marshall, vennero elargiti prestiti alla Germania che in gran parte li utilizzò per pagare le sanzioni a Francia e Gran Bretagna, a loro volta indebitate con gli Americani.
Questa “manovra finanziaria” creò quindi un circolo vizioso che instaurò una vera e propria dipendenza economica della Germania nei confronti degli USA. Appena dieci anni dopo, al momento del crollo del sistema finanziario d’oltreoceano con la famosa crisi del ’29, gli effetti furono ancora una volta devastanti: per riflesso la drogata economia tedesca entrò in overdose causando ben nove milioni di disoccupati, un bacino ideale da cui raccogliere un rapido consenso da parte del nuovo partito di Hitler.
In conclusione si potrebbe affermare che tanto gli investimenti economici degli Stati Uniti successivi al trattato di Versailles, quanto le dottrine geopolitiche di Haushofer hanno senz’altro favorito (insieme ad altri fattori) in Germania l’ascesa e il consolidamento del nazismo. Tuttavia, è altrettanto vero che fino ad oggi nessun provvedimento ha impedito alla Germania di poter continuare a esercitare il proprio ruolo nella storia. Probabilmente l’unico avvenimento capace di generare tale impedimento sarebbe la fine della storia stessa, che presupporrebbe la distruzione della specie umana. Ma a quel punto dovremo parlare di cancellazione della razza umana e sarebbe inutile preoccuparsi di attori e comparse.
*Unico piano regolatore nella costruzione di questo testo è stata la deriva, ispirata da situazioni di vita vissuta.