di Francesco Merlino
Quando Modesto Della Porta morì tutti gli stabilimenti balneari di Francavilla al Mare tennero chiuso per lutto, prefiggendosi di fregarsene della folla reclamante un posto al sole di quel 23 luglio 1938. Per il resto quasi nessuno se ne accorse.
Morì di vita, perché vivere gli piaceva troppo. In particolare prediligeva la vita dei bar e delle osterie. Aveva tre grandi passioni, che fortuna volle coincidessero con tre vocazioni: bere, scrivere e fumare. E non c’era nessuno in tutta Guardiagrele a potersi vantare di saper scolare il vino, sbuffare il toscano e scrivere poesie meglio di Modesto.
E se per il vino e il tabacco di problemi non ne aveva, mettendo il primo in conti spesso aperti ma mai saldati e acquistando il secondo coi soldi risparmiati da pranzi e cene di cui troppo spesso si privava, qualche volta la scrittura lo metteva in difficoltà. Sì perché Modesto aveva la voglia di fare il poeta, ma lui stesso si definiva un “poeta senza lettera”, ossia senza parole.
Quella sua mancanza era dovuta ad una scuola prematuramente abbandonata (in quinta elementare) per dedicarsi alla vita che tanto amava. Pensare che da bambino era un prodigio: tutti nove e dieci in pagella e otto in comportamento, come i veri geni ribelli. Per non deludere totalmente le aspettative riposte in voti così alti, per diventare qualcuno o qualcosa, prese un diploma da sarto che gli avrebbe permesso di campare. Ma a Modesto di fare il sarto non importava. Dicono che un giorno prese le misure al podestà del paese per un abito su misura e gli consegnò il lavoro terminato un anno e mezzo dopo. Il podestà, provandolo, si accorse che la giacca gli stringeva sulla schiena quando faceva il saluto romano.
“Ma, Signor Podestà, quando vi ho preso le misure ancora non eravate fascista”.
Ricamava meglio le parole che le stoffe.
Così, dato che la sua penna non aveva un lessico appropriato, Modesto scriveva direttamente col cuore, usando il gergo dialettale che tanto bene aveva imparato entrando nei portoni che nascondevano la luce durante la notte. Scrive poesie in dialetto abruzzese dal 1912, recitandole nelle serate con gli amici e nei matrimoni. Partecipa a qualche concorso letterario, uno lo vince, in finale con il conterraneo Cesare De Titta, prete laureato e professore di italiano. Nel 1933 pubblica una raccolta, la prima e l’unica, con l’editore Carabba di Lanciano. Si intitola Ta-pù, che è il suono che fa il trombone, titolo ripreso da una delle poesie che si trovano all’interno. Parla di un calzolaio che per passione suona in una banda di paese, che è più o meno come un sarto che scrive poesie in dialetto.
L’unica volta in cui Modesto non diede retta al suo nome faceva freddo. Arrivò fino a Gardone Riviera, con una mano stringeva la sua raccolta e con l’altra, nella quale teneva in pugno un’ambizione inedita, bussò alla porta di Gabriele D’Annunzio. Il maestro lo guardò, forse, e gli chiese quanto gli dovesse, scambiandolo per uno della banda che assoldava perché lo applaudisse nelle apparizioni pubbliche.
Quella copia di Ta-pù è ancora conservata al Vittoriale mentre Modesto se ne andò subito dopo e a mani vuote. Tornò dalla povera gente, quella che amava tanto e da cui veniva amato. Perché la povera gente aveva visivamente il sapore del vino e l’odore del fumo ed ogni storia da osteria, ogni espressione innaturale di una faccia ubriaca era una nuova poesia. La povera gente sapeva vivere perché solo chi è già a fondo non ha paura di affondare, perché, come scrive lui, “il pesce quando piove non si bagna”.
Modesto avrebbe potuto essere tante cose: avrebbe potuto essere il cavallo più veloce di tutti, ma al culmine della corsa si azzoppò, avrebbe potuto essere un garofano stupendo, ma confuse la mano che lo voleva accarezzare con quella che lo stava per sradicare da terra. Avrebbe potuto essere un poeta, rischiò di essere un sarto, ma fu solo un uomo.
Prima che Modesto Della Porta morisse, sul letto che ne avrebbe accolto la biologia, pronunciò queste parole:
“So’ fatt’ la fin’ della pall’ allumat.”
La pall’ allumat è il fuoco d’artificio che non esplode.
Ed in effetti Modesto fece qualche scintilla, ma poi si spense e cadde inesorabilmente a terra, senza colore e senza rumore. Della sua vita rimangono le sue poesie, comprensibili solo fino a qualche chilometro da Guardiagrele, e queste tre righe:
Modesto Della Porta
Grande poeta dialettale
1885 – 1938
Non si poteva descrivere meglio, non tanto per quel “grande” messo lì un po’ per non deludere del tutto le aspettative riposte nei suoi versi così ben ricamati e nemmeno tanto per le parole che ci sono scritte, quanto per quelle che non ci sono.
Perché Modesto Della Porta avrebbe potuto essere tante cose, ma fu troppo modesto.
Eppure il 23 luglio del 1938 gli stabilimenti balneari di Francavilla al Mare non ebbero alcun problema, perché nessuno andò in spiaggia.
Francesco Merlino, non so chi tu sia, ma sei semplicemente bravo.
Mi unisco al commento precedente.
Bellissimo articolo.
Complimenti Francesco
Guardiagrele, pare sia il paese dell’onestà e della sincerità d’animo ed intellettuale. Insieme a Modesto, mi piace ricordare un altro Grande…Giacinto Auriti.
Considero Modesto Della Porta un grandissimo poeta i cui versi penetrano direttamente al cuore. Me lo fece conoscere negli anni cinquanta il parroco di Bazzano de L’Aquila, dove andavo in villeggiatura . La poetica biografia di Francesco Merlino mi ha commosso profondamente. Un plauso. Luciano Barbato