di Francesco Merlino
Otto dicembre. Fa freddo.
Perugia è addobbata dalla testa ai piedi. Le luminarie sono fiorite già da un pezzo sui lampioni, aggiungendo luce alla luce. La città si riversa per le strade iniziando a godersi l’attesa del piacere, che, inutile dirlo da quando c’è la pubblicità del Campari, è essa stessa il piacere. Il corso è pieno, ovunque c’è gente, c’è ressa, perfino sulla pista di pattinaggio, al punto che ti devi mettere in lista per arrivare al ghiaccio. Coppie strane in piuma d’oca e visone passano a stento nello stretto labirinto occasionale formato dalle bancarelle. Nell’aria odore di caramelle. Le voci si affogano a vicenda, senza che nessuna riesca a vincere sull’altra. Il risultato è un unico vociare indefinito, industriale: più che centro è centro commerciale.
Fa eccezione alla gran calca un cerchio di spazio lasciato al vuoto. La causa è un ragazzo attivista che tenta, senza risultato, di proporre la sua rivista: Lotta Comunista. Ognuno, così, allunga il passo pur di evitarlo, fingendo l’inseguimento di un ipotetico rivale alla cassa: lotta consumista.
Ma l’attivista non sa che il panico generale che provoca il suo giornale sta togliendo lavoro ad un uomo, seduto solo sulla panchina di pietra che si trova poco distante dall’edicola ambulante.
Io, che distratto tiro dritto, non badando alle molestie del compagno, lo vedo. Provo un po’ pena, non tanto per lui, quanto per il suo cappello che lo aspetta fedele un passo avanti, sdraiato sul dorso ed affamato. Gli do da mangiare delle vecchie 10.000 lire e prendo posto di fianco al suo padrone, che ha appena riposto lo strumento nella custodia e ha iniziato a fumare.
Valerio è vestito da Babbo Natale. Ha sessant’anni ed il diabete. Viene dalla Romania.
Non so se sia stata la noia di una giornata lavorativa andata male o il mio obolo a farlo parlare, fatto sta che mi racconta la sua vita ed io la ascolto. Rilegatore di libri in Romania, a Targu Jiu, la crisi gli ha tolto il lavoro, ma gli ha lasciato una moglie, una madre novantenne e due figli da sfamare. A questo punto, come in una fiaba gitana, la ragazza dell’oroscopo alla televisione, per destino o per fortuna, annuncia una profezia che sembra stia parlando con lui. Valerio è costretto a partire in cerca di fortuna, insieme al suo amico Basilio, suonatore di flauto di pan, solo una mano all’attivo, l’altra perduta chissà dove, chissà come.
Valerio e Basilio incantano il pubblico dell’Europa occidentale, da Tenerife a Roma, Simon and Garfunkel dall’accento particolare, barattano la musica col pane. Suonano tutto il giorno e dormono in stazione, sul cartone, almeno finché le guardie non arrivano a fermare le note e la notte, anche con le botte. E quando le botte iniziano a diventare troppe, Basilio, che aveva sì una mano ma ci teneva come fossero due, decide di andarsene, di tornare a casa, stanco di vivere come un cane e soffrire la fame.
Valerio rimane solo, venti euro in tasca, lasciatigli dall’amico che se ne era fatti spedire duecento dalla moglie.
Gli chiedo se si fosse arrabbiato, mi risponde di no. “Sono un tipo tranquillo”.
Con i venti euro arriva a Perugia, a bordo di una slitta che più che altro sembrava un vagone e non trainata da renne ma da un motore. Sono passati sei anni da quella notte e da sei anni Valerio si siede su quella panchina. La prima volta che suona a Perugia è per la “festa della cioccolata”. Ci sono tanti bambini ad ascoltarlo e per la prima volta, sarà per la giacca rossa o per la barba bianca da sciamano, lo chiamano Babbo Natale, dando inizio alla sua leggenda.
Oggi lo troverete su quella panchina, questa volta davvero vestito da Santa Claus, l’unico al mondo che chiede e non regala nulla, se non la sua musica. Uno dei pochi padri che si traveste ancora quando viene Natale, non per i suoi bambini, che sono lontani, in Romania, ma per tutti gli altri.
Valerio si imbarazza quando lo chiamo artista di strada, e forse ha ragione. Ha la voce stridula e l’italiano è stentato, eppure c’è sempre qualcuno che si ferma ad ascoltarlo, nonostante le stonature, il freddo e Lotta Comunista.
Finita la sigaretta, sfodera la chitarra. È l’unico modo che ha per colmare quel vuoto. Non tanto quello del pubblico mancante, ma quello del suo cuore, per il quale ogni maledetto Natale può risultare fatale.