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di Paolo Marchettoni

 

In un Paese dove la precarietà è l’unica certezza e niente è più definitivo del provvisorio bisogna abituarsi a farsi trovare sempre pronti. Un po’ come Umberto nel “Salò” di Pasolini.

E se la linea più breve fra due punti sono i lineamenti di un volto, o i tratti che compongono un ideogramma giapponese è ancora meglio.

Il cinque ottobre scorso, trascorsi nemmeno dieci giorni dall’inaugurazione della mostra “Emergenze Ritratte” di Walter Meregalli, scrivevo che era passato il mondo in una chiesa sconsacrata nel cuore di Perugia: Santa Maria della Misericordia. Tutto vero! Ma non era che l’inizio di un percorso strepitoso durato più di un mese.

La chiesa, liberata dal torpore e da un po’ di sudiciume, rinata per mezzo di due mostre che resteranno tracce indelebili di un passaggio travolgente, ha assistito, spettatrice anche lei, a un moltiplicarsi di idee, performance, concerti, incontri, situazioni artistiche ed eventi culturali di alto profilo incatenati tra loro uno dietro l’altro con coerenza, cura, dedizione, professionalità e soprattutto prontezza.

Ma cosa vuol dire farsi trovare pronti? Significa innanzitutto rispondere al telefono, sempre. Anche alle quattro di notte quando sono irreperibili persino spacciatori e prostitute. Anche di domenica all’ora di pranzo, al termine di una settimana di lavoro sfiancante.

Così è nata la mostra “Nel segno di Emergenze” di Steve Gobesso. Durante la fase di smontaggio della mostra fotografica, infatti, si è presentata l’occasione di prorogare per la seconda volta la nostra permanenza all’interno della Misericordia. Il preavviso era minimo, l’opportunità massima. Così, con estrema reattività e immenso piacere, abbiamo invitato nuovamente Steve, nelle vesti del calligrafo Ku Hyo, a Perugia, per compiere insieme ancora una volta (dopo la straordinaria performance di Shodo da lui sapientemente condotta all’interno della precedente mostra-contenitore il ventidue ottobre) l’ennesima resurrezione all’insegna dell’arte, dell’amicizia e della bellezza.

Lui che, come tutti, la domenica ha il diritto di riposarsi ha risposto al nostro invito con entusiasmo e serietà. Verso l’ora di pranzo la chiamata; nel primo pomeriggio il suo arrivo con tutte le opere da esporre; prima lo smantellamento della mostra precedente, poi l’allestimento durato fino a tarda notte. Ed ecco un altro miracolo: la mattina seguente, dopo dodici ore di lavoro, abbiamo consegnato alla città un altro gioiello di rara prontezza e immenso splendore.

Ku Hyo, senza esitare, ha accettato l’invito, raccolto la sfida. Per noi, abituati a fare i conti con lentezze, esitazioni e ottusità, è stato un segno, una conferma ulteriore e necessaria. Lui questo lo sa. Veloce, sciolto, flessibile come la punta dei pennelli che maneggia, leggeri e pesanti al tempo stesso, come tutte le cose belle di questo mondo. Leggeri perché sfiorano danzanti ogni materiale, ogni superficie; pesanti in quanto densi di china, anni di studio ed esercizio costante. Come la poesia.  Come il miele: delizioso frutto di un lavoro continuo, duro e meticoloso. I complimenti gratuiti al prodotto finale a volte mettono in imbarazzo e, se ignari del lavoro delle api non contano nulla, anzi, infastidiscono. C’è una bella differenza tra chi promette, giura, spergiura senza mantenere e chi, pur non avendo garantito nulla, non disattende mai e non delude mai le aspettative degli altri. Insomma, stop al buonismo spiccio da quattro soldi, andato a male. La roba avariata non ci piace. Meglio il miele sano delle api operose, rumorose e ronzanti.

Quarantasette giorni, due proroghe, due mostre indimenticabili, cambi di allestimento dello spazio continui, dieci eventi collaterali (un dj set, due concerti, due performance artistiche, una performance teatrale e cinque serate di convivialità), quattrocentosessantadue ore totali di apertura al pubblico (molte delle quali notturne), migliaia di visitatori, quaranta nuovi abbonati alla rivista, settanta fotografie, tre opere di calligrafia estremorientale e centinaia di giornali distribuiti, trecentoventitre nuovi contatti in newsletter, un quaderno colmo di dediche, commenti, impressioni, firme ecc dei visitatori e soprattutto l’energia di una città.

Almeno su una cosa dobbiamo essere tutti d’accordo: compito dell’arte è porre domande, non fornire risposte. E se consideriamo l’arte un’espressione dell’essere umano, della sua spiritualità più profonda, essa non può che essere potenza irrazionale, dove il dubbio rappresenta l’unico barlume di logicità. Così come compito dell’informazione (quella seria) e della Cultura autentica è soprattutto quello di analizzare in maniera critica l’operato del potere. Costruttivamente laddove ci sia spazio per l’autocritica e dunque possibilità di nuove aperture e ulteriori riflessioni da parte del potere stesso; con forza distruttiva nel caso in cui non si verifichino queste condizioni. Con il rischio di essere snobbati, derisi, screditati, fino a essere esclusi dai circuiti ufficiali nel migliore dei casi, oppure, peggio ancora senza nemmeno essere considerati, proprio perché inadeguati, fuoriusciti dai soliti meccanismi e, dunque, banditi per sempre. Colpevoli di mettersi in gioco e di lottare per riprenderci il nostro tempo, dimenticando tutto il resto.

Alla luce di tutto questo, mi chiedo come qualcuno possa continuare a fare orecchie da mercante, nascondendo la testa sotto la sabbia. Rispondendo a domande precise con risposte incerte: facendo sfoggio di una dialettica gattopardesca del tutto inadeguata come scudo. Ma poi scudo da cosa? Dal presente? Dalle sfide continue della vita e del mondo? Sono forse questi i limiti, i contorni inevitabili che delineano e scandiscono con precisione aritmetica la realtà in cui siamo immersi e pian piano si fanno sempre più marcati, netti, soffocanti e spietati? O forse è più probabile che alla fine, come recita la celebre frase di un film: ”Anche i numeri mentono. La verità non è matematica, come prima io credevo. E’ assurda, è confusa, casuale, disordinata e assai spiacevole”.

 

Ecco alcuni scatti realizzati da Irene Maiellaro alla performance conclusiva della mostra “Nel segno di Emergenze” di Steve Gobesso, il nostro provvisorio saluto a Santa Maria della Misericordia:

 

 

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