di Sara Datturi
Terra Italica che riesci ogni volta a sorprendermi, capace d’essere passionale, dolce ed arrabbiata come la sua gente, intrisa d’una musica atavica inconsapevole che mi stringe dentro, mi rimescola ogni sensazione rendendola più intensa. Calore umano. Calore del sole e della pioggia. Intenso profumo di campagna e di vino rosso che rimane in bocca e ti scalda. Ricordi che ritornano come rondini a primavera. Rullini che s’inceppano, pellicole di memoria passata che non tornano più.
In bilico tra desideri e sfide, passioni che non si possono dimenticare perché al cuore non si risponde. Una bicicletta che infinita vorresti pedalare per ridisegnare i confini del cuore. Amore che senti, provi e vivi in ogni sfera di questa vita. Diritto al lavoro che adesso come non mai non solo in Italia ma in tutta Europa e nel mondo viene flagellato, riscattato in nome di ricchezza per pochi.
Ogni essere umano ha potenzialità, creatività, passioni e desideri. Chi ha avuto l’opportunità di scegliere e poter usufruire del diritto a essere istruito non sempre ha potuto trasmettere questa sua energia vitale al mondo. Perché? Ingiustizia, potere, ineguaglianza, sete di potere, sistema economico corrotto, gerontocrazia, avidità, impossibilità, disagio fisico/morale/psicologico.
Abbiamo così tanto da dare e darci. Spesso ci accontentiamo, ci lamentiamo ed adagiamo in comode poltrone, scappiamo per poi ritrovarci. Non è giusto che un/a giovane non possa permettersi di sognare o scegliere l’università che desidera in nome d’un’ottica puramente dettata da regole commerciali ed economiche. Inseguire la propria passione. Non vuol dire non essere realisti o ingenui. È un diritto e come tale va rispettato e tutelato. Non per una piccola parte che può permettersi rette stellari, ma per tutti.
Abbiamo paura, in costante attesa di una guerra imminente, di un prossimo evento catastrofico, importiamo la nostra paura, la voglia di ricchezza attraverso la produzione ed accumulazione di beni che non fanno altro che renderci più aridi ed assenti. La diversità culturale, l’immigrazione di questo puzzle di culture è un’opportunità ed una ricchezza per quest’Europa centrifuga. Incapace di vedersi e ripensarsi.
Rabbia per una malattia che si sviluppa con il troppo, che lega ed opprime, che spezza legami, distrugge relazioni e uccide l’anima e il potenziale di generazioni di donne. Variabili così personali che s’intrecciano ad un comune denominatore. Una generazione nata nell’opulenza, incapace di riconoscersi attrici del proprio destino, eterne bambine inabili di rischiare ed affrontare la sofferenza e così la vita. Voluttuose e perfezioniste, così sensibili da volersi svuotare, annientare, cieche nel loro non riuscire ad amarsi ed amare. Incrostate di sensi di colpa, di moralità malata che loro stesse hanno scelto, auto rinchiuse in piccole ed ottuse gabbie di cristallo. Scelte così opprimenti e mortali seppellite nel cuore di chi le guarda ogni giorno morire dentro e fuori. Scelte, appunto. Decisioni razionali portate avanti con cura maniacale, un’eutanasia lenta, un grido egoista verso la morte. Malattia che dovrei comprendere, cercare di conoscere e capire, malattia che non è fisiologica ma si scontra con l’irrazionale, con questa psiche umana che rimane per sua gran parte di fatto ancora un mistero. Malattia senza colpevoli e colpe che è lo specchio anch’essa d’un sistema opulento dove il troppo ha esondato come un fiume in piena. Disagio portato con cura ed esposto come trofeo agghiacciante, che lacera e spacca, che rinforza e trasporta in sé rabbia e dolore.
Insoddisfazione per un amore che si vuole coltivare ma che contemporaneamente si ha paura di vivere per perdere indipendenza economica, per desiderio di raggiungere e coltivare ciò di cui si ama. Sono in bilico tra il desiderio e diritto di poter avere un contratto più lungo di quattro mesi per pianificare un po’ la mia vita. Coesistenza di stabilità e voglia di mescolarmi con l’altro diverso da me, specchio delle mie più ataviche contraddizioni, vizi e desideri, colori, e musiche che senza averne mai ascoltate o viste non riescono a non essere familiari. Eterna itinerante con l’esigenza di voler avere una casa base, di poter svegliarsi più di quattro volte l’anno vicino alle persone che m’hanno rubato un pezzo di cuore, innamorata delle sfide e della gente, del giornalismo e della ricerca che abbia un impatto.
Come lei guardo il lago, come lei ho avuto l’opportunità di scegliere chi essere e cosa fare, un diritto frutto non solo dell’opulenza degli anni 90, ma di sudore e lacrime di genitori che di scelte non ne hanno avute, consapevoli del loro ruolo per poter invece donarlo. La vivo come una responsabilità e con orgoglio lotto perché il diritto al lavoro, ad un’istruzione e alla sanità debba essere preservato, curato, sviluppato ed innovato. Non si tratta solo di ringiovanire il linguaggio, inserire hashtag, utilizzare inglesismi e colori d’evidenziatori. Rompere pezzi di un sistema dove padroneggiano ancora servilismi, dove i dinosauri dettano regole e non vogliono cedere le loro poltrone non è semplice, ma Ilaria, Lucia, Simone e con loro tante storie di giovani e meno giovani Italiani che rischiano, innovano, credono e agiscono sta lentamente emergendo.
Ogni storia è diversa, ogni malessere e disagio può tramutarsi in vita. Anche la rabbia se ben incanalata può trasformarsi in energia vitale. Anche chi ha scelto di morire può cambiare idea.