di Barbara Monaco
Alphan Tuncer è un accademico turco esperto sul Medio Oriente-Turchia; ricercatore presso la Fondazione Heinrich Böll, struttura affiliata col partito dei Verdi tedesco e residente a Berlino dal 2001, ha parlato a Massa Carrara ospite dell’associazione “Un ponte per” di Pisa e dell’associazione Arci di Massa-Carrara, venerdì 22 luglio, illustrando la situazione turca all’indomani del tentato golpe. E rispondendo alle mie domande. Lascio il suo virgolettato, senza troppe interruzioni, inserendo solamente a metà del testo una mia considerazione senza la quale non si coglie fino in fondo il senso della seconda parte.
La situazione turca non è molto diversa da quella europea. La stampa turca fa riferimento alla radice islamica del partito di governo ma non bisogna dimenticare che quest’ultimo è neoliberista e duro a morire. La lotta dei sindacati contro le corporation e contro il sistema capitalistico è un processo che in Turchia avviene da molto tempo, è cominciato negli anni ’80 e, anche l’AKP, il partito di Erdogan, va situato all’interno di questo processo, prima del colpo di Stato. L’andamento che adesso si sta verificando in Europa è quello iniziato fin dal 1979 in Turchia, quando il partito socialdemocratico e tutte le opposizioni sono state represse.
Penso al filosofo Giambattista Vico che scrisse sui cicli storici del ritorno alla barbarie: una società non nasce, non cresce e non muore, ma si ripete ciclicamente. Il riferimento agli anni ’80, al fatto di scendere in piazza e alle migliaia di persone che hanno partecipato a questi cortei di protesta, appartiene alla precedente generazione, oggi non esiste la stessa partecipazione perché ovunque nel mondo non c’è più un pensiero collettivo ma il liberalismo e l’individualismo stanno prendendo piede sempre più, le persone pensano sempre di più a se stesse.
Il primo colpo di Stato, dal punto di vista militare, quindi con la piena presa di potere da parte dei militari c’è stato nel 1980, mentre quelli del 1996 e del 2006 sono stati più ibridi, senza arrivare effettivamente a materializzarsi. Dobbiamo pensare al fatto che la Turchia ha una lunga tradizione di golpe militari e che questi fanno parte della nostra storia e proprio il fatto che la maggior parte di questi non giungano quasi mai a conclusione, mostra un’altra parte del problema.
Il contesto geopolitico è quello di un Paese che si trova in un’area particolare ma che, malgrado questo, conserva un sentimento democratico ben definito e reso evidente dalla partecipazione della gente che continua a scendere in strada: in una parola, il concetto di democrazia è ancora sufficientemente intatto in Turchia. Dall’altro versante abbiamo però un altro problema, perché c’è una giunta militare che vuole creare una società autoritaria, con il presidente Erdogan intento ad porre il proprio veto al fine di aprire le porte ad un sistema neoliberista come quello della Cina, della Russia e, come in molti altri Paesi, così come accadde per il Cile di Pinochet, l’opinione comune è che un sistema neoliberista, come quello di Erdogan possa affermarsi meglio se viene affiancato da un regime militare e, quindi, autoritario.
Il colpo di Stato però non è che la punta dell’iceberg perché in questo processo fatto di aspre lotte intestine, la vera questione è la redistribuzione delle ricchezze; è per questo che, nel 1980, quando le forze di sinistra sono state brutalmente messe da parte si è dovuto riempire il vuoto con qualcos’altro: per farlo si è visto nell’Islam politico la panacea atta a riempire il vuoto che si era creato. È così, possiamo trasformare la questione islamica in una questione neoliberista, perché la mentalità conservatrice è maggiormente in contatto con l’idea di un Governo forte, autoritario: se così non fosse, non ci troveremmo di fronte al problema che abbiamo avuto con i sindacati.
In questo contesto, mi servo ancora dell’analisi di un filosofo italiano, Antonio Gramsci, vediamo quella relativa al concetto di “blocco storico”, dove Erdogan solo è uno degli attori, ve ne sono numerosi altri, come ad esempio la fratellanza musulmana, che è anche un attore economico e che, attraverso le connessioni che ha con l’autorità è diventata una vera e propria società per azioni.
Adesso ci rendiamo conto che il colpo di Stato militare è stato innescato da un piccolo segmento dell’esercito che adesso è fedele a queste fratellanze religiose. Per noi Turchi questa è stata una grossa sorpresa, abituati storicamente all’esercito come paladino della difesa dei valori laici e dalle tendenze secolaristiche che odiano Erdogan e gli orientamenti religiosi. Ora, si è tentato di attuare il golpe, ma questi due gruppi esistono, i generali più alti di livello sono anche generali della Nato, e questi ultimi sono rimasti fuori, convinti che i tempi non fossero maturi per un colpo di Stato: non dimentichiamo inoltre che la maggior parte dei militari sono educati ai principi kemalisti* della Turchia. Non sappiamo se questi attori si attiveranno in futuro perché ogni cinque, dieci anni c’è un tentato colpo di Stato e certamente il Presidente Erdogan sta usando questo ultimo golpe a suo vantaggio, per aumentare la propria popolarità.
La stampa italiana fa congetture e presenta teorie cospirazioniste di fronte alle epurazioni fatte all’interno del sistema giudiziario, della polizia, dell’esercito, e dell’istruzione, mentre ci sono degli analisti che dicono che esistessero già delle liste di persone che avrebbero dovuto essere destituite, è necessario però capire le dinamiche di questa guerra intestina fra fazioni di partiti iniziata due anni fa, nell’ambito della lotta alla corruzione. Il gruppo che ha reso pubblico lo scandalo relativo alla corruzione fa parte del blocco di Governo, perché controlla il potere giudiziario e l’istruzione. Immaginate l’ “Opus dei”, questa è la sua versione turca, dato che questi imam degli anni ’60 provengono dalla lotta al comunismo e sono stati educati a difendersi dalla minaccia comunista e organizzati, proprio come l’Opus dei, all’interno dell’economia, dell’istruzione e specialmente del sistema della polizia. Possiamo quindi adesso capire perché il colpo di Stato sia solo la punta dell’iceberg, dato che, negli ultimi due anni, tutte queste fazioni si sono combattute ferocemente per poi finire con la sconfitta di chi stava combattendo una guerra contro il Governo: poiché non si tratta di una forze progressiste, personalmente sono felice che siano stati messi da parte e posso portarvi un esempio: nel 1999 stavo studiando Scienze politiche all’università in Turchia, quasi il 50% degli studenti apparteneva a questo movimento e sarebbero divenuti parte della nuova classe dirigente, avrebbero tutti fatto parte del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione e non potevo non potevo certo dire loro che la loro attitudine non fosse esattamente democratica…
Ora abbiamo una delle forze principali messa in un angolo ma ne rimane un’altra che costituisce il reale pericolo: non c’è più il progetto dell’AKP ma c’è la ricetta di Erdogan, ovvero il progetto presidenziale. Vedremo come in Turchia, queste nuove forze sociali progressiste, i sindacati, le sinistre, che non sapendo comunicare fra di loro restavano divise, abbiano invece inaugurato due anni fa un processo nuovo, come il 28 maggio 2013, durante la manifestazione di Gezi Park a Istanbul abbiano invece saputo unirsi; dai movimenti sindacali a tutte le forze di sinistra, anche musulmane, i movimenti ambientalisti e anticapitalisti, fino a quelli omosessuali ed LGBT abbiano saputo andarsi incontro per la prima volta, seppur poi repressi nel sangue. Esiste qualcosa di nuovo in Turchia una nuova struttura sociale che sta nascendo, il vecchio ordine sta morendo e sono esattamente questi i primi sintomi del suo declino. La sfida che viviamo in Turchia, è quella di cercare di capire se la società civile può connettersi con queste nuove forze sociali progressiste di sinistra e confrontarsi con queste nuove sfide.
Al di là del fatto che gli interessi di Erdogan giochino una parte importante in questo colpo di Stato che Lei stesso ha definito, il giorno seguente, “un falso”, non posso che vederci anche uno zampino straniero, nel senso che molti generali sono anche interni alla Nato… Naturalmente si tratta di tutt’altro scenario, ma penso ad esempio all’Afghanistan, nel senso che quel conflitto è nato proprio dal tentativo statunitense di bloccare, finanziando l’islamismo talebano, l’avanzata di sinistra, e come in quel caso penso a mille altre occasioni in cui avvenimenti simili si sono prodotti. Mi sembra di vedere sempre una sorta di gioco di specchi, un ping-pong tra Occidente e Paesi “altri”, per riuscire a destabilizzare una situazione internazionale che è quale la vediamo e che la destabilizzazione economica e sociale degli Altri e spesso anche del popolo che si governa, porta sovente profitti economici personali ai capi e alle alle lobby del momento, fino a che la situazione non sfugge di mano, e credo che questo sia accaduto più di una volta … Le chiedo se, almeno in parte, può concordare con me…
La teoria cospirazionista è molto forte in Turchia: la prima spiegazione logica è che debba esserci una mano esterna, un’invasore esterno. Certo non possiamo ignorare il fatto che la politica internazionale sia visibilmente disastrosa in Turchia e la coscienza di altri problemi invisibili che noi persone comuni non possiamo conoscere, servizi segreti, holding, poteri occulti. Certo ci sono poteri esterni che stanno tentando di influenzare la Turchia, perché Erdogan non sta seguendo la linea politica degli ultimi cinquant’anni, quella tenuta durante la Guerra Fredda. Bisogna tenere presente che le condizioni materiali, il reddito pro capite, da dieci anni a questa parte, è molto migliorato, da tremila euro a diecimila. Questa crescita materiale ha dato fiducia al blocco di potere e non bisogna dimenticare che prima la Turchia era l’Impero Ottomano: l’idea della Grande Turchia, l’immaginifico dell’Impero Ottomano è ancora presente e attivo nelle menti della popolazione. Qualcosa è successo, come nel caso di Gezi Park: l’apertura nei confronti del popolo curdo dopo l’arresto di Öcalan nel 1999 si è invece ora trasformato in una guerra aperta. Non credo che ci siano i servizi segreti coinvolti in questo, ma sono le cose che ha fatto Erdogan che è un animale politico differente, abbiamo una classe politica davvero corrotta in Turchia ma non bisogna dimenticare che ci sono politici di destra e personalità piene di soldi dietro a Erdogan che certo non è solo…purtroppo i Turchi sono particolarmente bravi a farsi male da soli, senza cercare mani altrove. Solo un esempio, l’apertura con i Curdi per cinque anni, per la prima volta nella storia turca, è stata reale, ci sono stati dei negoziati e colloqui privati che sono stati incredibilmente pubblicati, i servizi segreti hanno parlato con Abdullah Öcalan, hanno avuto con lui e con il PKK delle conversazioni reali, questo non ce lo saremmo mai aspettato. Ma questo processo è finito con Erdogan e con i partiti fascisti e nazionalisti che sono ben presenti in Turchia. Il partito nazionalista è arrivato a raggiungere il 15% dei consensi, quindi il dialogo con i Curdi è stato interrotto da motivazioni di interessi carrieristici personali dello stesso Erdogan che, per il mantenimento del potere ha stretto alleanze con la destra nazionalista. Rispetto alla Sua domanda penso quindi che si tratti certo anche di un problema pluridimensionale, a più facce, ma che il problema sostanziale sia la mancanza di consenso all’interno della società turca.
*La definizione di kemalismo deriva dal nome del suo fondatore, Atatürk, Mustafa Kemal, generale e statista turco (Salonicco 1881-Istanbul 1938). Fondatore e primo presidente della Repubblica di Turchia: si tratta di una delle grandi ideologie del Novecento, capace di esercitare una durevole influenza sulla storia dei nazionalismi mediorientali. La filosofia che lo caratterizzava, nazionalista, populista e corporativista, poteva sintetizzarsi nelle cd. «sei frecce», le sue parole d’ordine: nazionalismo, fondato sul concetto di «nazione turca»; repubblicanesimo, che definiva il quadro istituzionale dello Stato; populismo, che fondava il potere sul concetto di popolo, in opposizione alle élite; statalismo, come espressione della sovranità e del possesso dei beni economici; laicismo, che liberava gli individui dalle loro affiliazioni religiose; infine, il concetto di rivoluzionarismo, per il quale le trasformazioni sociali e politiche necessarie dovevano avvenire in modo drastico e irreversibile, conducendo la Turchia in Europa e nella modernità senza perdere i propri tratti nazionali. I sei punti del kemalismo confluirono nella Costituzione del 1937 ed ebbero effetti radicali sulla società turca: la shari‛a fu abolita, sostituita da codici laici modellati su quelli svizzero, italiano e tedesco. Il costume tradizionale fu abbandonato a favore degli abiti occidentali. La lingua imperiale, l’osmanli, scritta in caratteri arabi, fu sostituita dal turco, ricostruito epurando le radici straniere e scritto in caratteri latini; la domenica divenne giorno festivo invece del venerdì musulmano e i vecchi titoli ottomani, compreso quello di pascià conferito allo stesso Atatürk, furono aboliti. Nel 1938 Atatürk moriva di cirrosi epatica. La rivoluzione sociale e politica da lui imposta alla Turchia fu modello per gli altri nazionalismi laici mediorientali, da quello di Nasser in Egitto a quello di Bu Rqiba in Tunisia fino alla rivoluzione libica di Gheddafi. Nota tratta dal Dizionario di storia Treccani (www.treccani.it)
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