di Samuele Chiovoloni e Ilaria Rossini
Simone Weil – concerto poetico
di e con Ilaria Drago
luci, musiche e sonorizzazioni Marco Guidi
voce live electronics Ilaria Drago
testi ed elaborazione poetica Ilaria Drago
Al centro del palco della Sala Cutu di Perugia, una scatola nera in pieno centro storico, si trova una consolle provvista di microfono e piccolo sintetizzatore per voce. Intorno il vuoto, solo uno sgabello che segna la profondità ultima dell’avamposto poetico e performativo. Ilaria Drago attraversa lo spazio e raggiunge il luogo della sua trasformazione, nello stadio intermedio si permette ancora un sorriso al pubblico.
Autrice ed attrice, c’è nella Drago una linea di febbre abbinata alla figura altera e magra che agevola il transfer con l’alter ego che è venuta ad esibire oggi, cui presta la voce per questo concerto poetico. Un’opportunità e una sfida, questa familiarità fra soggetto del ritratto e ritrattista, che la performance raccoglie con garbo e discrezione.
La musica di Marco Guidi, che ha curato anche l’allestimento e il disegno luci, traccia il solco in cui il fiume di Simone Weil si direziona e mai stagna. Suoni di fabbrica, qualche eco minacciosa della guerra, i rintocchi della tecnica di inizio secolo, sono il perimetro allegorico dell’esperienza biografica della indimenticata scrittrice francese di origine ebraica nata nel 1909 e scomparsa a soli 34 anni. Ilaria Drago interpreta e svisa questo muro di suono ed è pronta a raccogliere le suggestioni più dolci, quando la distorsione diventa musica e quando l’interlocutore, non più lo stato assassino e responsabile o lo spirito guerrafondaio dell’Europa, assume i contorni e il volto dell’alterità umana di un confessore o dell’alterità assoluta di Dio.
Per Simone Weil la tensione alla chiarezza è stata sforzo di concetto e di spirito, il suo pensiero organizzato è stato percorso in modo continuo e pluridirezionale dal bisogno di essere compresa. E questa esigenza di una consegna, nodale nel lavoro della filosofa, Ilaria Drago l’ha fatta sua, a partire dal momento dello studio. La lunga lettera indirizzata al confidente Padre Perrin, raccogliendo in forma di commiato i racconti di una vita, rilascia la particolare intensità di una ricerca nei testi e nei quaderni – quelli di Weil passati sotto la lente di Drago – di cui si avverte la cura e la gioia.
La sfida di Ilaria è molto alta: portare nei circuiti del teatro off la storia di una consacrazione. Se il pensiero e la vita interiore, ogni esercizio di entrata ed uscita da se stessi, sono segnati dall’intermittenza – un flusso di intuizioni e rilasci –, la riflessività di Simone è un atto unico di tensione. Il monologo recupera il pensiero politico di Weil – i rottami di idealtipi e di rifugi miopi distrutti dalla logica, il dono di riprogettare le dottrine attorno alla sensibilità viva – e la sua mistica, un trasparente atto di osservazione, una capacità di farsi oggetto attraversato. Un impianto translucido ma saldissimo, sorretto dalla viva presenza dell’interprete che, con gli atti più semplici (entrare in una fenditura di luce, tendere un braccio dolente verso la platea), dischiude scenari al suo pubblico, responsabilizzato eppure profondamente guidato, come in ogni patto. Il lavoro sui codici sembra sempre orientato dal «candore del neofita», ricercato e presupposto da Pasolini nelle sue interrogazioni sul destinatario dell’arte: rigettati intrattenimento e urlo, lo spazio teatrale è davvero una dimensione della mente e quella tra artista e pubblico è un’orizzontalità da percorrere, il canale ampio di un linguaggio in condivisione.
L’interprete è veicolo vivente e vibrante di una parola udibile, in cui tutto è ricerca. Questa fatica, riconsegnata e trascesa, prepara al momento in cui il ragionamento svolto fa filtrare, nella sua piega, un sentore di ineffabile. In un lavoro così sensibile e così politico, è il momento in cui la sospensione coincide con la responsabilità.