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di Luca Mikolajczak

 

Una città e un uomo. O un uomo e una città. Questi i contendenti di un duello che metteva in palio un premio un tempo ambito sopra ogni altro, oggi declassato a magra consolazione di frotte di dipendenti sottopagati: la gloria imperitura.

La città era Perugia, l’uomo era Aldo Rossi. Centinaia di anni alle spalle l’una, appena mezzo secolo l’altro. Diverse le armi a disposizione: la tradizione per Perugia, l’innovazione per Aldo. Difficile immaginare chi l’avrebbe spuntata in questo duello all’ultima mattonella. Il tifo era pressoché equamente diviso tra i sostenitori delle due parti, gli irriducibili custodi del mos maiorum e i giovani gaudenti fautori del progresso, poiché nelle fila dei conservatori, che erano la maggioranza, si nascondevano dei silenti traditori.

Nel 1983 Aldo Rossi, sprezzante del pericolo e incurante della disfatta dei suoi predecessori, raccoglieva il testimone di Vittorio Bega in qualità di coordinatore della progettazione di un centro direzionale per riqualificare Fontivegge. Il precedente duello era stato vinto dal giapponese Tsuto Kimura che con la sua equipe aveva presentato un progetto che prevedeva un imponente edificio a spina centrale da collegare alla città vecchia con una risalita meccanica. Tuttavia, proprio quando per Perugia sembrava non ci fosse niente da fare, stesa da un avversario così sorprendente, era arrivato il colpo di spada inatteso: la rivolta dei fedeli della Città e la crisi petrolifera del ’73 (passano le generazioni ma sempre di crisi si parla) con una stilettata sorda ma mortale, segnarono la fine di un incauto avvenirismo, che avrebbe dovuto interessare un’area vastissima, dal quartiere di Case Bruciate a quello di Madonna Alta in direzione nord-sud.

Perugia gioiva della sua incontrastata tenacia nel preservare se stessa da un nuovo che vedeva come infido aggressore dei suoi rinomati gioielli architettonici, Piazza IV Novembre, la Fontana Maggiore, Palazzo dei Priori, tanto per citare i più vistosi.

Nel 1980 arrivò tuttavia un primo attacco a uno dei suoi punti nevralgici, un suo tallone d’Achille se vogliamo, la Rocca Paolina, violentata da rumorose scale mobili, una soluzione destinata (non si sa per quale motivo, si chiedeva sbigottita la Città) ad aver seguito in tutta la Penisola.

Perugia si stava faticosamente riprendendo dallo shock quando d’un tratto quell’architetto la volle sfidare.

Lei sguainò la sua spada più affilata, levò lo scudo più resistente ma alla fine Aldo Rossi ebbe la meglio, e non per forza, aggressività, ma per astuzia e velocità. Era addirittura riuscito ad irretire gran parte dei suoi sostenitori, che traditori, sempre pronti a salire sul carro del vincitore!

Aldo si mostrò garbato, le disse che non voleva annientare la tradizione, ma trasformarla con la sua innovazione.

Ed ecco che Perugia assistette titubante ma ormai rassegnata alla creazione di Piazza del Bacio.

Per non infierire, Aldo Rossi volle seguire la pendenza naturale del terreno, secondo la caratteristica dei centri storici di tutta l’Italia centrale, per innestare una piazza pedonale con al centro una fontana, ai due lati un edificio residenziale e uno sede di attività pubbliche. Insomma, pensò Perugia, la brutta copia della sua Piazza più bella. Neanche il tempo di pensarlo, che la Città capì dove l’architetto voleva andare a parare. Una struttura canonica, realizzata con materiali altrettanto canonici (laterizio e pietra) si avvaleva di inedite geometrie severe, colori mordaci (un verde intenso che avrebbe dovuto penare molto per farsi benvolere) e altezze imponenti che più che toccare il cielo parevano pungerlo.

Il Broletto, che avrebbe dovuto richiamare Palazzo dei Priori, del suo illustre archetipo non serbava nulla in realtà, se non l’orologio posto sul fronte di un tempio massiccio votato a dèi sconosciuti.

Un essenziale parallelepipedo prorompeva in una cascata violenta in risposta allo zampillare tenue della fonte progettata dai Pisano.

Perugia non era costretta ad accogliere il moderno, bensì addirittura il post-moderno, e forse neanche se ne rendeva conto.

 

Sono passati ormai più di vent’anni dalla realizzazione della Piazza del Bacio – così chiamata in riferimento alla fabbrica della Perugina che aveva lasciato in ricordo la ciminiera tutt’oggi svettante – oggi Piazza Nuova.

Ancora si sentono i detrattori di un progetto che, peraltro non completato, richiama visitatori da tutto il mondo.

In fondo, basta solo abituare l’occhio al nuovo.

Sarebbe bello, pertanto, riqualificare una piazza che più che metafisica, come avrebbe voluto il suo architetto (vincitore del prestigioso premio Pitzker), è purtroppo infelicemente abbandonata.

 

Seguono due polaroid scattate in piazza del Bacio dal fotografo perugino Francesco Gullà:

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