Dal 6 agosto 1968 al 24 gennaio 1970 Pier Paolo Pasolini tenne sul settimanale “Tempo” una rubrica continuativa (con rare e brevi interruzioni) nella quale ficcava il naso in tutte le questioni centrali del suo tempo, giustificato dalla “necessità civile di intervenire, nella lotta spicciola e quotidiana, per conclamare quella che secondo me è una forma di verità”. Questo pensiero fu scritto dopo un pomeriggio trascorso sulle rive del lago Trasimeno con l’amico di sempre Ninetto Davoli.
I diritti della vita
In questa sinistra bonaccia, la vita pare riprendersi i suoi diritti. C’è il sole, l’estate, la domenica all’aria aperta. (Oggi girando con Ninetto lungo le rive del Trasimeno, tentando di avvicinarmi al lago attraverso i campi coltivati, mi sono imbattuto in alcuni alberi di melo, abbandonati al loro destino, perché evidentemente non danno più nessun utile. Chi avrebbe mai potuto trattenere Ninetto dal cogliere alcune di quelle mele? E anch’io ho ceduto alla tentazione. Erano mele meravigliose, d’una bontà inesprimibile. Sotto quello slavato cielo estivo, nella pace ambigua della campagna, ho assaggiato l’ambrosia, sole e pioggia mescolati insieme. Era tanto che non sentivo un piacere fisico così acuto). I diritti della vita sono gli atti anonimi della “religione di ogni giorno”, che si ripetono stupendamente uguali e che non producono nulla se non il loro effimero senso, talvolta lieto? E che essendo tali non portano avanti, ma indietro, e sono, quindi, in conclusione, atti del desiderio di morte? Da un anno non si va avanti. Il fiume della storia che ci trascina tutti indistintamente (perché comune a tutti in egual modo è l’illusione del procedere del tempo) ristagna. Allora noi cediamo all’inerzia, mettiamo da parte le armi, fisiche o ideali, ci abbandoniamo agli atti graziosi della vita. E chi ha combattuto più male, più male passa i giorni di pace. Siamo fatti così noi uomini, povere bestie.
Pier Paolo Pasolini, 19 luglio 1969