In Italia, ogni pizzeria produce e vende giornalmente 80 pizze.
240 pizze vengono mangiate soltanto fra sabato e domenica, ogni settimana.
I locali che preparano pizza fresca sono 63.000.
Pizzaioli e aiuto-pizzaioli che ci lavorano (tra quelli impiegati a tempo indeterminato e i titolari delle attività) sono più o meno 100.000.
Il totale delle pizze preparate ogni giorno è di 5 milioni.
Moltiplicate per 27 giorni lavorativi fa 135 milioni di pizze al mese.
Moltiplicate per 12 mesi fa 1.620 milioni di pizze all’anno, che generano un giro d’affari da circa 30 miliardi di euro.
è l’unica rivista che attraverso la pizza ci racconta i territori, le culture, le umanità di cui è composto il nostro paese (e non solo).
Si tratta di un bookmagazine, con cadenza semestrale, fondato dai fratelli Matteo e Salvatore Aloe (in arte Berberè) e diretto da Martina Liverani, già fondatrice di Dispensa, con cui ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere circa l’idea che sta dietro al progetto e le prospettive future.
Lascio a lei la parola.
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Francesco Merlino: Quello che mi sembra, leggendo 24HourPizzaPeople, è che la pizza sia un mezzo, il McGuffin che ci accompagna alla scoperta culturale del nostro paese. Per questo ti chiedo, di cosa parliamo quando parliamo di pizza?
Martina Liverani: Si parla di pizza in senso ampio, in pieno stile Berberè.
Berberè non è soltanto una pizzeria, è prima di tutto un movimento. Sono stati tra i primi a cambiare il mondo della pizza. Quando parli con Matteo e Salvatore Aloe, i due fratelli fondatori del progetto, parli sempre di cibo a 360 gradi, parli di cultura alimentare, parli di prodotti e materie prime, di produttori e di territori, parli di tradizione, parli d’innovazione, parli di musica, di arte. Parli di città.
Si parla di tutto questo, dedicando ogni numero a uno spazio urbano differente.
Il progetto è partito da Bologna, perché lì è stata aperta – 10 anni fa – la prima pizzeria Berberè, ma ci porterà in giro per l’Italia e non solo.
È un modo, questo, per arrivare a parlare soprattutto di persone.
FM: Che vita avrà il magazine, quindi? Avremo un numero per ogni città in cui Berberè è presente, e poi?
ML: E poi andremo avanti, toccheremo altre città.
Anche perché lo stesso Berberè è un progetto in espansione, se si espande Berberè…
In più potremmo pensare di dedicare più di un numero a ogni città, per esempio a città come Milano, Roma o Londra, concentrandoci in ogni numero su un quartiere diverso.
Non ci diamo limiti.
FM: Tu che hai fondato e diretto per cinque gloriosi anni, cos’hai portato di quella esperienza in questa nuova avventura?
ML: Che bellissima domanda!
Bé… credo, spero, di aver portato quello che – secondo me – è stata più apprezzata e ha determinato il successo di Dispensa (anche se non mi piace parlare di successo, ma già il fatto che sia durato cinque anni può dirsi almeno un buon risultato!): la cura nel supporto e la cura del contenuto.
Per questo, è un prodotto concepito con una cura artigianale.
Abbiamo prodotto tutti i servizi fotografici, le illustrazioni e gli articoli; ogni cosa è fatta ad hoc per la rivista.
Abbiamo importato l’idea dei long form, pezzi da leggere e godersi, dal contenuto originale.
Ci sono storie davvero incredibili, come il TYPOTOUR per Bologna, il reportage di una passeggiata unica guidati dalle insegne storiche per le vie della città. Così come quello che hai citato, Di cosa parlano quando parlano di pizza, per cui abbiamo invitato letteralmente cinque pizzaioli bolognesi a sedersi intorno a un tavolo a discutere di pizza, riportandone le suggestioni.
Abbiamo fatto un grande sforzo per dare al lettore qualcosa che ancora non aveva letto.
FM: E devo dire che è uno sforzo che si percepisce. L’attenzione di dare alla rivista un aspetto – passami il termine – più sacro rispetto all’immaginario comune. Renderla più simile a un libro.
ML: È come dici. Volevamo che desse l’idea estetica, un po’ come tutti i semestrali, di un prodotto da collezionare, che non ha scadenza. Un prodotto senza tempo. Poi, ovviamente, abbiamo cercato di evitare il classico format della guida turistica, ci sono anche, per così dire, dei “consigli ai turisti”, ma abbiamo più che altro di produrre testi sempreverdi. Vuole essere un prodotto che puoi leggere prima di partire, ma anche se sei già stato a Bologna, o ci vivi, o non vuoi andarci affatto.
FM: Supera appunto quell’idea di scadenza di cui parlavi prima. Mi fa venire in mente, nelle intenzioni, quello che Iperborea ha fatto con .
ML: Grazie, è un bellissimo paragone.
FM: Sì, l’idea di un bookazine che utilizzi un pretesto – nel vostro caso la pizza – per portare avanti un’indagine quasi sociologica. La sto sparando grossa…
ML: Ma sì, anche! È un prodotto che ha più livelli di lettura e che si rivolge a più tipologie di pubblico. Lo può leggere l’amante della pizza come chi non la mangia (chi non la mangia?), chi ne fa un mestiere, chi una passione, chi semplicemente vuole leggere qualcosa di bello. È una rivista per persone curiose, ecco.
I ragazzi di Berberè sono in prima linea per il cambiamento nel mondo della gastronomia, e tutto quello che hanno fatto l’hanno fatto grazie alla curiosità, che inevitabilmente ti porta alla ricerca della qualità.
FM: Perché è importante parlare di cibo? Perché è un argomento che attira tutti e così tanto?
ML: È importante parlare di cibo perché il cibo ti mette in relazione con gli altri e con te stesso. Il cibo è un atto sociale, un atto politico. Decidere cosa mangiare determina te stesso come individuo e influisce sulla collettività in cui ti trovi. Il cibo è consapevolezza. Si scrive e si legge tanto di cibo perché in questo momento, più che in altri, il cibo determina la tua identità. Così come scegliere che musica ascoltare, che libro leggere, che film guardare. Si tratta di prendere coscienza si sé, di costruire la tua identità.
FM: Perché, infine, parlando di cibo vai a parlare di persone…
ML: È proprio così. Come in Dispensa, anche in 24HPP c’è l’idea che il cibo non sia solo una questione di ricette, ma sia, prima di tutto, una questione umana. Generi umani dietro ai generi alimentari. Il cibo è un filtro, attraverso cui si può parlare di tutto.
FM: Grazie mille. Ora non mi resta che guardare 24 Hour Party People, da cui – ho letto – la rivista prende il nome.
ML: Esatto, il titolo è ispirato al film. Parla della nascita della scena punk nella Manchester degli anni ’70. Se pensi a come tutto questo è iniziato, con due fratelli calabresi, studenti fuorisede all’università di Bologna, che pur di mangiare una buona pizza si sono messi a farla con le loro mani, diventando i precursori di quella che oggi chiamano “pizza contemporanea”… è una storia molto bella, e anche molto punk!
FM: Devo dire di sì. Grazie Martina.
ML: Grazie a te.
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Per sfogliare e acquistare 24 Hour Pizza People:
Martina Liverani è appassionata di generi alimentari e generi umani. Ne scrive su libri e giornali da ormai 15 anni. Ha fondato e dirige la rivista Dispensa e l’omonima casa editrice. Vive e lavora a Faenza, tra il mare e gli Appennini.